Civile

La banca non può invocare il caso fortuito nell’ipotesi di furto di beni custoditi nelle cassette di sicurezza – CASSAZIONE CIVILE, Sezione I, Sentenza n. 7081 del 05/04/2005

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In tema di
responsabilità della banca verso l’utente nell’esercizio del servizio delle
cassette di sicurezza, nel caso di sottrazione dei beni custoditi nella cassetta
di sicurezza a seguito di furto – che non costituisce caso fortuito, in quanto
è evento prevedibile, in considerazione della natura della prestazione dedotta
in contratto – grava sulla banca l’onere di dimostrare che l’inadempimento
dell’obbligazione di custodia è ascrivibile ad impossibilità della prestazione
ad essa non imputabile e, al fine di escludere la colpa, è insufficiente la
generica prova della diligenza, essendo esteso detto onere probatorio sino al
limite della dimostrazione dell’assenza di qualunque colpa, anche in quanto la
prestazione alla quale è tenuta la banca ricade nella sua sfera di controllo,
con la conseguenza che il creditore neppure ha la possibilità di identificare
nel suo contenuto l’atto colposo che ha determinato l’inadempimento Nella
fattispecie in esame,  la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza
impugnata che aveva ritenuto non adempiuto l’onere probatorio gravante sulla
banca, dato che questa si era limitata ad indicare le misure di sicurezza
predisposte per evitare l’accesso al caveau, senza spiegare e giustificare le
ragioni della loro inidoneità ad impedire l’accesso dei ladri nel locale.

 


 


CASSAZIONE
CIVILE, Sezione I, Sentenza n. 7081 del 05/04/2005

LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA
CIVILE

Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE
MUSIS Rosario – Presidente

Dott.
PLENTEDA Donato – rel. Consigliere

Dott.
MARZIALE Giuseppe – Consigliere

Dott.
PICCININNI Carlo – Consigliere

Dott. DI
PALMA Salvatore – Consigliere

ha
pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso
proposto da:

BANCA INTESA
BANCA COMMERCIALE ITALIANA B.P.A., in persona dell’Amministratore Delegato pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA VIRGILIO 8, presso l’avvocato
CICCOTTI ENRICO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENRICO
BRUONATELLI, LAURA CATTANEO, VINCENZO MESSINA, giusta procura speciale in calce
al ricorso;

– ricorrente

contro

C. P., L. F.,
S. B., F. A., C. A., C. R., C. A., C. G.;

– intimati –

avverso la
sentenza n. 1017/00 della Corte d’Appello di PALERMO, depositata il 27/11/00;

udita la
relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 27/01/2005 dal
Consigliere Dott. Donato PLENTEDA;

udito per il
ricorrente, l’Avvocato CICCOTTI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M.
in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

 


Svolgimento
del processo

 

XXX
convennero dinanzi al Tribunale di Palermo la Banca Commerciale Italiana s.p.a.
e ne chiesero la condanna al risarcimento del danno derivato dal furto di
preziosi custoditi nelle cassette di sicurezza loro concesse in uso e avvenuto
il 2 e il 3.6.1990; chiesero inoltre che fosse dichiarata la risoluzione dei
contratti stipulati e la condanna al rimborso delle somme versate quale
corrispettivo del servizio.

La banca
resistette alla domanda negando la propria responsabilità, dovendosi l’evento
qualificare come fortuito, e in via subordinata chiedendo che il danno fosse
liquidato nei limi contrattuali, violati nel momento in cui erano conservati
nella cassetta valori superiori a quanto stabilito.

Il tribunale
con sentenza non definitiva 3/23.10.1997 dichiaro’ nulla le norme 2 e 3 per il
servizio delle cassette di sicurezza richiamate nei contratti in quanto la
limitazione convenzionale della responsabilità costituiva una deroga al
disposto dell’art. 1229 c.c.; condanno’ la banca al risarcimento del danno,
avendo ritenuto insufficienti i mezzi di sicurezza predisposti e con separata
ordinanza dispose per la prosecuzione del giudizio sul quantum.

La Banca
Commerciale propose impugnazione, che la Corte di Appello di Palermo, nella
contumacia degli appellati, con sentenza 27.11.2000 ha respinto, condividendo
interamente le argomentazioni del primo giudice e in particolare rilevando che,
in presenza di una clausola limitativa della responsabilità del debitore, è
quest’ultimo che ha l’onere di provare, in caso di inadempimento, o il fortuito
o la colpa lieve; nè l’uno ne l’altra provati, che anzi nella specie erano
risultati elementi di colpa grave a carico dell’istituto di credito.

Propone
ricorso per Cassazione con un motivo illustrato da memoria la Banca Intesa Banca
Commerciale Italiana s..p.a., nuova denominazione dalla Banca Intesa s.p.a. dopo
la incorporazione della Banca Commerciale Italiana; non hanno svolto difese gli
intimati.

