CivileGiurisprudenza

Corte Ue: sui titoli di debito no al trattamento privilegiato

È la conclusione a cui sono pervenuti i giudici su una questione che coinvolge la normativa fiscale portoghese

La fase precontenziosa antecedente al ricorso oggetto della pronuncia, si è aperta con una lettera di diffida che la Commissione inviava alla Repubblica portoghese, ritenendo che fosse venuta meno agli obblighi previsti dall’articolo 56 CE e dell’articolo 40 dell’accordo See, nella misura in cui applicava, nel contesto del regime straordinario di regolarizzazione fiscale dei beni patrimoniali che non si trovano nel territorio portoghese al 31 dicembre 2004, un’aliquota più favorevole. Con riferimento alla regolarizzazione dei beni patrimoniali costituiti da titoli dello Stato portoghese, o al valore dei beni patrimoniali reinvestiti in titoli dello Stato portoghese, fino alla data della dichiarazione di regolarizzazione fiscale.

La replica del Portogallo
Rispondendo alla Commissione, il Portogallo sosteneva innanzitutto che in considerazione della scadenza e del mancato rinnovo del regime straordinario di regolarizzazione fiscale dei beni patrimoniali che non si trovano nel territorio portoghese al 31 dicembre 2004, si doveva ritenere la diffida priva di oggetto, dato che la normativa su cui si fondava l’inadempimento dedotto non esisteva più. Nel merito lo Stato lusitano affermava che comunque non potesse essere accertata alcuna incompatibilità con il diritto dell’Unione tenuto anche conto del fatto che, in ogni caso, il regime controverso era giustificato da motivi di interesse generale riconosciuti dal diritto dell’Unione, ovvero dall’obiettivo della lotta all’evasione e alle frode fiscali. Le giustificazioni addotte dal Portogallo non convincevano però la Commissione che decideva di indirizzare allo Stato membro un parere motivato in cui contestava la rilevanza della questione preliminare relativa alla scadenza del regime straordinario e ribadiva la propria convinzione che detto regime concedesse un trattamento fiscale preferenziale unicamente ai titoli del debito pubblico emessi dal Portogallo. La Commissione invitava così la Repubblica portoghese ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a detto parere in un termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione. Considerato che, nella risposta a detto parere motivato, la Repubblica portoghese insisteva sulla propria precedente posizione, la Commissione decideva di presentare formale  i ricorso alla corte di giustizia.

Il diritto comunitario e nazionale
Analizzando il diritto comunitario in materia, l’articolo 40 dell’accordo 2 maggio 1992 sullo Spazio economico europeo prevede espressamente che non sussistono fra le parti contraenti restrizioni ai movimenti di capitali appartenenti a persone residenti negli Stati membri della Comunità europea o negli Stati dell’Associazione europea di libero scambio  né discriminazioni di trattamento fondate sulla nazionalità o sulla residenza delle parti o sul luogo del collocamento dei capitali.
Il regime lusitano straordinario di regolarizzazione fiscale dei beni patrimoniali che non si trovano nel territorio portoghese al 31 dicembre 2004 si applica ai beni patrimoniali consistenti in depositi, certificati di deposito, valori mobiliari ed altri strumenti finanziari che non si trovano nel territorio portoghese al 31 dicembre 2004, ivi comprese le polizze di assicurazione del ramo “vita” legate a fondi di investimento e le operazioni di capitalizzazione del ramo “vita”. I soggetti titolari di questi beni, per poter usufruire di tale regime straordinario, dovevano presentare la dichiarazione di regolarizzazione fiscale e procedere al versamento dell’importo corrispondente all’applicazione di un’aliquota del 5% sul valore dei beni patrimoniali posseduti. Se poi i beni patrimoniali posseduti o parte di essi sono titoli dello Stato portoghese, l’aliquota prevista è ridotta della metà per la parte corrispondente a tali titoli. Tale aliquota agevolata si applica anche ad altri beni patrimoniali se il loro valore è reinvestito in titoli dello Stato portoghese sino alla data di presentazione della dichiarazione di regolarizzazione fiscale.

