Penale

Il Comune può costituirsi parte civile nei processi di violenza sessuale – Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza n. 38835 del 15/10/2008

Gli abusi sessuali ledono non solo la libertà morale e fisica della donna, ma anche il concreto interesse del Comune di preservare il territorio da tali deteriori fenomeni avendo lo stesso posto la tutela di quel bene giuridico come proprio obiettivo primario.

 Pertanto, il Comune in cui si verifica l’abuso, può costituirsi parte civile in un procedimento penale per abusi sessuali, perché da tale condotta può conseguire un danno economico, dovuto alla frustrazione delle finalità e degli scopi dell’ente per le diminuzioni patrimoniali eventualmente subite dagli organi comunali predisposti per alleviare i traumi delle vittime di abusi sessuali. È inoltre configurabile in capo al Comune un danno morale per la lesione dell’interesse perseguito di garantire la libertà di autodeterminazione della donna e la pacifica convivenza nell’ambito comunale, beni sociali statutariamente individuati come oggetto specifico di tutela

Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza n. 38835 del 15/10/2008

Con sentenza in data 12.12.2006 la Corte di Appello di Roma confermava la condanna alla pena della reclusione [che riduceva] inflitta nel giudizio di primo grado, all’esito del giudizio abbreviato, a S. C. quale colpevole di avere con violenza, con la minaccia di usare un coccio di vetro che aveva in mano e con abuso delle condizioni di minorata difesa, costretto W. F. E. a subire rapporti sessuali;
di avere cagionato alla predetta lesioni personali;
di avere opposto resistenza a tre CC intervenuti in difesa della E..
Escludeva il suddetto Comune quale parte civile revocando la condanna generica al risarcimento dei danni emessa in suo favore.
La Corte, richiamando le argomentazioni della sentenza di primo grado, riteneva provata la responsabilità dell’imputato alla stregua delle sue ammissioni, delle dichiarazioni della parte lesa, di quelle delle due vicine di casa che avevano sentito i suoi lamenti e di quelle dei CC intervenuti sul posto.
Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione dell’art. 603 c.p.p. per la negata riapertura del dibattimento al fine di espletare una perizia psichiatrica sulla sua persona poiché la vicenda aveva interessato un giovane di 31 anni, che agiva sotto l’influsso della cocaina, e una donna di 69 anni.
Chiedeva l’accoglimento del ricorso.
Proponeva ricorso, per gli effetti civili, anche il sindaco pro-tempore di Roma denunciando l’illegittima esclusione di parte civile essendo il Comune, in materia di abusi sessuali, portatore d’interessi autonomi rispetto a quello della persona offesa stante che dal prodotto Statuto comunale risultava l’assunzione dell’interesse alla libertà morale e fisica della donna quale obiettivo proprio dell’Ente con l’adozione di strutture e concrete iniziative idonee a perseguirlo effettivamente.
Avendo l’abuso sessuale leso in maniera immediata e diretta gli scopi e le finalità assunti statutariamente, il Comune lo stesso possedeva un’autonoma legittimazione a costituirsi parte civile per ottenere il risarcimento del danno in tutti i procedimenti riguardanti i fenomeni di violenza sessuali commessi in danno di donne nel territorio comunale.
Chiedeva l’annullamento della sentenza agli effetti civili.
Il ricorso dell’imputato è manifestamente infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte la rinnovazione del dibattimento nel giudizio di appello è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non potere decidere allo stato degli atti, sicché non può essere censurata la sentenza nella quale siano indicati i motivi per i quali la riapertura dell’istruttoria dibattimentale non si reputi necessaria [Cassazione Sezione I, n. 8511/1992, , RV.191507; Sezione VI n. 06873/1993, , RV. 195141; Sezione VI n. 07047/1996, RV. 205673].
Nella specie, la richiesta di perizia psichiatrica, da eseguire previa riapertura del dibattimento d’appello, non era corredata da alcun supporto clinico deponente per una pregressa patologia, sicché il rigetto è stato congruamente motivato rilevando che l’imputato aveva agito sotto l’influsso della cocaina e che non vi erano elementi per ritenerlo, anche solo parzialmente, incapace di intendere e di volere o intossicato da sostanze stupefacenti.
Infatti, “il vizio parziale di mente deve dipendere sempre da una causa idonea a condizionare patologicamente la capacità intellettiva e volitiva del soggetto, per cui il suo riconoscimento è indefettibilmente condizionato dall’accertamento di uno stato morboso psichico dell’agente che si ricolleghi a un’alterazione patologica… non è sufficiente una qualsiasi deficienza psichica per dar luogo all’applicazione dell’art. 89 cod. pen., essendo richiesto uno stato patologico veramente serio e tale da incidere, in modo notevole sulla capacità di intendere e di volere, che proprio come effetto dello stato morboso, deve risultare “grandemente” scemata” [Cassazione Sezione I, n. 10836/1986, 07/07/1986 – 13/10/1986, , RV. 173950].
Alla luce di tali principi la capacità d’intendere e di volere dell’imputato è stata implicitamente ritenuta con riferimento al mancato riscontro di una deviazione della funzione mentale che ne abbia diminuito le facoltà intellettive e volitive in dipendenza di un’alterazione patologica clinicamente accertabile.
Il ricorso del Comune di Roma è fondato.