© Litis.it

 


Motivi della
decisione

 

Denuncia la
ricorrente la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1229 c.c., anche in
relazione agli artt. 1218 e 2697 c.c;

nonchè la
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della
controversia.

Premesso che
la clausola contrattuale oggetto della controversia è valida, al di fuori delle
ipotesi di dolo o colpa grave, rileva la ricorrente che nessuna prova – il cui
onere era a carico di chi affermava la colpa grave – era stata fornita sul
punto; e addebita alla sentenza impugnata di avere confuso la questione
dell’onere probatorio in ordine all’art. 1218 c.c. – considerato dalla corte
territoriale – con quella di tale onere in ordine all’art. 1229 c.c., in
relazione al quale vale la comune regola dell’art. 2697 c.c., in difetto di
presunzioni legali ovvero di norme che invertano l’onere medesimo.

Escluso che
il dolo o colpa grava considerati dall’art. 1229 c.c. siano presunti, cada –
secondo la ricorrente – la argomentazione sulla esistenza di siffatta colpa,
basata su asserite "mancate spiegazioni" e "mancata comprensibilità"
dell’evento furto, a fronte della predisposizione delle misure di sicurezza
volte a garantire la inaccessibilità del caveau.

Addebita,
infine, la banca alla corte di merito di avere supposto la colpa grave
attraverso la gravità dell’atto criminoso, pur trattandosi di concetti diversi,
dal momento che le modalità esecutive del fatto criminoso erano rimasta ignote,
tant’è che il processo penale si era concluso con una generale assoluzione.

Il ricorso
non merita di essere accolto.

Esso contesta
il doppio passaggio argomentativo della sentenza impugnata, in punto di diritto
ed in fatto, rispettivamente con riguardo al principio dell’onere della prova,
relativo alla responsabilità risarcitoria della ricorrente, e al compiuto
accertamento della sua colpa grave; e assume – in opposizione al convincimento
espresso dai giudici di merito – che, se a fronte dell’inadempimento di una
obbligazione contrattuale la legge presume che cio’ dipenda da colpa
dell’obbligato, addossando cosi’ a lui l’onere di provare il contrario, onde
escludere in radice la sua responsabilità, e tutt’altra cosa è l’accertamento
della esistenza o meno di una colpa grave per fini ulteriori; in questo caso
valendo la comune regola dell’art. 2697 c.c., per cui ohi afferma la esistenza
di determinati fatti ha l’onere di provarli"; e cio’ in quanto la colpa grave e
straordinaria e inusuale per definizione, cosicchè sarebbe assurdo presumerla
in base all’id quod plerumque accidit".

La tesi non
puo’ essere condivisa.

Premesso che
con il contratto di cassette di sicurezza la banca assume la responsabilità
riferita a prestazioni di custodia, dalla quale puo’ essere liberata solo nella
ipotesi di caso fortuito, cui il furto – che è alla base della vicenda
processuale di cui si tratta – è estraneo, essendo evento prevedibile, in
considerazione, appunto, della natura della prestazione dedotta, oltrechè della
professionalità dell’obbligato (tra le più recenti Cass. 3389/2003); e che la
clausola limitativa della responsabilità, in relazione al valore delle cose
custodite, integra un patto che si riflette sul debito risarcitorio della banca
e non sull’oggetto del contratto, soggetto, dunque, alla disciplina dell’art.
1229 c.c., che ne commina la nullità ove escluda la responsabilità del
debitore per dolo o colpa grave (Cass. SS.UU. 6225/1994; Cass. 3389/2003;


4946/2001;9640/1999;750/1997;2967/1995), la questione della distribuzione
dell’onere della prova non trova ragione di essere prospettata in termini
diversi, rispetto alla disciplina che regola l’inadempimento delle obbligazioni
contrattuali, come prevista dall’art. 1218 c.c., in forza del quale è il
debitore che, per liberarsi dalla responsabilità, ha l’onere di provare, in
caso di inadempimento o di ritardo, che la impossibilità della prestazione è
dovuta a causa a lui non imputabile, non essendo sufficiente a dimostrare
l’assenza di colpa la generica prova della sua diligenza.

Infatti il
citato art. 1229 va coordinato con l’art. 1218, che è norma generale del regime
processuale della responsabilità contrattuale, in forza della quale la regola
della presunzione della responsabilità non trova motivo di essere derogata, in
difetto di norme scritte o di ragioni giustificative di una interpretazione
dell’art. 1229 di segno contrario (Cass. 3389/2003; 367/2002;

9602/1999;
1656/1981), come nel caso in cui la colpa grave – o il dolo, giusta disposto
dell’art. 1225 c.c. – rappresentino un elemento costitutivo di più rilevanti
effetti, come il pagamento del doppio delle indennità massime previste per le
inadempienze vettoriali generiche (cosi’ Cass. 34

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