Amministrativa

Espropriazione per realizzazione di Piano per l’edilizia economico-popolare – Consiglio di Stato Sentenza n.5719/2012

Sul ricorso numero di registro generale 4797 del 2002, proposto da:
Comune di Lecce (Le), in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Gabriele Rampino, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Marco Gardin, via Laura Mantegazza, 24;
contro
Renna Anna Maria, nella qualità di procuratrice di Chillino Elena, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Pellegrino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso del Rinascimento, 11;
sul ricorso numero di registro generale 8531 del 2010, proposto da:
Comune di Lecce (Le), in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Gabriele Rampino, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Marco Gardin, via Laura Mantegazza, 24;
contro
Renna Anna Maria, nella qualità di procuratrice di Chillino Elena, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Pellegrino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso del Ri-nascimento, 11;
per la riforma
quanto ad entrambi i ricorsi in epigrafe, della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, n. 1063 dd. 11 marzo 2002, resa tra le parti e concernete risarcimento del danno conseguente da espropriazione per realizzazione di Piano per l’edilizia economico-popolare (PEEP). Riassunzione dopo sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza n. 5719 del 13.11.2012

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Anna Maria Renna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 aprile 2012 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per il Comune di Lecce l’Avv. Gabriele Rampino e per Anna Maria Renna l’Avv. Giovanni Pellegrino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1.1.Con ricorso proposto sub R.G. 1618 del 1999 innanzi al T.A.R. per la Puglia, Sede di Lecce, la Sig.ra Elena Chillino ha riferito di aver subito l’espropriazione di suoli per una superficie di complessivi mq 274.215 da parte del Comune di Lecce al fine della realizzazione, da parte della medesima Amministrazione Comunale, del primo Piano per l’edilizia economica e popolare (PEEP).
La medesima Chillino espone quindi di aver chiesto allo stesso Comune con propria lettera acquista al Prot Gen. n. 939744 dd. 14 agosto 2008 un risarcimento del danno da lei al riguardo subito, da corrispondere mediante l’acquisizione da parte dell’Amministrazione Comunale di immobili relitti per una superficie di mq 15.828, così individuati: foglio 215, particelle n.7 per mq 1.813, n.8 per mq.428, n.9 per mq 371, n.10 per mq 1.734, n.11 per mq.1.229, n.12 per mq 4.974, n.19 per mq 100, n.22 per mq.271, n.353 per mq.1.225, n.354 per mq 633, n.413 per mq 500, n. 480 per mq 1.590, n. 482 per mq. 330 e n. 816 per mq 630.
La Chillino ha affermato che tali immobili, a causa dei precedenti espropri da parte del Comune, non erano più suscettibili di alcuna autonoma utilizzazione, e che l’Amministrazione Comunale non aveva risposto alla propria istanza di acquisizione nonostante il parere favorevole emesso al riguardo con nota Prot. 1082 dd. 8 ottobre 1998 a firma del Dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale.
La medesima Chillino ha chiesto quindi in via istruttoria l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio e, nel merito, ha concluso per l’accoglimento della propria domanda di risarcimento del danno, anche in forma specifica, ovvero da quantificarsi per equivalente pecuniario.
1.2. Il Comune di Lecce, costituitosi in giudizio, ha contestato la fondatezza della domanda, escludendo la natura di “relitti” dei suoli oggetto di causa, ed assumendone la potenziale vocazione edificatoria.
Lo stesso Comune ha – altresì – eccepito in subordine la prescrizione del diritto azionato per decorso di oltre un decennio dal sorgere della posizione giuridica fatta valere in giudizio, e ha concluso comunque per l’integrale rigetto del ricorso.
