Penale

Chi impone raccomandati rischia la concussione – CASSAZIONE PENALE, SENTENZA N. 38617/2009

Rischia una condanna per concussione il pubblico ufficiale che mette in atto pressioni per far si’ che un datore di lavoro assuma alle sue dipendenze dei ‘raccomandati’. Lo sottolinea la sentenza 38617 con cui la Cassazione  ha annullato con rinvio la decisione della Corte d’appello di Napoli che aveva assolto “perche’ il fatto non sussiste” l’allora (i fatti risalgono al 1998-’99) presidente del Consiglio comunale di Afragola dall’accusa di tentativo continuato di concussione.

L’imputato, secondo l’accusa, aveva cercato di imporre ai responsabili di un ipermercato di prossima apertura l’assunzione di 250 persone “nominativamente segnalate”, prospettando implicitamente, in caso contrario, “la frapposizione di ostacoli” all’avvio operativo della struttura commerciale.

L’uomo era stato condannato in primo grado, con le attenuanti generiche e la pena condizionalmente sospesa, a due anni di reclusione, mentre in appello era stato assolto, poiche’, secondo la sentenza di secondo grado, nell’esercitare le pressioni contestategli, si era avvalso “della sua autorevolezza politica e non della carica pubblica rivestita, alla quale era estraneo qualsiasi potere idoneo ad essere strumentalizzato per creare ostacoli all’avvio dell’ipermercato”.

Contro tale verdetto si era rivolto alla Suprema Corte il procuratore generale del capoluogo campano, il cui ricorso e’ stato dichiarato fondato dai giudici della sesta sezione penale di ‘Palazzaccio’.

Non rileva – afferma la Cassazione – che esulava dai poteri” dell’imputato “una competenza specifica al riguardo: cio’ che e’ necessario per la configurabilita’ del reato di concussione e’ che il comportamento abusivo abbia idoneita’ intimidatoria tale da determinare nel soggetto passivo uno stato di soggezione. Detto illecito – spiegano i giudici di piazza Cavour – e’ configurabile anche nel caso in cui il pubblico ufficiale si attribuisca poteri estranei alla sua competenza, posto che l’abuso e’ riferibile sia alla qualita’ del pubblico ufficiale indipendentemente dall’ufficio suo proprio e quindi anche in rapporto ad atti non rientranti nella sua competenza funzionale, sia all’estrinsecazione oggettiva della funzione della quale egli e’ investito in maniera determinata. E’ sufficiente – conclude la Cassazione – che la qualita’ soggettiva dell’agente avvalori o renda credibile la sussistenza di una specifica competenza di mero fatto”.


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