Condizioni per l’ammissibilità dell’oblazione nella riqualificazione giuridica del fatto – CASSAZIONE PENALE, Sezioni Unite, Sentenza n. 7645 del 02/03/2006
PROCEDIMENTI SPECIALI –
OBLAZIONE – RIQUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL FATTO – AMMISSIBILITA’ DELL’OBLAZIONE
” CONDIZIONI
Il giudice del merito ha
l’obbligo di pronunciarsi sulla richiesta di oblazione avanzata dall’imputato,
contestualmente alla denunzia dell’erronea qualificazione giuridica del fatto
che ne precluda l’ammissibilità, e la relativa decisione sul punto è
suscettibile di impugnazione.
CASSAZIONE PENALE, Sezioni
Unite, Sentenza n. 7645 del 02/03/2006
(Presidente U.
Papadia, Relatore F. Fiandanese)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A.S. veniva citato a giudizio davanti al Tribunale monocratico di Reggio
Calabria per rispondere del reato di cui all’art. 9, comma 1, della legge 27
dicembre 1956, n. 1423, perchè essendo sottoposto alla misura di prevenzione
della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno nel comune di
residenza, era stato trovato sprovvisto della carta precettiva. Il Tribunale,
con sentenza in data 26 novembre 2004, dichiarava l’imputato colpevole del reato
di cui all’art. 650 c.p., cosi’ modificando la qualificazione giuridica del
fatto contestato, e lo condannava alla pena di 200 euro di ammenda.
Proponeva ricorso per cassazione personalmente A.S., deducendo violazione di
legge, in quanto il Tribunale, avendo derubricato il reato di cui
all’imputazione, non oblabile, in altro oblabile, avrebbe dovuto consentire
all’imputato di esercitare il suo diritto, costituzionalmente indiscutibile, di
estinguere il reato attraverso l’oblazione, determinando con la stessa sentenza
(che assumerebbe la forma della sentenza ” ordinanza) la somma da versare (ex
art. 141, comma 4, disp. att. c.p.p.) e fissando un termine non superiore a
dieci giorni per provvedere al pagamento della somma dovuta, subordinando
l’efficacia della condanna all’inutile scadenza del termine assegnato; in caso,
invece, di pagamento nel termine, il giudice dell’esecuzione, su istanza di
parte, avrebbe potuto dichiarare estinto il reato ex art. 676 c.p.p.. Il
ricorrente precisava, altresi’, che la difesa aveva richiesto la derubricazione
del reato in sede di conclusioni segnalando tempestivamente la più corretta e
favorevole qualificazione giuridica del fatto, concludeva chiedendo
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata o, in subordine, con
rinvio.
La Sezione I di questa Corte, cui il ricorso veniva assegnato, pronunciava, il 2
novembre 2005, ordinanza di rimessione alla Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618
c.p.p., rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale.
Nella motivazione della suddetta ordinanza si osserva che la Corte
Costituzionale, con sentenza n. 530 del 1995, aveva dichiarato l’illegittimità
costituzionale degli artt. 516 e 517 c.p.p. nella parte in cui non prevedevano
la facoltà dell’imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli artt.
162 e 162 bis c.p., relativamente a fatto diverso o reato concorrente contestati
in dibattimento. Il legislatore si era adeguato a tale pronuncia aggiungendo,
con l’art. 53, comma 1, lett. c), della legge 16 dicembre 1999, n. 479, il comma
4 bis dell’art. 141 disp. att. c.p.p., a norma del quale “in caso di modifica
dell’originaria imputazione in altra per la quale sia ammissibile l’oblazione,
l’imputato è rimesso in termini per chiedere la medesima. Il giudice, se
accoglie la domanda, fissa un termine non superiore a dieci giorni, per il
pagamento della somma dovuta. Se il pagamento avviene nel termine il giudice
dichiara con sentenza l’estinzione del reato”. Analoga norma l’art. 9 della
stessa legge introduceva all’ultimo comma dell’art. 162 bis c.p.p.,
successivamente abrogata, perchè da ritenere superflua, dall’art. 2
quattordicies del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito in legge 5 giugno 2000,
n. 144.
Il legislatore, peraltro, osserva ancora l’ordinanza di rimessione, lasciava
aperto il problema per i casi in cui l’imputazione originaria non fosse
modificata a seguito di contestazione del pubblico ministero nel corso del
dibattimento, ma dal giudice nella sua decisione finale. In tal caso, sarebbe
contrario al diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nonchè al principio di
uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., privare l’imputato del diritto di chiedere
l’oblazione.
L’ordinanza di rimessione rileva che, per trovare soluzione a tale problema, si
sono formati tre orientamenti giurisprudenziali.
Secondo un primo orientamento, l’imputato in tanto ha diritto all’oblazione in
quanto l’abbia tempestivamente richiesta in via “preventiva” o “cautelativa”,
cosi’ che il giudice, nell’ipotesi in cui decidesse la derubricazione del reato,
nel corso o all’esito dell’istruttoria dibattimentale, dovrebbe provvedere con
ordinanza a rimettere l’imputato in termini per richiedere l’oblazione.
Un altro orientamento giurisprudenziale ritiene, invece, che, in caso di
derubricazione disposta dal giudice, l’imputato debba presentare domanda di
oblazione con l’atto di appello, in applicazione analogica dell’art. 604, comma
7, c.p.p..
