GiurisprudenzaPenale

Il sesso a pagamento in videoconferenza è prostituzione – Cassazione Penale, Sentenza n. 37188/2010

È prostituzione anche esibire prestazioni sessuali in videoconferenza quando dall’altra parte dello schermo ci sono clienti che pagano per interagire con il protagonista del video.
Lo stabilisce la Cassazione che ha confermato la condanna, inflitta dalla Corte d’Appello di Firenze, nei confronti di un gestore di un nightclub, assieme alla sua segretaria ed il responsabile della security accusati di aver favorito e sfruttato la prostituzione attraverso questo tipo di esibizioni fatte nel locale da spogliarelliste.
Invano i tre hanno fatto ricorso alla Suprema Corte sostenendo che questo tipo di esibizioni non certo potevano rientrare nel reato di sfruttamento della prostituzione.

La Terza Sezione Penale della Cassazione, infatti, ha confermato la condanna affermando che «le prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza in modo da consentire al fruitore delle stesse di interagire in via diretta ed immediata con chi esegue la prestazione, con la possibilità di richiedere il compimento di atti sessuali determinati assumono il valore di atto di prostituzione e configurano il reato di sfruttamento della prostituzione a carico di coloro che abbiano reclutato gli esecutori delle prestazioni o ne abbiano consentito lo svolgimento creando i necessari collegamenti via internet o ne abbiano tratto guadagno».
Questo principio, quindi, vale anche se la prestazione sessuale non è eseguita in presenza. Infatti, sottolinea la Cassazione, è irrilevante il fatto che chi si prostituisce ed il fruitore della prestazione si trovino in luoghi diversi in quanto il collegamento in videoconferenza consente all’utente di interagire con chi si prostituisce in modo tale da poter richiedere a questi il compimento di atti sessuali che vengono immediatamente percepiti da chi ordina la prestazione sessuale a pagamento.

Cassazione Penale, Sezione Terza, Sentenza n. 37188 del 19/10/2010

OSSERVA
1) Con sentenza in data 7.11.2008 la Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Lucca con la quale era stata affermata la penale responsabilità di [OMISSIS], [OMISSIS] e [OMISSIS] per il reato di cui agli artt 110 c. p. n. 3 e 8 e 4 n. 7 L. 75/58, per avere il primo quale gestore di fatto del locale denominato [OMISSIS], la seconda quale segretaria del circolo omonimo, il terzo quale addetto alla sicurezza, favorito e sfruttato la prostituzione esercitata nel locale medesimo da numerose spogliarelliste e ballerine, anche extracomunitarie; dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione in relazione ad ipotesi di reati contravvenzionali e rideterminava la pena inflitta in primo grado a [OMISSIS].
Riteneva la Corte, disattendendo i rilievi difensivi, che risultasse provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che nel locale ‘ si svolgesse una pianificata ed organizzata attività di prostituzione, gestita e diretta dallo [OMISSIS] e dalla [OMISSIS] che si avvalevano della complicità di altri dipendenti quali il [OMISSIS]. La  prova emergeva dalle dichiarazioni degli ispettori di PS. che avevano operato a lungo sotto copertura, e che poi effettuarono l’irruzione nel locale, dalle dichiarazioni di uno dei clienti, tale [OMISSIS] dalle dichiarazioni delle ragazze che lavoravano nel locale, da quanto riscontrato “de visu” dagli agenti operanti al momento della irruzione.
Esaminava, quindi, il ruolo svolto nella vicenda da ciascuno degli imputati, sottolineando, quanto alla [OMISSIS] che la sua piena consapevolezza di concorrere nella commissione dei reati risultava dalle concordi deposizioni del [OMISSIS] e della [OMISSIS] in ordine alla riscossione dei proventi, alla tenuta della contabilità, alle annotazioni in block notes (circostanze queste che erano state riscontrate dal sequestro dei block notes e di somme di denaro) e, quanto al [OMISSIS], che il predetto era stato identificato come il buttafuori addetto ai pnivès dove veniva esercitata La prostituzione.
2) Ricorrono per cassazione [OMISSIS], [OMISSIS] e [OMISSIS].