In tema di legittimazione di persone giuridiche e di enti di fatto a costituirsi parte civile, la prevalente giurisprudenza di questa Corte ritiene che, quando l’interesse generico e diffuso alla tutela di un bene giuridico non sia astrattamente configurato, ma si concreta in una determinata realtà storica, diventando ragion d’essere e, perciò, elemento costitutivo di un sodalizio, è ammissibile la sua costituzione di parte civile, sempre che dal reato sia derivata una lesione di un diritto soggettivo inerente allo scopo specifico perseguito [cfr. Cassazione Sezione VI n. 13314/1990, , RV. 185501: “Un soggetto può costituirsi parte civile non soltanto quando il danno riguardi un bene su cui egli vanti un diritto patrimoniale, ma più in generale quando il danno coincida con la lesione di un diritto soggettivo del soggetto stesso, come avviene nel caso in cui offeso sia l’interesse perseguito da un’associazione in riferimento ad una situazione storicamente circostanziata, da essa associazione assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione, come tale oggetto di un diritto assoluto ed essenziale dell’ente a causa dell’immedesimazione fra il sodalizio e l’interesse perseguito. In questo caso, infatti, l’interesse storicizzato individua il sodalizio, con l’effetto che ogni attentato all’interesse in esso incarnatosi si configura come lesione del diritto di personalità o all’identità, che dir si voglia, del sodalizio stesso”; Cassazione Sezione VI n. 59/1990, , RV. 182947: “Gli enti e le associazioni sono legittimati all’azione risarcitoria, anche in sede penale mediante costituzione di parte civile, ove dal reato abbiano ricevuto un danno a un interesse proprio, sempreché l’interesse leso coincida con un diritto reale o comunque con un diritto soggettivo del sodalizio, e quindi anche se offeso sia l’interesse perseguito in riferimento a una situazione storicamente circostanziata, da esso sodalizio preso a cuore e assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione, come tale oggetto di un diritto assoluto ed essenziale dell’ente. Ciò sia a causa dell’immedesimazione fra l’ente stesso e l’interesse perseguito, sia a causa dell’incorporazione fra i soci e il sodalizio medesimo, sicché questo, per l’affectio societatis verso l’interesse prescelto e per il pregiudizio a questo arrecato, patisce un’offesa e perciò anche un danno non patrimoniale dal reato”; conforme, Sezione III, U.P. 3.10.2007,].
Ciò premesso, anche per la prevenzione e la repressione delle violazioni delle norme poste a tutela della libertà di determinazione della donna è configurabile in capo al Comune [che, rispetto al territorio in cui il fatto è commesso, ha una stabile relazione funzionale ed ha inserito tale tutela tra i propri scopi, primari e autonomi] la titolarità di un diritto soggettivo e di un danno risarcibile, individuabile in ogni lesione del diritto stesso, sicché esso è legittimato alla costituzione di parte civile per il risarcimento dei danni morali e materiali relativi all’offesa, diretta e immediata, dello scopo sociale.
Nella specie, tra gli scopi primari e autonomi del Comune di Roma rientra, secondo lo Statuto adottato [che, in forza del TU e.l, è un atto normativo atipico], la promozione dello sviluppo economico, sociale e culturale della comunità locale con particolare riferimento alla condizione giovanile e femminile [art. 2 (Principi programmatici) comma 5].
Il Comune, inoltre, si è proposto di garantire le pari opportunità per le donne… di curare il perseguimento dell’obiettivo adottando un codice di comportamento che assicuri un clima di pieno e sostanziale rispetto reciproco tra uomini e donne, con particolare attenzione all’eliminazione delle situazioni di molestie sessuali [art. 4 (Azioni positive per la realizzazione della parità tra i sessi) comma 2 lettera e)].
Per l’attuazione della previsione statutaria è stato costituito, come accertato in sede di merito, un apposito ufficio dipartimentale con l’assunzione d’iniziative concrete tendenti a perseguire l’obiettivo di contrastare fenomeni d’aggressione alla realtà femminile e sono state investite risorse economiche per fare affermare una cultura femminile autonoma con l’affidamento di un immobile a un consorzio di associazioni femminili e con l’istituzione di un centro comunale di accoglienza per donne vittime di violenza.
In tal modo, il Comune ha normativamente trasformato interessi generici e diffusi dei cittadini rappresentati in propri interessi specifici e in oggetto peculiare delle proprie attribuzioni e dei suoi compiti istituzionali, donde la configurabilità in capo ad esso di un interesse concreto alla salvaguardia di una situazione storicamente circostanziata divenuta suo scopo primario ed elemento costitutivo.
Quindi, gli abusi sessuali ledono non solo la libertà morale e fisica della donna, ma anche il concreto interesse del Comune di preservare il territorio da tali deteriori fenomeni avendo lo stesso posto la tutela di quel bene giuridico come proprio obiettivo primario.
Dalla frustrazione delle finalità e degli scopi dell’ente può conseguire un danno economico diretto per le diminuzioni patrimoniali eventualmente subite dagli organi comunali predisposti per alleviare i traumi delle vittime di abusi sessuali, sicché, dovendosi ritenere il Comune ente esponenziale del suddetto interesse, lo stesso è legittimato, come tale, a costituirsi parte civile nel processo penale, aisensi degli artt. 185 cod. pen. e 74 c.p.p.

