GiurisprudenzaPenale

Sono offensivi gli apprezzamenti negativi sull’aspetto fisico di una persona – Cassazione Penale, Sentenza n. 3360/2011

Dire all’amante del proprio coniuge “sei un cesso, ma ti sei vista? sono la moglie di … e questo cesso è l’amante”, integra gli estremi del delitto di ingiuria e si rischia una condanna penale. Lo conferma la Corte di cassazione nella sentenza n 3360 depositata lo scorso 31 gennaio 2011. Secondo la Sesta Sezione Penale, le espressioni utilizzate dalla imputata assumono una particolare carica offensiva se rapportata al contesto in cui è stata pronunciata e riferita al ruolo professionale e all’ambiente sociale della parte offesa. La vittima, infatti, svolge la professione di avvocato e la frase ingiuriosa indirizzatale è stata rivolta in pieno centro cittadino, addirittura a pochi metri dal Tribunale, tant’è – sottolinea la Corte, che il luogo in cui si è verificato l’episodio rappresenta il punto di incontro di appartenenti all’ordine degli avvocati.

Tale condotta integra la fattispecie delineata dall’art. 594 c.p. in quanto le parole profferite sono sicuramente tali da offendere l’aspetto fisico ed esteriore e sono idonee a ledere la sfera personale e privata di una donna la cui immagine è stata offuscata anche nell’ambito del proprio ambiente professionale.

(Litis.it, 11 Febbraio 2011)

Cassazione Penale, Sezione Sesta Sentenza n. 3360 del 31/01/2011

Fatto e diritto

[OMISSIS} proponeva; ricorso per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro che, in sede di appello, confermava la sentenza del Giudice di Pace di Catanzaro che aveva ritenuto la ricorrente responsabile del delitto di ingiuria in danno di [OMISSIS} e l’aveva condannata alla pena di euro 800,00 di multa ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Deduceva l’improcedibilità del reato perché nella querela presentata dalla [OMISSIS} mancava la richiesta di punizione della denunciata; la rinuncia all’azione penale per aver la [OMISSIS} presentato in sede civile domanda di risarcimento del danno; la violazione del diritto di difesa perché le richieste istruttorie negate dal primo giudice erano state ammesse in appello; l’insussistenza della valenza diffamatoria della condotta.

Il ricorso è solo parzialmente fondato e deve essere accolto nella misura che di seguito si indicherà.

Infondati sono tutti i motivi di ricorso relativi al riconoscimento della penale responsabilità della ricorrente.

Preliminarmente deve affermarsi che il reato era procedibile in quanto la [OMISSIS} ha proposto regolare querela con l’indicazione dei fatti ritenuti offensivi del suo onore e della persona che li aveva commessi.
Non è necessario nella querela chiedere espressamente la condanna della persona denunciata, in quanto la stessa proposizione dell’atto indica la volontà della parte che lo Stato intervenga per punire condotte ritenute penalmente rilevanti.

Non vi è stata nessuna violazione del diritto di difesa in quanto rientra nella dinamica processuale, prevista espressamente dal legislatore, la possibilità che il giudice di appello riapra l’istruttoria per ascoltare testi la cui deposizione non era stata ritenuta rilevante dal giudice di primo grado.

In ordine al contenuto delle espressioni pronunziate dall’imputata nei confronti della [OMISSIS}, i giudici di appello hanno fornito ampia, adeguata e condivisibile motivazione in ordine alla natura della stessa lesiva dell’onore della [OMISSIS}.

Infatti i giudici di appello hanno sottolineato che sul piano della lesività giuridica la frase ingiuriosa pronunciata dalla [OMISSIS} nei confronti della [OMISSIS}, “sei un cesso, ma ti sei vista? sono la moglie di [OMISSIS} e questo cesso è l’amante”, viene ad assumere una particolare carica offensiva se rapportata al contesto in cui è stata pronunciata e riferita al ruolo professionale e all’ambiente sociale della parte offesa. La [OMISSIS} infatti svolge la professione di avvocato e la frase ingiuriosa indirizzatale è stata rivolta in pieno centro cittadino, addirittura a pochi metri dal Tribunale, tant’è che il luogo in cui si è verificato l’episodio rappresenta il punto di incontro di appartenenti all’ordine degli avvocati.

Giustamente i giudici di merito hanno ritenuto che la condotta ascrivibile all’imputata integra la fattispecie, delineata dall’art. 594 c.p. in quanto le parole profferite sono sicuramente tali da offendere l’aspetto fisico ed esteriore e sono idonee a ledere la sfera personale e privata di una donna la cui immagine è stata offuscata anche nell’ambito del proprio ambiente professionale.

Fondato è invece il motivo di ricorso relativo alla costituzione di parte civile della [OMISSIS} nel procedimento penale.
Infatti [OMISSIS} risulta aver iniziato con citazione del 12-12-2008, dopo la pronunzia della sentenza di primo grado, un procedimento civile diretto ad ottenere il risarcimento del danno affermando erroneamente che la sentenza penale di condanna era passata in giudicato. Infatti la proposizione dell’azione civile, dopo che questa è stata precedentemente proposta in sede penale, comporta la revoca della costituzione di parte civile e l’estinzione del rapporto processuale civile nel processo penale, e ciò impedisce al giudice penale di mantenere ferme le statuizioni civili relative, ad un rapporto processuale ormai estinto. Sez. 4, Sentenza n. 31320 del 15/04/2004.
Pertanto, preso atto della revoca, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in ordine alla costituzione della parte civile.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla costituzione di parte civile che elimina.
Rigetta nel resto il ricorso.

Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2011

 

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