2.1) [OMISSIS]  a mezzo del difensore, denuncia, con un unico motivo, la errata applicazione dell’ art.3 n. 3 e 8 L. 75/58.
Dalla stessa motivazione della sentenza impugnata risulta che il ricorrente era  addetto alla sicurezza e quindi svolgeva una attività che non può farsi rientrare nelle fattispecie contestata. Né vi è alcun riferimento ad una partecipazione ad attività di  favoreggiamento e tanto meno di sfruttamento della prostituzione.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
2.2) il difensore di [OMISSIS] denuncia, con il primo motivo, la mancanza di motivazione in ordine alla ideazione, organizzazione, favoreggiamento, sfruttamento e tolleranza di un’attività di prostituzione, il travisamento degli elementi di fatto e l’erronea valutazione degli atti processuali.
Dalle risultanze processuali emerge che nel locale [OMISSIS] si svolgeva attività ricreativa e che la villa veniva utilizzata per scambio di coppie o per spettacoli di streap tease, lap dance, table dance e porno show (attività penalmente irrilevanti). La Corte ha travisato le risultanze processuali, non essendo stata provata un’attività di favoreggiamento o tolleranza della prostituzione.
Con il secondo motivo denuncia la mancanza di motivazione in ordine alla valutazione delle testimonianze e del restante materiale probatorio. L’ ipotesi accusatoria non è confortata né dalla testimonianza deIl’ispettore [OMISSIS]  né da quella dell’ispettore [OMISSIS] (a parte l’inutilizzabilità di quanto appreso da quest’ultimo da clienti e ballerine, non individuati, per sentito dire). L’ispettore [OMISSIS] parla solo di questioni amministrative e l’ispettore [OMISSIS] non riferisce alcunché di rilevante in relazione allo [OMISSIS].  Quanto alla testimonianza di [OMISSIS] la Corte territoriale non tiene conto del documentato vizio parziale di mente del predetto e del suo stato di pluripregiudicato e non sottopone le sue dichiarazioni ad un rigoroso vaglio critico. E’ l’unico teste che riferisce di rapporti sessuali a pagamento, ma le sue dichiarazioni non sono riscontrate. Peraltro il medesimo teste afferma che lo [OMISSIS] era molto rigido e non voleva che si facesse sesso con le ballerine. Se si ritiene il teste attendibile, alloro lo è anche in ordine a circostanze favorevoli alla difesa. La porno star [OMISSIS] riferisce solo per sentito dire, non avendo mai constatato rapporti sessuali con i clienti ed aggiunge che la differenza di prezzo dipendeva dalla durata temporale della table dance e spiega anche il rinvenimento dei preservativi (utilizzati dalle porno star per coprire, per motivi igienici, i falli artificiali utilizzati durante le esibizioni). La Corte, nel ritenere che tale testimonianza confermi quella di [OMISSIS] omette di considerare che dalla stessa non emerge alcuna interazione tra uomo e donna, non solo fisica ma neanche verbale.
Neppure dalle testimonianze delle altre ballerine emerge alcunché di rilevante in ordine alla contestazione.
Quanto all’album fotografico, una sola su 21 foto è astrattamente rilevante (ritrae un uomo con i pantaloni abbassati ed il pene scoperto). Ma anche tale foto non costituisce la prova che vi sia stato un accordo mercenario. Non vi è stato alcun sequestro di fazzolettini o di profilattici usati, per cui è affidato al giudizio dell’ufficiale di p.g. operante la presenza di sperma negli stessi.
I compensi delle ballerine per ogni notte di lavoro erano consistenti, per cui non vi era alcuna necessità che esse si prostituissero. Il sequestro delle somme di denaro non ha alcun significato ed è del tutto neutro.
Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’ art.195 commi 1, 3 e 7 e 191 c.p.p.
La testimonianza dell’ispettore [OMISSIS] è inutilizzabile nella parte in cui fa riferimento a circostanze apprese da soggetti non individuati, né individuabili, e nella parte in cui riferisce quanto appreso da soggetti espressamente indicati e di cui la Corte non ha disposto la citazione, nonostante richiesta del P.M. all’udienza del 25.3.2002.