Secondo una terza soluzione, infine, il giudice, con la stessa sentenza con la
quale riqualifica il reato e pronuncia la relativa condanna, rimette in termini
ex officio l’imputato per provvedere all’oblazione, subordinando l’efficacia
della condanna all’inutile scadenza del termine assegnato, non superiore a dieci
giorni, per il pagamento della somma dovuta. Se la procedura di oblazione si
perfeziona con il pagamento della somma stessa entro il termine stabilito, il
giudice dell’esecuzione, su istanza di parte, dichiarerà estinto il reato ex
art. 676 c.p.p.., in caso contrario, la sentenza diventerà incondizionatamente
efficace ed eseguibile.
Il Primo Presidente, con provvedimento del 25 novembre 2005, assegnava il
ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’udienza del 28
febbraio 2006.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il motivo di ricorso è infondato e deve essere rigettato.
La norma invocata nella fattispecie è quella di cui all’art. 141, comma 4 bis,
disp. att. c.p.p., introdotta dall’art. 53 della legge 16 dicembre 1999, n. 479.
La stessa legge con l’art. 9 aveva integrato anche l’art. 162 bis c.p.p. al
comma 7 con norma analoga, successivamente abrogata dall’art. 2 quattordecies
d.l. 7 aprile 2000, n. 82, convertito con legge 5 giugno 2000, n. 144, non solo
perchè incongruamente inserita in un contesto di normativa di diritto
sostanziale, ma anche perchè produttiva di possibili dubbi interpretativi in
merito all’ambito di operatività del procedimento di oblazione riferibile non
solo alla oblazione c.d. discrezionale (art. 162 bis c.p.), ma anche
all’oblazione c.d. obbligatoria (art. 162c.p.).
Il riconoscimento all’imputato del diritto alla rimessione in termini per
chiedere l’oblazione in caso di “modifica dell’originaria imputazione” in altra
per la quale l’oblazione stessa sia ammissibile non è una “novità”,
limitandosi a recepire una regola già introdotta nel sistema dalla Corte
Costituzionale, che, con la sentenza n. 530 del 1995, rilevato che “non
sussistono ostacoli di ordine tecnico-sistematico all’ammissione dell’oblazione
nel corso del dibattimento”, affermava che la preclusione dell’accesso al
medesimo istituto ed ai connessi benefici, in caso di nuove contestazioni
dibattimentali, per fatto diverso (art. 516 c.p.p.) o per reato concorrente
(art. 517 c.p.p.) risultava lesiva del diritto di difesa nonchè priva di
razionale giustificazione.
La nuova normativa, pertanto, allorchè parla di “modifica dell’imputazione”,
mutuando il dato testuale dell’art. 516 c.p.p., intende chiaramente fornire
precise regole procedurali per l’applicazione della citata pronuncia di
illegittimità costituzionale, inserendosi in un contesto nel quale intervengono
il pubblico ministero, con la contestazione suppletiva, il giudice, con la
rimessione in termini, l’imputato con l’istanza di oblazione, il pubblico
ministero, ancora, per il parere (come disposto dal comma 4 del citato art.
141), di nuovo il giudice per la valutazione di accoglimento o rigetto della
domanda (in caso di oblazione c.d. discrezionale).
Il collegio ritiene che diverso sia il caso, come quello di specie, in cui il
giudice “nella sentenza” dia “al fatto una definizione giuridica diversa da
quella enunciata nell’imputazione” (art. 521 c.p.p.), si tratta di una soluzione
interpretativa in punto di diritto, che puo’ essere adottata anche nel giudizio
di legittimità, rispetto alla quale le suddette regole procedurali possono
trovare applicazione soltanto nel caso in cui l’errore di diritto sia stato
rilevato dalla difesa contestualmente alla formulazione di istanza di oblazione,
sulla quale il p.m. abbia potuto esprimersi; solo in tal modo, infatti, il
giudice viene formalmente investito della questione, non potendosi ritenere,
perchè non previsto dal complessivo sistema procedurale disciplinato dalla
legge, che egli abbia l’obbligo di rimettere in termini ex officio l’imputato,
per di più al di fuori di qualsiasi contraddittorio, imprescindibile
soprattutto nel caso di oblazione c.d. discrezionale. Se il giudice abbia omesso
di pronunciarsi sull’istanza o si sia pronunciato con erronea applicazione della
legge penale, in caso di sentenza appellabile provvederà il giudice
dell’appello (come si desume dagli artt. 597, comma 2, lett. a), e 604, comma 7,
c.p.p.) e in caso di sentenza impugnabile solo con ricorso per cassazione potrà
essere formulata la relativa doglianza (art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p.)
davanti alla Suprema Corte.
L’ulteriore questione se la richiesta di modifica della definizione giuridica
del fatto con contestuale istanza di oblazione debba essere formulata prima
dell’apertura del dibattimento o possa essere presentata anche successivamente
nel corso dell’istruzione dibattimentale o con le conclusioni non assume
rilevanza nel caso di specie, poichè, diversamente da quanto affermato dal
ricorrente, dal verbale dell’udienza del 26 novembre 2004, risulta che il
difensore dell’imputato con le conclusioni chiedeva “l’assoluzione con formula
ampia. Deposita giurisprudenza”.
In mancanza, pertanto, di una istanza valutabile in applicazione dei principi
sopra formulati, il ricorso deve essere rigettato con la conseguenza della
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.