Gli argomenti delle parti
La Commissione accusa la Repubblica portoghese di aver violato l’articolo 56 CE e l’articolo 40 dell’accordo See avendo concesso, nel contesto del regime straordinario esaminato, un trattamento fiscale preferenziale riguardo ai titoli del debito pubblico emessi dallo Stato portoghese. L’aliquota del 5% applicabile al valore dei beni patrimoniali che figurano nella dichiarazione di regolarizzazione fiscale era infatti ridotta al 2,5% riguardo sia ai beni patrimoniali consistenti in titoli del debito pubblico dello Stato portoghese, sia ad altri beni patrimoniali se il loro valore era stato reinvestito in tali titoli precedentemente alla data di presentazione della detta dichiarazione. A giudizio della Commissione dunque l’applicazione di un’aliquota d’imposta inferiore ai soli elementi patrimoniali regolarizzati consistenti in titoli dello Stato portoghese costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali vietata dall’articolo 56 CE, in quanto i soggetti passivi che potevano beneficiare del regime straordinario sono stati dissuasi dal conservare i loro beni patrimoniali regolarizzati in una forma diversa da quella dei titoli dello Stato portoghese. E per giurisprudenza costante una disposizione fiscale nazionale idonea a dissuadere i soggetti passivi dal fare investimenti in altri Stati membri costituirebbe una palese restrizione alla libera circolazione dei capitali (articolo 56 Ce). Nella normativa portoghese, sempre a giudizio della Commissione, non sussisterebbe alcuna giustificazione oggettiva all’applicazione di due aliquote di regolarizzazione differenti, in quanto tutti i soggetti passivi interessati si troverebbero in una situazione identica, caratterizzata dalla volontà di regolarizzare la loro situazione fiscale.

La replica del Portogallo
A differenza di quanto sostenuto dalla commissione, la Repubblica portoghese sostiene che il regime controverso sia giustificato dall’obiettivo di interesse generale perseguito, che consiste nella lotta contro la frode e l’evasione fiscali. Inoltre detto regime aveva come suo scopo primario quello di regolarizzare fiscalmente i beni patrimoniali che erano stati sottratti alle imposte in Portogallo e, in tale contesto, il versamento dell’importo corrispondente all’applicazione di un’aliquota del 2,5% o del 5% avrebbe effettivamente costituito il costo della regolarizzazione della situazione fiscale dei soggetti interessati. Ed è proprio questa funzione di indennizzo che, a giudizio dello Stato lusitano, giustificherebbe un costo più ridotto per la regolarizzazione in caso di titoli dello Stato portoghese, posto che, nell’ambito del regime straordinario, era il gettito fiscale di questo Stato membro ad essere preso in considerazione, mediante l’estinzione degli obblighi tributari relativi ai beni patrimoniali interessati. In definitiva per il governo portoghese il regime controverso sarebbe compatibile con il diritto dell’Unione e proporzionato rispetto all’obiettivo perseguito in quanto era limitato ad una categoria ben delimitata di titoli e non avrebbe provocato in alcun modo una segmentazione dei mercati.