Con il quarto motivo denuncia l’erronea applicazione dell’art. 512 comma 1 c.p.p., essendo state utilizzate come fonti di prova le querele, proposte da [OMISSIS].
Con il quinto motivo denuncia la mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui aIl’art. 4 n. 7 L. 75/58. Stante la irrilevanza o la inutilizzabilità del materiale probatorio acquisito non vi è prova che il fatto sia stato commesso in danno di più persone (peraltro non è stata individuata alcuna delle presunte prostitute).
2.3) Ricorre per cassazione anche [OMISSIS], denunciando, con il primo motivo la mancanza di motivazione in ordine alla ideazione, organizzazione, favoreggiamento, sfruttamento e tolleranza di attività di prostituzione, il travisamento dei fatti e erronea valutazione degli atti processuali.
Nella villa si praticava lo scambio di coppia e si svolgevano spettacoli di spogliarello, come già evidenziato nel primo motivo di ricorso dello [OMISSIS].
Peraltro il concorso della ricorrente nel reato ipotizzato non può certo essere fondato sul rapporto di coniugio. Nella valutazione delle fonti di prova (già esaminate con il ricorso dello [OMISSIS]  viene accomunata la posizione dei due imputati. Solo nella parte finale della motivazione si precisa che gli unici testi che riferiscono qualcosa sulla [OMISSIS] sono l’ispettore [OMISSIS] e la ballerina [OMISSIS]. Si tratta, però, di circostanze irrilevanti in relazione alla fattispecie di reato contestata (il denaro ricevuto dal buttafuori poteva provenire dalle lecite attività che si svolgevano nel locale).
La partecipazione all’ideazione ed organizzazione dell’attività di streap tease, Iap dance, table e porno show è irrilevante penalmente.
Gli elementi indicati dalla Corte per affermare la responsabilità dell’imputata non attengono, comunque, ad una condotta ideativa o organizzativa; gli stessi elementi vengono inoltre utilizzati a dimostrazione delle condotte di favoreggiamento e sfruttamento.
Quanto alla custodia di foglietti di carta compilati dallo [OMISSIS], di essi non si conosce il contenuto (non avendolo saputo indicare l’ispettore [OMISSIS], né gli stessi sono stati sequestrati. Sulla ritenuta consegna di denaro da parte della [OMISSIS] allo [OMISSIS] non emerge alcunché dalle testimonianze; né risulta acquisito il block notes con appunti sulle performances delle ballerine e sui proventi dell’attività illecita (vi è solo il verbale di sequestro), per cui non è possibile interloquire sul contenuto.
Neppure i testi [OMISSIS] e [OMISSIS] hanno riferito alcunché in ordine alla presunta riscossione da parte della [OMISSIS] dei proventi illeciti. Il sequestro delle somme di denaro è circostanza assolutamente neutra.
Con il secondo motivo denuncia la mancanza di motivazione in ordine all’attribuzione del reato alla [OMISSIS] a titolo di concorso.
Tenuto conto del travisamento degli elementi in precedenza elencati, non è dato stabilire in che modo la ricorrente abbia contribuito al verificarsi dell’evento (evidentemente irrilevanti essendo il rapporto di coniugio e la qualifica di segretaria). E in ogni caso manca la prova dell’elemento psicologico.
Con il terza motivo denuncia la mancanza d motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 4 n. 7 L. 75/58.
Con il quarto motivo, infine, denuncia la mancanza di motivazione in ordine al rigetta della richiesta di prevalenza delle già concesse circostanze attenuanti generiche.
3) I ricorsi sono infondati e vanno, pertanto, rigettati.
3.1) Prima di procedere all’esame degli stessi è opportuno ricordare che, come ribadito costantemente da questa Corte, pur dopo la nuova formulazione dell’art, 606 c.p.p., lett, e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. art. 8, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:
a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base dello decisione adottata;
b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;
c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le due diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;
d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 6, 15 marzo 2006, ric. Casula).
Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 6, 15 marzo 2006. ric, Casula).
Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti atti del processo. Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi atti del processo e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della resistenza logica del ragionamento del giudice. Al giudice di  legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguita dal giudice per giungere alla decisione (cfr. Cass. sez.1 n. 42369/2006).