1.3. Con sentenza n. 1063 dd. 11 marzo 2002 la Sezione I dell’adito T.A.R. ha accolto il ricorso della Chillino, ordinando al Comune di Lecce, in persona del Sindaco pro tempore, di accogliere l’anzidetta istanza dd. 14 agosto 1998 a’ sensi e per gli effetti dell’allora vigente art. 23 della L. 25 giugno 1865 n. 2359, in forza del quale – per l’appunto –“a richiesta dei proprietari debbono pure comprendersi fra i beni da acquistarsi dagli esecutori dell’opera le frazioni residue degli edifizi e terreni, in parte soltanto segnate nel piano di esecuzione, qualora le medesime siano ridotte per modo da non poter più avere pel proprietario una utile destinazione, o siano necessari lavori considerevoli per conservarle od usarne in modo profittevole”.
In particolare, va opportunamente sin d’ora evidenziato che il giudice di primo grado ha ritenuto fondato il ricorso ivi proposto dalla Chillino qualificando la pretesa con esso fatta valere come “sostanzialmente volta ad ottenere l’acquisizione dei beni ex art. 23 della L. 2359 del 1865” e considerando la disciplina in esso contenuta “norma di chiara interpretazione che limita, evidentemente, la discrezionalità dell’Amministrazione – nelle determinazioni relative alle istanze di acquisizione – all’accertamento di determinati presupposti, in presenza dei quali, alcuna facoltà di scelta residua alla medesima” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
Lo stesso giudice di primo grado ha pure condannato il Comune di Lecce al pagamento delle spese di tale primo grado di giudizio, liquidandole nella misura di € 2.000,00.- (duemila/00).
2.1. Il Comune di Lecce ha presentato sub R.G. 4797 del 2002 appello avverso tale sentenza, sostenendo, con tre articolati motivi, il difetto di giurisdizione del giudice adìto, l’intervenuta decadenza o prescrizione della domanda azionata dalla Chillino ed infine, in subordine, la non individuabilità delle caratteristiche di “area” o “zona relitta” nelle “aree cui la ricorrente si richiama” (cfr. pag. 9 dell’atto d’appello).
2.2. Si è costituita nel presente grado di giudizio l’appellata Chillino, concludendo per la reiezione dell’appello.
2.3. Con ordinanza n. 3110 dd. 22 luglio 2002 questa stessa Sezione ha accolto la domanda di sospensione cautelare della sentenza impugnata, a’ sensi dell’allora vigente art. 33 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034.
2.4. Con decisione n. 1518 dd. 13 marzo 2009 questa stessa Sezione ha definito il giudizio accogliendo l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda azionata dalla Chillino, e ha conseguentemente annullato la sentenza resa dal giudice di primo grado.
La Sezione ha in tal senso rilevato che la situazione rappresentata dalla Chillino mediante il ricorso da lei proposto innanzi al T.A.R., consistente nell’asserita qualificazione dei suoli rimasti nella sua proprietà come “relitti, che … da un lato sono insuscettibili di qualsiasi utilizzazione … dall’altro non hanno valore posizionale e pertanto non hanno mercato” (cfr. pagg. 1 e 5 del ricorso stesso), rientra nelle previsioni contenute nell’allora vigente art. 23 della legge 25 giugno 1865 n. 2359, ora aggiornate dall’art. 33 del D.L.vo 8 giugno 2001 n. 325 e che attribuiscono all’interessato la facoltà di adottare talune iniziative o di trovare, comunque, adeguato ristoro (Cons. Stato, Sez. IV, 29 luglio 2003 n. 4356).
In tal senso – quindi – ad avviso della Sezione il proprietario può anzitutto avvalersi della facoltà – concessagli dall’art. 23 citato – di chiedere all’Autorità amministrativa l’estensione del provvedimento ablativo alla residua frazione del bene, che, a seguito dell’esecuzione dell’opera pubblica su parte del bene stesso e per la sua conformazione oggettiva, non possa avere un’utile destinazione (cfr. sul punto Cass. civ., sez. I, 4 giugno 1981 n. 3603 e Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 1998 n. 147); e il contemperamento tra l’interesse pubblico ad espropriare soltanto le aree necessarie alla realizzazione dell’opera pubblica e l’interesse del proprietario espropriato ad una proficua utilizzazione della parte del fondo non appresa è – per l’appunto – assicurato sia dall’art. 23 della L. 2359 del 1865, sia dall’art. 16,comma 9, del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, quest’ultimo peraltro ratione temporis non applicabile alla fattispecie in considerazione, i quali riconoscono all’espropriato medesimo l’interesse legittimo pretensivo a che il provvedimento ablativo sia modificato, in modo da ricomprendere anche quelle parti che – per se stanti – non potrebbero avere un’utile destinazione.
