Tributaria

Benefici fiscali delle cooperative: possono essere revocati dal fisco – Cassazione Civile, Sentenza n. 2849/2012

Nel caso in cui non vi sia conferimento di beni o l’approvvigionamento presso terzi superi il limite consentito, l’Agenzia delle Entrate può revocare i benefici fiscali alle cooperative in quanto, in tal caso, non viene perseguito lo scopo mutualistico che è alla base dell’attività svolta. È quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza 2849 del 24 febbraio.

La premessa
A seguito del disconoscimento dei benefici fiscali, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato a una cooperativa alcuni avvisi di accertamento per il mancato versamento delle imposte dirette e indirette, sulla base delle risultanze di una verifica generale effettuata sia sull’associazione che sui soci, dalla quale era emerso che non erano state rispettate le finalità istituzionali che deve tenere una cooperativa.
In particolare, era stato evidenziato che la maggior parte dei soci della cooperativa non conferiva i beni prodotti, perché l’associazione stessa si riforniva, ben oltre la misura ammessa dalla legge, da terzi e, inoltre, non provvedeva alla ripartizione degli utili d’esercizio.
Dopo la presentazione dei ricorsi, respinti, tuttavia, sia in primo che in secondo grado, i legali della cooperativa ricorrono in Cassazione.
L’Agenzia delle Entrate, dal canto suo, si è difesa presentando il relativo controricorso.

Il fatto
Nel giudizio di merito è stato accertato che la “società” non era una cooperativa agricola (articoli 10 e 14, Dpr 601/1973), bensì di associazione tra produttori agricoli soggetta, dunque, a tassazione ordinaria; di conseguenza doveva essere subordinata al parere preventivo degli organi di vigilanza all’uopo preposti.
La stessa Amministrazione finanziaria aveva contestato il fatto che i soci non avevano conferito alla cooperativa i beni da questi prodotti, anche perché era la stessa associazione a rifornirsi presso terzi, ben oltre il limite massimo stabilito dalla legge.
Per quanto concerne invece la questione delle imposte indirette, l’articolo 34 del Dpr 633/72 trova applicazione anche nell’ambito delle associazioni agricole. I verificatori hanno accertato dalla documentazione extracontabile, rinvenuta nella sede dell’associazione, che la merce veniva acquistata presso terzi (non soci, ovviamente) ma veniva ugualmente contabilizzata e ripartita fittiziamente tra i soci, al solo scopo di non perdere le agevolazioni fiscali riconosciute dall’ordinamento tributario.

La sentenza della Corte
La Cassazione civile, con la sentenza in esame, ha chiarito che l’Amministrazione finanziaria ha il potere di revocare i benefici fiscali alla cooperativa, qualora ravvisi delle violazioni in merito all’approvvigionamento dei prodotti, oltre misura ammessa dalla legge.
Uno dei motivi che hanno portato i legali dell’associazione a ricorrere per Cassazione stava nel fatto che veniva lamentata la violazione, da parte dei giudici di merito, dell’articolo 14 del Dpr 601/1973 che regolamenta le “Condizioni di applicabilità delle agevolazioni”.
Secondo il ricorrente, l’Agenzia delle Entrate non poteva discrezionalmente disconoscere il beneficio fiscale all’associazione agricola, ma avrebbe dovuto adire il preventivo parere del ministero del Lavoro e degli organi di vigilanza, come disciplinato dall’articolo 14, del citato Dpr.

Secondo la giurisprudenza della Corte, “In tema di agevolazioni tributarie in favore delle società cooperative, la conformità degli statuti ai principi legislativi in materia di mutualità comporta una presunzione di spettanza delle agevolazioni o esenzioni tributarie, sicché il procedimento di verifica dei “presupposti di applicabilità” di cui all’art. 14, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, che prevede come obbligatorio il preventivo parere degli organi di vigilanza, attiene ai soli casi in cui detta presunzione legale non operi, salva la facoltà dell’amministrazione di disconoscere le agevolazioni, per ogni singolo periodo d’imposta, sulla base di dati concreti, atti a dimostrare che la veste “mutualistica” funge da copertura ad una normale attività imprenditoriale. In tale ottica, il parere preventivo degli organi di vigilanza riguarda ì soli requisiti soggettivi della società cooperativa, mentre l’ordinario potere di accertamento degli uffici finanziari ha ad oggetto la natura e le modalità di svolgimento dell’attività produttiva della cooperativa stessa” (Cassazione 10544/2006).

Allo stesso modo, la sentenza 1328/2005 del Collegio, integra l’argomento ribadendo il principio secondo cui gli statuti delle cooperative devono essere conformi ai principi di mutualità affinché possa essere riconosciuto loro il beneficio delle agevolazioni o delle eventuali esenzioni tributarie.
Ciò non impedisce all’Amministrazione finanziaria di disconoscere i benefici fiscali concessi alla cooperativa in cui non si configuri il carattere della mutualità perché ciò fungerebbe “da copertura ad una normale attività imprenditoriale”, nulla rilevando l’eventuale parere da parte del ministero del Lavoro anche se favorevole alla cooperativa.
In tal caso, gli eventuali ristorni concessi ai soci in assenza della mutualità della cooperativa debbono essere considerati delle mere distribuzioni di utili.

Concludendo la disamina sul controllo preventivo degli organi all’uopo preposti alla vigilanza dei requisiti delle società cooperative, ci viene in aiuto la sentenza 1797/2005, chiarendo che si tratta di controllo di natura meramente soggettiva e non anche sull’attività produttiva, (articoli 10 e 11 del Dpr 601/73), il cui controllo viene affidato all’Amministrazione fiscale.
Per quanto concerne l’ultimo punto della motivazione del ricorso per Cassazione presentato dalla cooperativa, inerente l’erronea interpretazione, da parte della Ctr, dell’articolo 2135 del codice civile, che recita testualmente “È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse” avendo i giudici di merito stabilito nella sentenza di secondo grado che l’associazione non abbia venduto prodotti provenienti in prevalenza dal proprio fondo, la Cassazione ha dichiarato essere inammissibile anche questa parte del ricorso evidenziando il fatto che il contribuente avrebbe dovuto fornire elementi sufficienti a provare la prevalenza della provenienza delle merci vendute dal proprio fondo, affinché possa essere considerata la vendita dei beni attività connessa a quella agricola.

Valerio Giuliani
nuovofiscooggi.it

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