Di tanto tenuto conto, la sentenza d’appello si sottrae alle censure che le sono state mosse, perché il provvedimento impugnato, con motivazione esente da evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, ha puntualmente indicato le risultanze probatorie da cui emerge lo svolgimento di attività di prostituzione all’interno del locale [OMISSIS] e, conseguentemente, il favoreggiamento e sfruttamento della stessa da parte degli imputati.
3.2) E’ pacifico, inoltre, che, nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
Allorché, quindi, le due sentenze concordino nell’analisi e nella valutazione degli dementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (cfr. ex multis Cass. sez. 1 n. 8868 del 26.6.2000- Sangiorgi).
3.2.1) 1 giudici di merito hanno dato atto che nel locale [OMISSIS] oltre alle attività penalmente irrilevanti cui si fa riferimento nei ricorsi della [OMISSIS] e dello [OMISSIS] (spettacoli di streap tease, lap dance, table dance e porno schow), veniva esercita la prostituzione nei cosiddetti privès.
Il Tribunale, alla cui motivazione rinvia per relationem la Corte territoriale, sulla base delle risultanze processuali, aveva ritenuto accertato che:
a) il cliente, pagando la somma di centomila lire, poteva appartarsi con una ragazza , la quale offriva uno spettacolo privato fatto di spogliarello e strusciamenti;
b) pagando somme maggiori, il cliente poteva ottenere veri e propri rapporti sessuali, non solo la maggior durata dello spogliarello.
I giudici di merito hanno fondato il loro convincimento innanzitutto sulle testimonianze degli ispettori di p.s., i quali avevano operato a lungo sotto copertura, per accertare le attività che si svolgevano nel locale [OMISSIS] e che avevano poi effettuato la irruzione del 29 maggio 1999.
Gli ispettori avevano quindi riferito quanto da essi constatato direttamente, sia nella pregressa attività di osservazione che al momento della irruzione. In particolare l’ispettore [OMISSIS] aveva riferito di essere entrato come cliente in un privè e che la ragazza, toccandolo e cercando di spogliarlo, gli aveva fatto capire che avrebbe potuto ottenere un rapporto sessuale completo. (pag.3 sent.Trib.).
La conferma dell’attività di prostituzione che si svolgeva nei privès proveniva da alcune delle entreneuses e porno dive che lavoravano nel locale le quali riferivano che le ragazze, oltre agli spogliarelli, praticavano, a richiesta, anche prestazioni sessuali, trattenendo La metà degli importi pagati dal cliente (l’altra metà andava al gestore).
Ulteriore conferma proveniva da uno dei clienti, il quale affermava che nei privès, al prezzo maggiorato di lire 200.000, era possibile avere  una “fellatio” e con somme maggiori anche penetrazioni sessuali, compresa ‘Ia sodomizzazione”: egli stesso aveva avuto rapporti orali con una entreneuse a nome [OMISSIS].
Definitivo ed inequivocabile riscontro alla attività di prostituzione, praticata nei privès, si aveva a seguito della irruzione praticata dalla polizia il 29.5.1999, nel corso della quale gli agenti potevano constatare de visu” ed immortalare nell’album fotografico e nel verbale di sopralluogo quella attività (furono infatti sorpresi clienti ed entreneuses mentre compivano atti sessuali e furono sequestrati fazzolettini di carta e profilattici contenenti materiale spermatico). Cfr.pag.3 – 4 sent. Trib. e pag.8 -9 sent. App.
I giudici di merito, quindi, con motivazione articolata ed immune da vizi logici, facendo riferimento a precise risultanze processuali, hanno ritenuto provato “al di là di ogni ragionevole dubbio” che nel locale “[OMISSIS]“ venissero praticate prestazioni sessuali dietro pagamento e che tale attività, come si vedrà in seguito, venisse gestita e diretta dallo [OMISSIS] che sì avvaleva anche di collaboratori.
