Foto segnaletiche e dignità della persona. Un sentenza del tribunale di Milano conferma la decisione del Garante
Il tribunale di Milano dà ragione al Garante e
stabilisce che non si possono pubblicare le foto segnaletiche per soddisfare la
curiosità del pubblico, ma devono esserci specifiche esigenze di giustizia e
di polizia. Con una sentenza di cui si sono apprese di recente le motivazioni,
il tribunale ha respinto il ricorso di un noto quotidiano nazionale contro un
provvedimento del Garante che aveva ordinato al giornale di non pubblicare più
le foto segnaletiche di alcune persone arrestate nel corso di un’indagine su
stupefacenti e prostituzione in corso a Roma nel novembre del 2003. Tra le foto
pubblicate vi era anche quella di una nota attrice italiana. Nel provvedimento
il Garante – in linea con un proprio consolidato orientamento – affermava che
la pubblicazione delle foto segnaletiche, avvenuta senza che ricorressero i
necessari fini di giustizia e di polizia, configurava una violazione di legge
con grave pregiudizio per la dignità delle persone coinvolte. Nell’accogliere
la tesi del Garante, il tribunale ha riconosciuto l’insussistenza dei
presupposti che legittimano la pubblicazioni delle immagini diffuse dal
quotidiano. Ha precisato, inoltre, che le foto segnaletiche sono idonee di per
sè a rivelare lo stato di detenzione, enfatizzando visivamente la notizia
della misura restrittiva della libertà personale. Cio’ comporta una grave
lesione della dignità della persona, anche di quella arrestata o carcerata, il
cui rispetto è invece riconosciuto dal Codice deontologico dei giornalisti.
Con riguardo alla fotografia dell’attrice, il
tribunale ha osservato inoltre che la sua pubblicazione era da considerarsi
eccedente, rispondente ad una "meno nobile curiosità del pubblico"
piuttosto che ad una reale esigenza informativa; cio’ ove si consideri anche
che tale immagine rivelava una notevole alterazione dello stato fisico
dell’artista rispetto al periodo migliore della sua carriera.
La sentenza si pone in linea di continuità con
un’altra pronuncia del Tribunale (26 giugno 2003) e, da ultimo, con
l’orientamento espresso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Strasburgo
11 gennaio 2005, decisione n. 50774/99).