Ce Giustizia

Ue: Corte giustizia, Stato puo’ offrire welfare a lavoratori all’estero

Il diritto dell’Unione europea non impedisce ad uno Stato membro di concedere prestazioni di carattere previdenziale e assistenziale a lavoratori distaccati o stagionali per i quali, in linea di principio, non e’ competente. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea.

Ai sensi del regolamento n. 1408/71, relativo all’applicazione dei regimi di previdenza sociale ai lavoratori emigranti – si legge – in linea di principio, i lavoratori sono soggetti alla legislazione dello Stato membro in cui sono occupati. Tuttavia, coloro che sono distaccati in un altro Stato membro al fine di svolgervi un lavoro (lavoratori distaccati) o che svolgono un lavoro temporaneo in un altro Stato membro (lavoratori temporanei) rimangono soggetti alla legislazione in materia di previdenza sociale del paese in cui lavorano abitualmente e non a quella dello Stato membro in cui lavorano effettivamente.

Il caso riguarda Waldemar Hudzinski e Jaroslaw Wawrzyniak, di cittadinanza polacca, domiciliati in Polonia e coperti dal regime previdenziale di tale Stato. Dal 20 agosto al 7 dicembre 2007 Hudzinski, padre di due figli e agricoltore autonomo, e’ stato occupato come lavoratore stagionale presso un’impresa orticola in Germania. Wawrzyniak, che ha una figlia, ha lavorato anch’egli in Germania come lavoratore distaccato dal febbraio al dicembre 2006.

A norma del diritto tedesco, una persona che non abbia ne’ il proprio domicilio, ne’ la propria residenza abituale in Germania ha diritto agli assegni familiari qualora sia integralmente assoggettata all’imposta sui redditi in tale paese. Ma gli assegni familiari non vengono versati quando assegni familiari analoghi possono essere percepiti in un altro Stato membro. Dopo avere chiesto di essere integralmente assoggettati all’imposta sui redditi in Germania, i due lavoratori – prosegue la nota – hanno chiesto, per il periodo in cui hanno lavorato in Germania, il versamento delle prestazioni per figli a carico di un importo mensile pari a 154 euro per figlio. Le loro rispettive domande sono state respinte con la motivazione che, in base al regolamento, dovrebbe trovare applicazione il diritto polacco e non il diritto tedesco.

In tale contesto, il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale, Germania) ha chiesto alla Corte di giustizia se, considerando che la Germania non sia lo Stato membro competente in applicazione del regolamento Ue e non sia dunque applicabile la legislazione tedesca, il diritto dell’Unione impedisca alla stessa di concedere assegni familiari. Inoltre, il giudice tedesco ha chiesto se uno Stato membro possa escludere il diritto agli assegni familiari qualora assegni analoghi possano essere percepiti in un altro Stato membro.

La Corte ricorda che il diritto dell’Unione mira, in particolare, a far si’ che gli interessati siano, in linea di principio, soggetti al regime previdenziale di un solo Stato membro, in modo da evitare il cumulo di legislazioni nazionali applicabili e le complicazioni che possono derivarne. Ma la circostanza prevede che Hudzinski e Wawrzyniak non siano decaduti dai loro diritti alle prestazioni previdenziali, ne’ abbiano subito una riduzione dell’importo delle medesime per il fatto di avere esercitato il loro diritto alla libera circolazione, poiche’ hanno conservato il loro diritto a prestazioni familiari in Polonia, e cio’ non priva lo Stato membro non competente della possibilita’ di concedere siffatte prestazioni.

La Corte ne deduce quindi che un’interpretazione del regolamento che consenta ad uno Stato membro di concedere prestazioni familiari in una situazione, come quella del caso di specie, non possa essere esclusa, poiche’ e’ atta a contribuire al miglioramento del tenore di vita e delle condizioni lavorative dei lavoratori emigranti, concedendo loro una tutela previdenziale piu’ ampia di quella risultante dall’applicazione del summenzionato regolamento. Tale interpretazione contribuisce quindi alla finalita’ delle suddette disposizioni, consistente nel facilitare la libera circolazione dei lavoratori.

Nella seconda parte della sentenza, inoltre, la Corte esamina la situazione in cui uno Stato membro si avvale della sua facolta’ di concedere prestazioni familiari a lavoratori per i quali, in via di principio, non e’ competente, escludendo al contempo tale diritto qualora il lavoratore riceva una prestazione equiparabile in un altro Stato membro.

La Corte considera che una norma anticumulo di diritto nazionale – nei limiti in cui sembra implicare non una diminuzione dell’importo della prestazione per figli a carico dovuta all’esistenza di una prestazione equiparabile in un altro Stato, bensi’ la sua esclusione – e’ tale da costituire uno svantaggio notevole che nei fatti incide su un numero molto piu’ elevato di lavoratori emigranti che di lavoratori sedentari, il che spetta al giudice nazionale accertare.

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