Correttamente hanno, poi, ritenuto che nella nozione di prostituzione debba farsi rientrare qualsivoglia attività sessuale posta in essere dietro corrispettivo di denaro, anche se priva del contatto fisico tra prostituta e cliente, i quali possono trovarsi addirittura in luogo diverso. Unica condizione è la possibilità, per il secondo, di interagire sulle attività compiute dalla prima”.
E difatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, Ie prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza in modo da consentire al fruitore delle stesse di interagire in via  diretta ed immediata con chi esegue la prestazione, con la possibilità di richiedere il compimento di atti sessuali determinati, assume il valore di atto di prostituzione e configura il reato di sfruttamento della prostituzione a carico di coloro che abbiano reclutato gli esecutori delle prestazioni o ne abbiano consentito lo svolgimento creando i necessari collegamenti via internet o ne abbiano tratto guadagno, atteso che è irrilevante il fatto che chi si prostituisce ed il fruitore della prestazione si trovino in luoghi diversi in quanto il collegamento in videoconferenza consente all’utente di interagire con chi si prostituisce in modo tale da poter richiedere a questi il compimento di atti sessuali determinati che vengono immediatamente percepiti da chi ordina la prestazione sessuale a pagamento” (Cass. pen. Sez.3 n. 25464 del 22.4.2004). E’ stato inoltre ritenuto che “Integra il delitto di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione la condotta diretta a favorire e sfruttare prestazioni che oggettivamente siano tali da stimolare l’istinto sessuale (fattispecie relativa alla gestione di un club dove ballerine svolgevano attività di” lap dance’ consistente nel ballare denudate davanti a clienti che potevano in luogo appartato accarezzarle su fianchi, braccia e gambe in cambio di denaro) cfr.Cass.pen. sez.3 n.13039 del 1.2.2.2003).
Sicché, anche a voler per ipotesi accedere alla tesi difensiva, secondo cui nei privès non venivano consumati rapporti sessuali, non per questo verrebbe meno l’attività di prostituzione, dal momento che “la ragazza si spogliava e si strusciava assecondando le richieste del cliente (che avesse pagato)” pag. 4 sent. Trib. E, secondo le dichiarazioni della [OMISSIS], alcuni clienti si masturbavano eiaculando anche durante le sue performances di porno diva (pag.10 sent. app.).
3.2.2) Con ampia ed articolata motivazione i giudici di merito hanno ritenuto, poi, provata l’attività di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, come contestato nel capo di imputazione, ed il ruolo svolto da ciascuno degli imputati.
3.2.2.1) Già il Tribunale aveva evidenziato che era il gestore del locale, ad organizzare e gestire, traendone profitto, l’attività di prostituzione che veniva praticata nel locale, sulla base delle testimonianze [OMISSIS] pag. 4 e 5 sent.
La corte territoriale, nel far proprie le argomentazioni dei primi giudici, ha sottolineato che dalle risultanze processuali emergeva, senza ombra di dubbio, che lo [OMISSIS] e i suoi complici incameravano parte dei proventi del meretricio. Del resto lo stesso [OMISSIS] nel suo atto di appello aveva riconosciuto “che tratteneva per sé il 50% delle somme pagate alle ragazze per appartarsi con loro nel privè”. Ma che nei prìvès si svolgesse attività di prostituzione e non “meri spogliarelli privati’ è stato in precedenza ricordato.
3.2.2.2) La prova della consapevole attività di partecipazione da parte della [OMISSIS] all’attività di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione veniva desunta dalle deposizioni del [OMISSIS] e della [OMISSIS], da cui risultava che la predetta al pari del marito riscuoteva i proventi dell’attività illecita, annotandoli in block notes, teneva la contabilità. Tali dichiarazioni testimoniali erano, inoltre, riscontrate dal rinvenimento e sequestro “dei predetti blok notes in mano a costei unitamente a consistenti somme di denaro.”
3.2.2.3) Infine dalle testimonianze degli [OMISSIS] [OMISSIS] emergeva, senza ombra di dubbio, che il [OMISSIS]  era addetto alla sicurezza ed ai privès (era stato visto anche prendere soldi e portarli allo [OMISSIS] pag. 4 sent.Trib. e 13 sent. app.) e quindi forniva un contributo causale alla condotta di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.
