Corte Costituzionale

Legittimo lo spoil system applicato ai dirigenti generali dei Ministeri – CORTE COSTITUZIONALE Ordinanza 30 gennaio 2002 n. 11

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ORDINANZA N.11

ANNO 2002

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

– Cesare RUPERTO Presidente

– Massimo VARI Giudice

– Riccardo CHIEPPA "

– Gustavo ZAGREBELSKY "

– Valerio ONIDA "

– Carlo MEZZANOTTE "

– Fernanda CONTRI "

– Guido NEPPI MODONA "

– Piero Alberto CAPOTOSTI "

– Annibale MARINI "

– Franco BILE "

– Giovanni Maria FLICK "

ha pronunciato la seguente

O R D I N A N Z A

nel giudizio di legittimità  costituzionale dell’art. 11,
comma 4, lettera a), secondo periodo, della legge 15 marzo 1997, n. 59
(Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed
enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la
semplificazione amministrativa ) e degli artt. 15, comma 1, 19, 21, 23 e
24, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione
dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23
ottobre 1992, n. 421) e successive modificazioni, promosso con ordinanza emessa
il 21 giugno 2000 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi
riuniti proposti da Antonello Colosimo ed altri contro la Presidenza del
Consiglio dei ministri ed altri, iscritta al n. 676 del registro ordinanze 2000
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie
speciale, dell’anno 2000.

Visti l’atto di costituzione di Aldo Mancurti ed altri
nonchè l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 4 dicembre 2001 il
Giudice relatore Franco Bile;

uditi l’avv. Mario Sanino per Aldo Mancurti ed altri e
l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei
ministri.

Ritenuto che con ordinanza emessa il 21 giugno 2000 nei
giudizi riuniti promossi con i ricorsi proposti da alcuni dirigenti generali di
diversi Ministeri nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri –
aventi ad oggetto l’impugnativa del d.P.R. 26 febbraio 1999, n. 150 (Regolamento
recante la disciplina della costituzione e della tenuta del ruolo unico
della dirigenza delle amministrazioni statali), della direttiva del Presidente
del Consiglio dei ministri 1° luglio 1999 (Linee guida per la definizione dei
contratti individuali della dirigenza), della circolare del 17 gennaio 2000 e
della nuova direttiva del 21 gennaio 2000, anch’esse in materia di contratti
individuali dei dirigenti – il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha
ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate, in riferimento agli artt. 97,
98 e 3 della Costituzione, le questioni di legittimità  costituzionale dell’art.
11, comma 4, lettera a), secondo periodo, della legge 15 marzo 1997, n.
59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed
enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la
semplificazione amministrativa ), e degli artt. 15, comma 1, 19, 21, 23 e
24, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione
dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23
ottobre 1992, n. 421 ), nel testo risultante dalle modificazioni
apportate con i decreti legislativi 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in
materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni
pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione
amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge
15 marzo 1997, n. 59 ), e 29 ottobre 1998, n. 387 (Ulteriori disposizioni
integrative e correttive del d.lgs. 3 febbraio 1993, n.29, e successive
modificazioni, e del d.lgs. 31 marzo 1998, n.80 );

che l’art. 11, comma 4, lettera a), secondo periodo,
della legge n. 59 del 1997, è censurato nella parte in cui – apportando
modifiche ed integrazioni alla precedente legge di delegazione 22 ottobre 1992,
n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle
discipline in materia di sanità , di pubblico impiego, di previdenza e di
finanza territoriale) – estende il regime di diritto privato del rapporto di
lavoro anche ai dirigenti generali, e rende cosí applicabili a questi ultimi i
principi e criteri direttivi dettati originariamente dall’art. 2 della citata
legge n. 421 solo per i dirigenti non generali;

che gli artt. 15, comma 1, 19, 21, 23 e 24, comma 2, del
d.lgs. n. 29 del 1993, nel testo risultante dalle modificazioni apportate con i
decreti legislativi nn. 80 e 387 del 1998, sono invece censurati nella parte in
cui, disciplinando l’istituzione del ruolo unico dei dirigenti, il
conferimento di incarichi di funzioni dirigenziali, la responsabilità 
dirigenziale ed il trattamento economico, pone il nuovo regime dei funzionari già 
inquadrati nella qualifica di dirigente generale;