Inoltre, è configurabile in capo al Comune un danno morale per la lesione dell’interesse perseguito di garantire la libertà di autodeterminazione della donna e la pacifica convivenza nell’ambito comunale, beni sociali statutariamente individuati come oggetto specifico di tutela.
Va osservato, in merito, che, secondo la giurisprudenza della Corte dei Conti, è esperibile l’azione di responsabilità per il danno morale [che assume una sua autonoma rilevanza rispetto al cd. danno diretto e può sussistere anche in assenza di quest’ultimo] arrecato da pubblici dipendenti all’immagine dell’ente trattandosi di danno che, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di valutazione patrimoniale [CC n. 310/2007; CC n. 681/2006].
L’appartenenza della cognizione in ordine all’azione di responsabilità amministrativa di soggetti istituzionalmente investiti di pubbliche funzioni istituzionali alla giurisdizione della Corte dei conti è stata riconosciuta da questa Corte non solo in tema di danno erariale, ma anche per il danno all’immagine [Cassazione SU n. 5668/1997 RV. 505437], sicché deve riconoscersi che l’Ente pubblico, a maggior ragione, possa agire nei confronti dei privati per la lesione del diritto della personalità in conseguenza del discredito derivante alla propria sfera funzionale dalla condotta illecita che lede il suo prestigio e arreca grave detrimento all’immagine pubblica [cfr. Cassazione SU n. 14297/2007].
La sentenza deve, perciò, essere annullata senza rinvio limitatamente all’esclusione del diritto della parte civile Comune di Roma al risarcimento del danno e alla revoca della condanna generica al risarcimento del danno, sicché rivivono le statuizioni civili emesse dalla sentenza di primo grado a favore del Comune.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del C. che condanna al pagamento delle spese del procedimento e al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro 1.000.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’esclusione del diritto della parte civile Comune di Roma al risarcimento del danno e alla revoca della condanna generica al risarcimento del danno.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 15 OTTOBRE 2008

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