3.3) Le censure sollevate dai ricorrenti (in particolare del [OMISSIS]  non tengono conto che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. E’ necessario cioè accertare se nell’interpretazione delle prove siano state applicate le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve quindi essere evidente e tale da inficiare lo stesso percorso seguito dal giudice di merito per giungere alla decisione adottata.
Il vizio di prova “omessa o “travisata” si verifica solo quando da esso derivi una disarticolazione dell’intero ragionamento probatorio ed una iIlogicità della motivazione sotto il profilo della rilevanza e della decisività.
E’ onere della parte, poi, indicare espressamente nei motivi di gravame gli atti del processo da cui è desumibile il vizio. Tali atti vanno individuati specificamente (non rientrando nei compiti della Corte di legittimità la ricerca nel fascicolo processuale degli stessi), allegati o trascritti integralmente (non è consentita una indicazione “parziale” dell’atto, potendo il denunciato travisamento emergere solo dalla sua lettura integrale).
Vanno quindi condivise le precedenti decisioni di questa Corte con le quali si è riaffermato il principio che la condizione della specifica indicazione degli altri atti del processo, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito) purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581 comma primo lett. c) e 591 c.p.p.” (cfr.Cass. pen. sez.2 n. 49584 del 5.5.2006). Altra decisione ha, ancora più puntualmente specificato che è onere del ricorrente la individuazione precisa della collocazione degli atti nel fascicolo processuale, ove non siano riprodotti nel ricorso e non siano allegati in copia conforme, sia la dimostrazione che tali atti si trovassero nel fascicolo processuale al momento della decisione del giudice di merito, che, infine, di indicazione puntuale della circostanza di fatto asseritamente travisata o non valutata (Cass. pen. sez.3 n. 12014 del 22.3.2007).
3.3.1) I giudici di merito hanno desunto la prova dello svolgimento di attività di prostituzione nel locale dagli accertamenti e dalle constatazioni degli ispettori di polizia ed in particolare dell’ispettore [OMISSIS] (e non certo da quanto da essi appreso) e del ruolo dello [OMISSIS] dalle testimonianze degli stessi, riportate a pag. 4 e 5 della sent. del Trib. e dalle ammissioni dello stesso [OMISSIS] in ordine alla percezione del 50% dei guadagni.
Sulla attendibilità del teste [OMISSIS]  la Corte territoriale ha adeguatamente motivato, evidenziando anzi che in dibattimento il teste aveva cercato di ridimensionare la posizione dello [OMISSIS] mostrando così di non essere animato da particolare animo persecutorio nei confronti del predetto. Né tale giudizio di attendibilità può essere certo scardinato dal pregiudizio penale a carico o da un vizio parziale di mente riconosciuto in relazione a fatti di cui alla sentenza 20.10.1994 del Tribunale di Lucca (pag. 9 ricorso).
Quanto alle dichiarazioni di [OMISSIS] la Corte territoriale ha indicato espressamente gli atti di riferimento ver. ud.  del 2.2.2004  fol. 3 e ss-, fol. 7 e ss. per la prima e per le altre verb.ud. 12.5.2003 e relative acquisizioni, precisando che dalle loro dichiarazioni emergeva che le ragazze praticavano anche prestazioni sessuali e che la metà della retribuzione veniva data al gestore.
Il ricorrente contesta che le predette abbiano riferito circostanze rilevanti in ordine alla contestazione, senza neppure allegare (in violazione del principio di autosufficienza del ricorso), a conforto del suo assunto, i verbali in questione.
Non risulta poi che la sentenza abbia utilizzato le querele proposte dalla [OMISSIS] in ogni caso l’eventuale inutilizzabilità delle dichiarazioni della predetta non potrebbe certo incidere sul robusto apparato argomentativo della sentenza impugnata.
La Corte territoriale, poi, con accertamento in fatto, motivato ed immune da vizi e quindi non censurabile in questa sede, ha “interpretato” i rilievi fotografici e le risultanze della perquisizione. pervenendo alla conclusione che all’atto delta irruzione venivano praticati all’ interno dei privès atti sessuali.
