Accertamento induttivo. La presenza di lavoratori in nero sono indice di maggior volume d’affari – Cassazione Civile, Sentenza n. 13027/2012
È legittimo l’accertamento induttivo compiuto dall’Agenzia delle Entrate sulla base di un verbale emesso dall’Inps, a seguito di ispezione in azienda, senza la necessità che l’Amministrazione finanziaria effettui un’ulteriore ispezione o che rediga un altro verbale, quando, ad esempio, dal verbale dell’Ente previdenziale emerga la presenza di lavoratori in nero, indice evidente di un maggior volume di affari per il contribuente/datore di lavoro.
La portata dell’accertamento induttivo viene in tal modo ampliata. Non occorre, infatti, che i dati finalizzati alla ricostruzione del reddito siano direttamente raccolti dalla Guardia di finanza, ma è sufficiente che gli stessi vengano estratti da un verbale d’ispezione dell’Inps, a condizione che il contribuente sia a conoscenza dell’atto. Sono questi i chiarimenti forniti dalla Corte di cassazione con ordinanza del 24 luglio, n. 13027.
I fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate emetteva due avvisi di accertamento relativi a Irpeg, Irap e Iva, per gli anni 1997-1998, e uno di contestazione delle sanzioni, sulla base di dati rinvenuti in un verbale di ispezione dell’Inps, trasmessi dalla Guardia di finanza.
Nel giudizio di merito instaurato a seguito dell’impugnazione di tali atti, la Commissione tributaria regionale si pronunciava in senso favorevole al contribuente, confermando la sentenza della Commissione tributaria provinciale.
In particolare, i giudici d’appello motivavano la propria decisione sul rilievo che il metodo analitico-induttivo non fosse stato eseguito dall’ufficio in modo regolare, in quanto gli atti impositivi erano fondati su presunzioni costituite dalle rilevazioni della Gdf, la quale a sua volta aveva posto a fondamento del proprio operato un verbale d’ispezione dei funzionari dell’Istituto di previdenza.
Avverso la sentenza di secondo grado, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione rilevando, in particolare, che la Ctr non aveva tenuto in considerazione i seguenti rilievi:
gli atti impositivi si fondavano sulla verifica svolta dalla Guardia di finanza, la quale aveva riscontrato, anche sulla base dei rilievi sollevati dagli ispettori Inps, che il contribuente non teneva una contabilità regolare
il contribuente non aveva annotato i proventi costituiti dai compensi corrisposti in nero a due lavoratori dipendenti
il contribuente era a conoscenza del verbale d’ispezione dell’Istituto.
La motivazione
Con ordinanza 13027/2012, la Corte suprema, nel cassare con rinvio la sentenza impugnata, ha fornito chiarimenti in tema di accertamento induttivo-analitico dei redditi d’impresa disciplinato dall’articolo 39, comma primo, lettera d), del Dpr 600/73.
In particolare, i giudici di legittimità hanno precisato che l’avviso di rettifica emesso sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili è “assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori” ogniqualvolta “l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata”.
Ciò significa che “null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla eventuale antieconomicità delle stesse”.
A tal fine non risulta sufficiente il rilievo sollevato da parte del contribuente circa l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, in quanto “proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo” (Cassazione, sentenze 951/2009 e 11599/2007).
È con specifico riferimento a quest’ultimo aspetto che la Cassazione ha ulteriormente chiarito che la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude di per sé la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito, ogniqualvolta la contabilità possa considerarsi complessivamente inattendibile.
In tali casi, diventa legittimo per l’Agenzia dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti (articolo 2729 cc) maggiori ricavi o minori costi; ricade invece sul contribuente l’onere della prova contraria (Cassazione, sentenze 6337/2002, 11645/2001, 15266/2000, 1022/1989).
Non da ultimo, come peraltro evidenziato dai giudici, va considerato che “anche le vicende relative alla situazione patrimoniale del contribuente accadute in anni diversi da quello in contestazione possono costituire legittimi indici di capacità contributiva in tale materia, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi”.
Michela Grisini – Nuovofiscooggi.it