Secondo la Sezione, pertanto, trattavasi e trattasi, di facoltà dell’Amministrazione espropriante che necessariamente presuppone un carattere eminentemente discrezionale delle valutazioni necessarie al riguardo, esercitata mediante l’accertamento della solo parziale inclusione dei fondi nel piano d’esecuzione, nonchè mediante la valutazione della loro inutilità in relazione alla relativa estensione, o della necessità di lavori considerevoli (cfr. sul punto Cass., SS.UU., 26 settembre 1997 n. 9478, 19 aprile 2002 n. 5728 e 21 maggio 2007 n. 11667).
Sempre secondo la decisione resa dalla Sezione, l’esercizio della predetta facoltà fa poi sorgere, in capo all’Amministrazione, il dovere di pronunciarsi espressamente, nel mentre il privato potrà, in caso di inerzia della stessa, formalizzare l’eventuale prodursi di un silenzio-rifiuto e, conseguentemente, impugnarlo.
Nell’ipotesi che l’Amministrazione espropriante non ritenesse di accogliere l’istanza del privato, la tutela di quest’ultimo è assicurata dai criteri indennitari previsti per l’espropriazione parziale; ed infatti, poiché si tratta di un’espropriazione parziale per pubblica utilità, sia che il proprietario non si sia avvalso della facoltà, concessagli dall’art. 23 della L. 2359 del 1865 di chiedere all’Amministrazione espropriante l’estensione del provvedimento ablativo alla residua frazione del bene, sia nell’ipotesi, opposta, di richiesta non accolta ( così come, nell’ipotesi, ricorrente nella fattispecie, di inadempimento, da parte dell’Amministrazione, dell’obbligo di pronunciarsi sull’istanza del privato, a fronte della quale egli non abbia instaurato il rito speciale applicabile in caso di silenzio-rifiuto, nel quale peraltro è da escludersi la proponibilità dell’azione di risarcimento danni, che imporrebbe, ovviamente, la cognizione della fondatezza sostanziale della pretesa del ricorrente in un contesto, nel quale il giudice amministrativo deve, al contrario, salvi i casi di attività strettamente vincolata, limitarsi al solo accertamento dell’obbligo per l’amministrazione di provvedere sull’istanza del ricorrente ), sussiste pur sempre il diritto, a’ sensi dell’art. 40 della stessa L. 2359 del 1865 (parimenti vigente all’epoca dei fatti), ad un’indennità comprensiva del decremento di valore che sia derivato a tale frazione dell’esecuzione dell’opera pubblica (Cass., Sez. I, 4 giugno 1981 n. 3603 e 26 settembre 1997 n. 9478).
In dipendenza di tutto ciò, secondo la decisione resa dalla Sezione tutte le eventuali questioni sull’ammontare dell’indennità a seguito dei danni derivanti ai “relitti” a seguito della realizzazione dell’opera pubblica nella parte residua dovevano essere proposte nel giudizio di opposizione alla stima, ossia innanzi al giudice; mentre nel caso, ricorrente nella fattispecie all’esame, di espropriazioni illegittime, dette anche occupazioni appropriative, le frazioni di immobili residuate dopo l’occupazione acquisitiva da parte dell’Amministrazione comunale, sebbene non siano più suscettibili di utile destinazione per il proprietario, non vengono acquisite alla mano pubblica (e ciò perché nell’occupazione appropriativa l’effetto dell’estinzione del diritto di proprietà del privato, nella fattispecie indiscusso tra le parti, trova la sua causa indefettibile nell’occupazione illegittima del bene, unitamente alla sua intervenuta irreversibile trasformazione), ma restano in proprietà del privato, che avrà diritto al risarcimento del danno derivante dalla diminuzione del valore della parte del fondo residuata dall’occupazione (Cass., Sez. I, 22 marzo 1994 n. 2738).
Senonché – sempre secondo il ragionamento della Sezione – la giurisdizione va determinata in base all’intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio (come individuabile in relazione alla protezione ad essa accordata dall’ordinamento), e pertanto la pretesa azionata con il ricorso proposto in primo grado dalla Chillino non poteva che ricondursi, sulla base delle sue stesse prospettazioni riportate nella parte in fatto del suo ricorso in primo grado (la cui mutatio nelle difese di appello, che fanno invece innovativamente riferimento ad una “situazione dannosa causata da una inerzia amministrativa dalla ricorrente addebitata al Comune” sarebbe viceversa inammissibile), al diritto al risarcimento del danno anzidetto, rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario trattandosi di controversia avente per oggetto il risarcimento di un danno non riconducibile a provvedimenti emessi dalla P.A. nell’esercizio del pubblico potere, bensì derivante – ove provato – da una situazione di mero fatto creatasi per effetto dell’attività della P.A. medesima, asseritamente lesiva del diritto soggettivo di proprietà, in particolare del diritto di godimento (cfr. Cass., SS.UU., 13 giugno 2006 n. 13659).
Né, sempre ad avviso di questa Sezione, valeva a ricondurre la domanda della Chillino alla giurisdizione del Giudice amministrativo la modalità di parziale reintegrazione in forma specifica del danno dedotto dall’interessata, richiesta con il ricorso introduttivo al giudice di primo grado, ossia la pronuncia di un ordine all’Amministrazione comunale di acquisire la titolarità formale dei presunti “relitti”, atteso che la stessa, ben lungi dal qualificare la pretesa risarcitoria come correlata alla veduta posizione di interesse legittimo del proprietario medesimo (essa sì pacificamente rientrante, in quanto tale, nella giurisdizione del giudice amministrativo), non muterebbe il titolo risarcitorio del danno ingiusto dedotto conseguente alla esclusione dal procedimento espropriativo ovvero dall’occupazione appropriativa di una frazione del bene per questo non più suscettibile di utile destinazione, per contro rientrante, in forza di quanto si è sopra detto, nella giurisdizione del giudice ordinario.
A quest’ultimo – sempre secondo la decisione resa da questa stessa Sezione – competeva pertanto, in caso di accoglimento della domanda stessa, anche la determinazione delle misure utili a far cessare l’eventuale permanenza dell’illecito, trattandosi in tal senso di questione attinente al merito della pretesa ed, in particolare, all’individuazione delle modalità di tutela della stessa accordate dall’ordinamento.
Per effetto della decisione resa da questa Sezione la sentenza impugnata è stata annullata con conseguente declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Le spese di entrambi i gradi di giudizio sono state integralmente compensate tra le parti.
2.5. Avverso tale decisione la Chillino ha peraltro proposto, a mezzo della Signora Anna Maria Renna, sua figlia nonché procuratrice generale, ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione a’ sensi dell’art. 111 Cost. e dell’allora vigente art. 36 della L. 1034 del 1971.
Il Comune di Lecce si è costituito anche in tale ulteriore grado di giudizio, concludendo per la reiezione del ricorso e proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato.
Con sentenza n. 14696 dd. 18 giugno 2010 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno dichiarato inammissibile il ricorso incidentale e hanno accolto il ricorso principale della Renna dichiarando la giurisdizione del giudice amministrativo.