I motivi di ricorso del [OMISSIS] quindi, attraverso la formale denuncia di mancanza o illogicità della motivazione o il travisamento degli elementi di fatto, propongono sostanzialmente una diversa interpretazione delle risultanze processuali (nel locale non veniva svolta attività di prostituzione, ma solo attività “ricreativa” penalmente irrilevante),
Infine, dalla complessiva motivazione della sentenza impugnata e da quella della sentenza di primo grado (in particolare in ordine a quanto accertato al momento della irruzione della polizia) risulta che le ragazze che svolgevano l’attività di prostituzione nel locale erano una pluralità, con conseguente configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 4 n.7 L. 75/58.
3.3.2) Quanto ai motivi di ricorso della [OMISSIS] valgono i rilievi in precedenza esposti in relazione allo [OMISSIS] soprattutto in ordine allo svolgimento dell’attività di prostituzione.
La prova del concorso nei reati attribuiti allo [OMISSIS] non è, poi, certo fondata sul rapporto di coniugio con il predetto e sulla qualifica di segretaria del Club Privato [OMISSIS] avendo i giudici di merito delineato il consapevole contributo causale fornito dalla medesima alla realizzazione della condotta criminosa. Con motivazione coerente ed immune da vizi la Corte territoriale ha, come si è visto, esaminato le fonti di prova ed è pervenuta alla conclusione che la [OMISSIS] provvedesse alla riscossione dei proventi dell’attività di prostituzione ed alla tenuta della contabilità.
Con i motivi di ricorso si sostiene che dagli atti non emerge la prova di siffatto contributo causale, non conoscendosi il contenuto dei foglietti e non risultando acquisiti i block notes e che le somme riscosse erano frutto della lecita attività svolta nel locale.
A parte il carattere meramente assertivo dei rilievi in ordine ai foglietti ed ai block notes, anche per la [OMISSIS] si propone una diversa interpretazione delle risultanze processuali circa la natura dell’attività svolta nel locale.
Per la circostanza aggravante vale quanto detto a proposito del ricorso dello [OMISSIS], va solo aggiunto che la tenuta della contabilità costituisce la prova inequivocabile che la ricorrente era consapevole dello svolgimento, da parte di una pluralità di ragazze, dell’attività di prostituzione.
Infine la Corte territoriale ha adeguatamente motivato in relazione al trattamento sanzionario (dando quindi conto dell’esercizio del suo potere discrezionale). Ha escluso, invero, che potesse farsi luogo ad un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull’aggravante contestata, in considerazione del ruolo preminente svolto dalla prevenuta nella commissione dell’illecito traffico e dell’articolazione e reiterazione del disegno criminoso dalla stessa ideato insieme al marito.
3.3.3) Quanto al ricorso del [OMISSIS], la Corte territoriale ha adeguatamente motivato in relazione al ruolo svolto dal medesimo ed alla configurabilità del concorso dello stesso nel reato ascritto allo [OMISSIS].  Non può, infatti, essere revocato in dubbio che l’attività da lui svolta di addetto alla sicurezza ed ai privès costituisse un consapevole contributo al regolare svolgimento dell’attività di prostituzione.
Siffatto apporto causale è sufficiente per la configurabilità del concorso, non essendo ovviamente necessario che esso si concretizzi in una attività “diretta” di favoreggiamento e di sfruttamento della prostituzione.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Depositata in Cancelleria il 19.10.2010

2 pensieri riguardo “Il sesso a pagamento in videoconferenza è prostituzione – Cassazione Penale, Sentenza n. 37188/2010

  • Giancarlo

    Io lo eliminerei dal codice penale.Punire chi vende le proprie prestazioni sessuali o chi le agevola per me è bigottismo puro e falso perbenismo;è un’attività nata nella notte dei tempi e non finirà mai.Piuttosto andrebbe resa lecita e regolata da norme fiscali e sanitarie serie….solo così potrebbe finire lo sfruttamento.

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  • SPERIAMO ALLORA CHIUDANO RAGAZZEINVENDITA.COM !!! HANNO ROVINATO LA MIA RAGAZZA, RUBANDOLE UN SACCO DI SOLDI E PROPRIO LORO OFFRONO SESSO IN CAMBIO DI SOLDI!

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