che, secondo il Tribunale amministrativo regionale, la
posizione dei dirigenti generali è necessariamente differenziata rispetto a
quella dei dirigenti di prima fascia, onde per le sue caratteristiche dovrebbe
essere conservata nell’ambito dei residuali rapporti di pubblico impiego e
comunque non potrebbe confluire nel ruolo unico dei dirigenti;

che la privatizzazione del rapporto di impiego avrebbe
comportato, secondo il Tribunale amministrativo regionale, per i dirigenti
generali uno status di debolezza e precarietà  che da una parte non
consente loro di operare secondo i canoni di imparzialità  e buon andamento
della pubblica amministrazione (artt. 97 e 98 Cost.), e dall’altra si pone in
contraddizione (con conseguente intrinseca irragionevolezza) con il principio di
separazione tra funzione governativa di indirizzo e controllo e funzione
dirigenziale di attuazione e gestione (art. 3 Cost.);

che si sono costituiti in giudizio i dirigenti generali,
ricorrenti nei giudizi a quibus , aderendo alle prospettazioni
dell’ordinanza di rimessione;

che è intervenuto il Presidente del consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per
l’inammissibilità  o comunque per l’infondatezza del ricorso.

Considerato che le norme censurate dal Tribunale
amministrativo regionale rimettente sono state trasfuse nelle corrispondenti
disposizioni del testo unico di cui al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), onde – come già  ritenuto da questa Corte (a partire
dalla sentenza n. 84 del 1996 e, successivamente, dalle sentenze n. 454 del 1998
e n. 376 del 2000) – la questione di legittimità  costituzionale deve intendersi
trasferita su tali disposizioni del testo unico e segnatamente sugli artt. 15,
comma 1, 19, 21, 22, 23 e 24, comma 2;

che la questione concernente il ruolo unico della dirigenza
pubblica (artt. 15, comma 1, e 23 del d.lgs. n.29 del 1993, trasfusi nei
corrispondenti artt. 15, comma 1, e 23 del d.lgs. n.165 del 2001) è
inammissibile perchè il Tribunale amministrativo regionale non ha censurato
anche lo specifico criterio di delega posto dalla lettera b) del quarto
comma dell’art. 11 della legge n.59 del 1997, che prevede l’istituzione di tale
ruolo unico: la questione proposta – concernendo non già  il modo in cui il
legislatore delegato ha dato attuazione alla delega, bensí la previsione stessa
del ruolo unico dei dirigenti – avrebbe dovuto infatti coinvolgere anche il
criterio di delega concernente l’istituzione di tale ruolo unico;

che, nel merito delle censure delle altre disposizioni
impugnate, riferibili invece al diverso e più generale criterio di delega posto
nel secondo periodo della lettera a) del quarto comma del citato art. 11
della legge n. 59 del 1997, deve ribadirsi – come questa Corte ha già  affermato
(sentenza n. 313 del 1996) – che la privatizzazione del rapporto di impiego
pubblico (intesa quale applicazione della disciplina giuslavoristica di diritto
privato) <<non rappresenta di per sè un pregiudizio per l’imparzialità 
del dipendente pubblico, posto che per questi (dirigente o no) non vi è – come
accade per i magistrati – una garanzia costituzionale di autonomia da attuarsi
necessariamente con legge attraverso uno stato giuridico particolare che
assicuri, ad es., stabilità  ed inamovibilità >>, per cui rientra nella
discrezionalità  del legislatore disegnare l’ambito di estensione di tale
privatizzazione, con il limite del rispetto dei principi di imparzialità  e buon
andamento della pubblica amministrazione e della non irragionevolezza della
disciplina differenziata;

che pertanto l’estensione della privatizzazione anche ai
dirigenti generali rientra nella rilevata discrezionalità  del legislatore in
materia, il cui ambito consente di escludere che dalla non irragionevolezza di
una disciplina originariamente differenziata automaticamente discenda l’ingiustificatezza
dell’eventuale successiva assimilazione;