La decisione della Corte
Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Corte ha innanzitutto esaminato l’argomentazione del Portogallo in merito alla scadenza e al mancato rinnovo del regime straordinario di regolarizzazione fiscale dei beni patrimoniali in base alla quale si doveva ritenere la diffida priva di oggetto, dato che la normativa su cui si fondava l’inadempimento dedotto non esisteva più. In merito i giudici europei hanno precisato che il procedimento di inadempimento può essere proseguito per determinare se uno Stato membro sia venuto meno agli obblighi ad esso incombenti anche quando la situazione in oggetto non esiste più, se continua a sussistere un interesse a proseguire tale procedimento come avviene, come nel caso portoghese, quando gli effetti di una misura temporanea siano di carattere duraturo. Per quanto concerne poi l’esistenza di una possibile restrizione alla libera circolazione dei capitali, la Corte ha ricordato come le misure imposte da uno Stato membro atte a dissuadere i suoi residenti dal contrarre prestiti o compiere investimenti in altri Stati membri costituiscono certamente restrizioni alla libera circolazione dei capitali, ai sensi dell’articolo 56 CE. Nel caso in questione secondo i giudici comunitari i soggetti passivi che possedevano titoli di debito pubblico emessi dallo Stato portoghese potevano beneficiare di un trattamento fiscale di favore, rispetto ai soggetti passivi che possedevano titoli di debito pubblico emessi da altri Stati membri. Mentre coloro infatti che avevano investito nei titoli di debito pubblico emessi dallo Stato portoghese erano assoggettati all’aliquota ridotta del 2,5%, gli altri dovevano versare un importo corrispondente all’applicazione di un’aliquota di base del 5% del valore dei beni patrimoniali che figurano nella loro dichiarazione di regolarizzazione fiscale. Pertanto la Corte espressamente afferma che “in tal modo, il regime controverso prevedeva un trattamento differenziato a seconda che i soggetti passivi possedessero titoli del debito pubblico emessi dallo Stato portoghese o titoli del debito pubblico emessi da altri Stati membri, sfavorevole alla seconda categoria di soggetti passivi. Pertanto, una siffatta differenza di trattamento è tale da dissuadere i soggetti passivi dall’investire in titoli del debito pubblico emessi da altri Stati membri o dal conservare tali titoli”.

Le ragioni imperative di interesse generale
Per quanto concerne la possibilità di giustificare una tale restrizione alla libera circolazione dei capitali i giudici di Lussemburgo hanno ricordato che la libera circolazione dei capitali può essere limitata da una normativa nazionale soltanto se giustificata da uno dei motivi previsti all’articolo 58 CE o da ragioni imperative di interesse generale secondo la giurisprudenza della Corte. Ed è chiaro che gli obiettivi di lotta all’evasione e alla frode fiscali, invocati dalla Repubblica portoghese, sono astrattamente idonei a giustificare una tale restrizione, purchè la stessa sia effettivamente in grado di conseguire  tali obiettivi e non ecceda quanto necessario per raggiungerli. In merito però la Corte ha fatto notare che  “anche a voler ritenere che la regolarizzazione fiscale portoghese abbia potuto contribuire, in linea generale, al conseguimento degli obiettivi di lotta contro l’evasione e la frode fiscali, risulta che il regime controverso, nel prevedere un trattamento differenziato per quanto riguarda i titoli del debito pubblico emessi dallo Stato portoghese rispetto a quelli emessi da altri Stati membri, non rispetti tali requisiti”. Tale regime prevedeva infatti l’applicazione di aliquote di regolarizzazione differenziate a seconda che i beni patrimoniali dichiarati fossero titoli del debito pubblico emessi dallo Stato portoghese o titoli del debito pubblico emessi da altri Stati membri, mentre le altre disposizioni dello stesso Regime straordinario applicabili ai soggetti passivi che intendevano regolarizzare la loro situazione fiscale si applicavano indipendentemente dallo Stato di origine dei beni patrimoniali.

La direttiva 2003/48
Una ultima precisazione la corte la fa in merito alla direttiva 2003/48, pure menzionata dallo Stato lusitano a giustificazione della propria normativa interna. I giudici fanno notare che anche ammesso che detta direttiva sancisca una lecita e possibile differenza di trattamento tra i titoli di credito negoziabili emessi da un’Amministrazione pubblica e i titoli emessi da privati, la stessa sicuramente non giustifica una disparità di trattamento tra titoli della stessa natura, ossia, come avviene nella fattispecie in esame, tra i titoli del debito pubblico emessi dallo Stato portoghese e quelli emessi dagli altri Stati membri. Per tutto quanto ora visto, e poiché quanto disciplinato all’articolo 40 dell’accordo See ha la stessa portata giuridica delle disposizioni, sostanzialmente identiche, dell’articolo 56 CE, la corte ha accolto il  proposto dalla Commissione e ha condannato lo Stato portoghese per essere venuto meno agli obblighi contenuti nell’articolo 56 CE e nell’articolo 40 dell’accordo See.

Mauro Di Biasi
nuovofiscooggi.it

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *