Penale

Chi lancia sassi dal cavalcavia accetta il rischio di uccidere – CASSAZIONE PENALE, Sezione I, Sentenza n. 5436 del 11/02/2005

Chi lancia sassi da un
cavalcavia sulle auto sottostanti è consapevole del rischio di potere causare
gravi incidenti, e quindi risponde di omicidio volontario se dalla sua condotta
derivi la morte di una persona. Lo ha stabilito la Prima Sezione Penale della
Corte di Cassazione respingendo il ricorso di un uomo imputato di tentato
omicidio per aver lanciato sassi dal cavalcavia di Tortona colpendo
un’autovettura; in quell’occasione era stata solo l’abilità del guidatore ad
evitare il peggio. La difesa dell’imputato aveva sostenuto che l’omicidio era
stata una conseguenza non voluta e pertanto non sussisteva il dolo diretto, cioè
la volontarietà. Ma la Suprema Corte non è stata dello stesso avviso, e ha
spiegato che il lancio di sassi da un cavalcavia è un comportamento volontario
e consapevole, e pertanto, qualora sia univocamente diretta a colpire le auto
che transitano nella sottostante autostrada e a creare di conseguenza il
concreto pericolo di incidenti anche mortali, sussiste l’elemento doloso, consistente
nell’accettare il rischio di poter uccidere qualcuno, evento nella fattispecie
non verificatosi per cause indipendenti dalla volontà dell’autore.

 

Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima
Penale, sentenza n.5436/2005 (Presidente: R. Teresi; Relatore: G. Corradini)

LA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I PNALE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL
PROCESSO

Con sentenza 14/6/2004 la Corte d’Appello di
Torino confermo’ la sentenza emessa a seguito di rito abbreviato dal Tribunale
di Tortona in data 11/7/2003 con cui
M. S. era stato ritenuto colpevole dei reati di
tentato omicidio ai danni di S.
S. e di attentato alla sicurezza dei trasporti, per avere,
l’8 luglio 2003, in
Castelnuovo Scrivia, lanciato un sasso dal diametro di dodici centimetri dal
cavalcavia n. 49 sulle autovetture che transitavano sulla sottostante
autostrada A7 in direzione di Milano, cosi’ colpendo l’autovettura Mercdes
condotta da S. S. e
ponendo in pericolo la sicurezza dei trasporti, non riuscendo nell’intento per
la pronta reazione della persona offesa che riusciva a controllare
l’autovettura e ad arrestare la cosa, e, ritenuta la continuazione fra i due
reati contestati, lo aveva condannato alla pena di anni quattro e mesi quattro
di reclusione, con la concessione delle attenuanti generiche e della diminuente
per il rito.

Nella mattinata dell’8 luglio 2003 erano
giunte ai Carabinieri alcun segnalazioni da parte di automobilisti che
transitavano sulla A7 i quali avevano notato un giovane, accuratamente
descritto dai segnalanti, posto a fianco di una autovettura di piccola
cilindrata, che aveva appena lanciato un sasso sulla autostrada sottostante dal
cavalcavia n. 4.

Altra segnalazione proveniente da una
insegnante, M. E., specificava che il giovane che aveva lanciato il sasso era
un suo ex alunno, certo S. M., che era stato visto nella circostanza dalla M.
mentre si sforzava, essendo di bassa statura, alla fine comunque riuscendoci,
di fare superare al sasso una rete di recinzione, alta m. 1,80, che era stata
posta sul cavalcavia proprio per evitare il lancio di sassi in quanto, qualche
anno prima, vi era stato un episodio mortale nel vicino cavalcavia della
Callosa che aveva avuto grande eco giornalistica.

La M. aveva visto bene in viso il giovane
allorchè si era voltato verso di lei, dopo il fatto, mentre si puliva le mani
ed aveva visto la macchina del giovane, una Punto grigia.

I carabinieri, giunti sul posto, avevano
rinvenuto una Mercedes con un ce4rchione ed un pneumatico rotto, il cui
conducente, S. S., al contrario di altri conducenti di autovetture in transito
in quel momento, non era riuscito ad evitare un sasso, dal diametro di 12 cm. Circa e del peso di
circa 3 kg.,
che si trovava al centro della sua corsia di percorrenza.

Sul cavalcavia furono rinvenuti un paio di
occhiali che in seguito risultarono appartenere al M. e che il ragazzo aveva
dimenticato sul luogo del fatto.

Il M. era stato rintracciato dopo circa un’ora alla
guida della Punto grigia con cui era andato nel frattempo a prendere sul posto
di lavoro la propria madre, che aveva a bordo, proprio mentre stava tornando
sul cavalcavia alla ricerca degli occhiali li dimenticati.

La perquisizione immediatamente eseguita sulla
vettura aveva consentito di rinvenire altri nove sassi delle stesse dimensioni
di quello lanciato sull’autostrada.

L’imputato aveva ammesso la condotta
sostenendo che aveva prelevato il sasso dai dieci che aveva in macchina, a suo
dire li collocati per difesa personale, e di averlo lanciato dopo aver guardato
bene la strada stando attento a non colpire nessuno, aggiungendo che pero’,
essendo diagnosticato che ho colpito la macchina, ammetto di aver sbagliato.

Aveva altresi’ sostenuto di avere agito a
causa delle sue condizioni di infelicità e solitudine dovute a problemi di
disoccupazione e familiari collegati anche alla morte di suo padre avvenuta
dodici anni prima.

In sede di appello fu disposta una perizia
psichiatrica sull’imputato, sollecitata dalla sua difesa e motivata d alcuni
episodi della vita del giovane M. che avevano anche determinato un trattamento
terapeutico presso il Servizio psichiatrico di base di Voghera, ma il perito
concluse nel senso che l’imputato, pur risultando affetto da ritardo mentale
lieve e da disturbo passivo, aggressivo di personalità, era soggetto capace
pienamente di intendere e di volere all’epoca dei fatti e capace di stare in
giudizio in quanto i predetti disturbi avevano, per entità ed essenza,
rilevanza unicamente clinica e non anche psichiatrica, forense.

La Corte di Appello, investita dall’appello
del M., confermo’ pertanto il giudizio di imputabilità ma anche quello di
colpevolezza espresso dai giudici di primo grado, rilevando in particolare che
sussisteva la idoneità e la univocità degli atti posti in essere
dall’imputato a provocare la morte dell’automobilista che transitava nella
sottostante autostrada, avendo egli lanciato, in corrispondenza della corsia di
scorrimento delle auto, un sasso di rilevante massa da un punto del cavalcavia
da cui, come era stato accertato, non era possibile vedere le auto che
transitavano in basso e che in quel momento erano numerose, essendo
notoriamente quella autostrada a quell’ora notevolmente trafficata, addirittura
sforzandosi per superare con il lancio la rete metallica posta proprio per
impedire che un sasso lanciato da quel punto potesse provocare la morte degli
automobilisti in transito, cosi’ evidenziando la volontà di cagionare la
morte, almeno sotto il profilo del dolo alternativo essendosi posto quanto meno
in una posizione di indifferenza rispetto alle possibili conseguenze del suo
gesto cosi’ accettando una altissima probabilità che la massa del sasso
scagliato colpisse una vettura in transito provocando la morte degli occupanti
nonostante la residua possibilità di un evento diverso.

Nel contempo la Corte di Appello ritenne che
la mancata reiterazione del lancio di sassi, pur presenti nella vettura del M.,
non escludesse il dolo omicidiario considerato che era comparsa sulla scena la
sua insegnante M e che comunque quell’unico lancio già integrava gli estremi
del reato contestato.

Ha proposto ricorso per cassazione la difesa
dell’imputato chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e lamentando
con due motivi distinti: erronea applicazione degli artt.
56 e 575 c.p. [1]
laddove la sentenza aveva ritenuto la sussistenza
del tentativo di omicidio, in assenza del dolo diretto di tale reato, avendo la
dottrina dominante e la giurisprudenza consolidata escluso la compatibilità
del dolo eventuale con il tentativo e dovendosi nella specie escludere che
l’imputato volesse uccidere il
S. che neppure conosceva o qualsiasi altro automobilista in
transito, posto che aveva lanciato il sasso, senza poter vedere le autovetture
in transito, dalla parte opposta del cavalcavia rispetto alla direzione di
marcia della sottostante autostrada e che il sasso non aveva colpito
direttamente la vettura del S., bensi’ era caduto sulla carreggiata dove era
stato schivato da due autovetture mentre
il S. non era stato capace di evitarlo e lo aveva
urtato con una ruota, riuscendo comunque ad arrestare la marcia; manifesta
illogicità della motivazione della sentenza impugnata laddove, ai fini della
valutazione della sussistenza o meno del dolo omicidiario, non aveva
considerato la particolare situazione di anormalità psicologica dell’imputato
e la irrazionalità del suo gesto e della condotta successiva che lo aveva
portato a tornare verso il luogo del fatto insieme alla madre, al fine di
escludere la coscienza e la volontà del fatto quanto meno sotto il profilo
dell’elemento psicologico.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha
concluso per il rigetto del ricorso.

MOTIVI
DELLA DECISIONE

Il primo motivo di gravame attiene alla
individuazione dell’elemento psicologico del reato contestato che, ad avviso
della difesa dell’imputato, non potrebbe essere caratterizzato come dolo
diretto, bensi’, al massimo, come dolo eventuale, in quanto tale incompatibile
con oil tentativo di omicidio, come ormai ritenuto da tempo dalla
giurisprudenza consolidata.

Secondo la difesa del ricorrente il dolo
diretto dovrebbe essere escluso poichè l’imputato non conosceva neppure la
persona offesa e non aveva quindi alcun motivo per ucciderla e comunque aveva
lanciato il sasso senza poter vedere le autovetture in transito, dal lato del
cavalcavia opposto rispetto alla direzione di marcia delle vetture sulla
sottostante autostrada, cosi’ rivelando che la sua volontà non era quella di
uccidere il S. o
qualunque altro automobilista in transito.

La doglianza è infondata.

La giurisprudenza di questa Corte è nel senso
che costituisce tentativo di omicidio il lancio di sassi da un cavalcavia sulla
sottostante autostrada in quanto tale azione, seppure non diretta, in ipotesi,
a colpire singoli autoveicoli, è idonea, per la non facile avvisabilità degli
oggetti che cadono all’improvviso dall’alto o che comunque siano già giunti al
suolo sulla carreggiata mentre i conducenti sono intenti ad osservare le
macchine che precedono e seguono e per la consistente velocità tenuta
generalmente dai conducenti in autostrada, a creare il concreto pericolo di
incidenti stradali, anche mortali, al cui verificarsi, quindi, sotto il profilo
soggettivo, deve intendersi diretta la volontà dell’agente (cfr. Cass.
30/4/2003 n. 1989).

A tali corretti principi si è attenuto il
giudice di merito il quale ha ritenuto che il lancio di sassi da un cavalcavia,
oltretutto protetto da uno sbarramento laterale alto un metro e ottanta
centimetri proprio per impedire qual lancio che aveva provocato poco tempo
prima un evento morta

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