che, pur nel contesto della generalizzata privatizzazione del
rapporto di impiego dei dirigenti, la posizione del dirigente generale rimane in
ogni caso differenziata anche all’interno del ruolo unico, considerando che esso
contempla comunque due distinte <<fasce>> (art. 23 del d.lgs. n. 29
del 1993, ed ora art. 23 del d.lgs. n. 165 del 2001), e che la disciplina di
significativi momenti del rapporto (come il conferimento degli incarichi: art.
19 d.lgs. n. 29 del 1993, ed ora l’art. 19 d.lgs. n. 165 del 2001) riserva ai
dirigenti di prima fascia uno speciale e più favorevole trattamento;

che, più in generale, la disciplina del rapporto di lavoro
dirigenziale nei suoi aspetti qualificanti – in particolare il conferimento
degli incarichi dirigenziali (assegnati tenendo conto, tra l’altro, delle
attitudini e delle capacità  professionali del dirigente) e la loro eventuale
revoca (per responsabilità  dirigenziale), nonchè la procedimentalizzazione
dell’accertamento di tale responsabilità  (artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 29 del
1993, ed ora artt. 19, 21 e 22 del d.lgs. n. 165 del 2001) – è connotata da
specifiche garanzie, mirate a presidiare il rapporto di impiego dei dirigenti
generali, la cui stabilità  non implica necessariamente anche stabilità 
dell’incarico, che, proprio al fine di assicurare il buon andamento e
l’efficienza dell’amministrazione pubblica, può essere soggetto alla verifica
dell’azione svolta e dei risultati perseguiti;

che i dirigenti generali sono quindi posti in condizione di
svolgere le loro funzioni nel rispetto del principio di imparzialità  e di buon
andamento della pubblica amministrazione, tanto più che il legislatore delegato
– nel riformulare gli artt. 3 e 14 del d.lgs. n. 29 del 1993, con gli artt. 3 e
9 del d.lgs. n. 80 del 1998, trasfusi ora negli artt. 4 e 14 del d.lgs. n. 165
del 2001 – ha accentuato il principio della distinzione tra funzione di
indirizzo politico-amministrativo degli organi di governo e funzione di gestione
e attuazione amministrativa dei dirigenti, escludendo, tra l’altro, che il
Ministro possa revocare, riformare, riservare o avocare a sè o altrimenti
adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti;

che peraltro questa Corte (sentenza n. 275 del 2001) ha anche
ritenuto la legittimità , in materia, della giurisdizione del giudice ordinario
proprio con riferimento ai dirigenti generali sul presupposto dell’intervenuta
privatizzazione del loro rapporto di impiego.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo
1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara:

1) la manifesta inammissibilità  della questione di
legittimità  costituzionale degli artt. 15, comma 1, e 23 del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione
delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di
pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421
), nel testo risultante dalle modificazioni apportate con i decreti
legislativi 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di
organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di
giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa,
emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997,
n. 59 ), e 29 ottobre 1998, n. 387 (Ulteriori disposizioni integrative e
correttive del d.lgs. 3 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni, e del
d.lgs. 31 marzo 1998, n.80 ), ora sostituiti dagli artt. 15, comma 1, e
23 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 (Norme generali sull’ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevata, in
riferimento agli artt. 97, 98 e 3 della Costituzione, dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) la manifesta infondatezza della questione di legittimità 
costituzionale dell’art. 11, comma 4, lettera a), secondo periodo, della
legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e
compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica
Amministrazione e per la semplificazione amministrativa) e degli artt.
19, 21 e 24, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29
(Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e
revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma
dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nel testo risultante dalle
modificazioni apportate con i decreti legislativi 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove
disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle
amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di
giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4,
della legge 15 marzo 1997, n. 59), e 29 ottobre 1998, n. 387 (Ulteriori
disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 3 febbraio 1993, n.29, e
successive modificazioni, e del d.lgs. 31 marzo 1998, n.80), ora
sostituiti dagli artt. 19, 21, 22, e 24, comma 2, del decreto legislativo 30
marzo 2001, n.165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche), sollevata, in riferimento agli artt. 97, 98 e
3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con
l’ordinanza indicata in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2002.

F.to:

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https://www.litis.it

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