A tale riguardo le Sezioni Unite medesime hanno confermato anche per il caso in esame l’applicazione del principio di diritto per cui, nel sistema normativo conseguente alla L. 21 luglio 2000, n. 205, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle domande risarcitorie nei casi, qual è quello in esame, qualificabili come di occupazione appropriativa (cfr. sul punto, ad es., Cass., SS.UU., 23 dicembre 2008 n. 30254), rilevando ch,e con riguardo alla successione delle norme nel tempo, le controversie risarcitorie per il danno da occupazione appropriativa, iniziate in periodo antecedente al 1 luglio 1998, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, secondo l’antico criterio di riparto diritti soggettivi – interessi legittimi; e così, le stesse controversie, anche se iniziate nel periodo dal 1 luglio 1998 al 10 agosto 2000, data di entrata in vigore della L. 205 del 2000, restano attribuite al giudice ordinario per effetto della sentenza della Corte Costituzionale 28 luglio 2004 n. 281 che, ravvisando nell’art. 34 del D.L.vo 31 marzo 1998 n. 80 un eccesso di delega anteriormente alla sua riscrittura conseguente all’art. 7 della L. 21 luglio 2000 n. 205, ha dichiarato l’incostituzionalità delle nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva ivi contemplate.
Le stesse Sezioni Unite hanno quindi precisato che diversa conclusione s’impone per le controversie risarcitorie per l’occupazione appropriativa iniziate a partire dal 10 agosto 2000, data di entrata in vigore dell’art. 34 del D.L.vo 80 del 1998 come riformulato per effetto dell’atrt. 7 della L. 205 del 2000, le quali sono per l’appunto attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo: e ciò non già perchè la dichiarazione di pubblica utilità sia di per sè idonea ad affievolire il diritto di proprietà, ma perchè esse sono ricomprese nella giurisdizione esclusiva in materia urbanistica – edilizia, essendo poi la stessa giurisdizione attribuita dall’art. 53 del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 se la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta a partire dal 1 luglio 2003, data di entrata in vigore dello stesso T.U. 327 del 2001 (cfr. sul punto anche Cass. SS.UU., 27 giugno 2007 n. 14794).
A rigore, dalla predetta successione di norme nel tempo discenderebbe quindi – sempre per quanto affermato dalle Sezioni Unite – che per le controversie introdotte anche dopo l’entrata in vigore del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80, e fino all’entrata in vigore della L. 21 luglio 2000, n. 205 – e, pertanto anche per la presente controversia, che è cominciata nel 1999 – la sussistenza al riguardo della giurisdizione del giudice ordinario trattandosi di controversia su diritti soggettivi (così, infatti, Cass. SS.UU., 19 aprile 2007 n. 9321), posto che a’ sensi dell’art. 5 c.p.c. la giurisdizione si determina “con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda”.
Le medesime Sezioni Unite hanno peraltro rimarcato che tale conclusione, ancorchè formalmente ineccepibile, contrasta peraltro con la lettura ragionata che esse hanno costantemente dato nei riguardi del medesimo art. 5 c.p.c., per cui la disciplina in esso contenuta trova essenzialmente la sua ragion d’essere in esigenze di economia processuale e riceve applicazione solo nel caso di sopravvenuta carenza della giurisdizione del giudice adito, e non anche quando il mutamento dello stato di fatto e di diritto comporti l’attribuzione della giurisdizione al giudice che ne era privo, dovendosi in questo caso confermare la giurisdizione di quest’ultimo; e, pertanto, nel caso in cui il giudice amministrativo sia stato adito con domanda di risarcimento danni da occupazione appropriativa allorchè ne era privo (o, il che è lo stesso, solo apparentemente munito, in forza di una disposizione di legge poi dichiarata incostituzionale), la giurisdizione esclusiva deve essergli riconosciuta al momento della pronuncia, per essergli stato in pendenza del giudizio attribuito, dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, il potere di decidere sulla domanda (così, puntualmente, Cass. SS.UU.,16 aprile 2009 n. 8999).
In dipendenza di tutto ciò, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno pertanto dichiarato per il caso di specie la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, adito nel presente giudizio dal privato per la tutela risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione in relazione a fattispecie di occupazione appropriativa, sebbene il potere di decidere sulla domanda gli sia stato attribuito solo da una norma sopravvenuta all’inizio del procedimento.
La decisione resa da questa Sezione è stata conseguentemente cassata con rinvio.
Le spese del giudizio di cassazione sono state integralmente compensate tra le parti.
2.6. A questo punto, con atto notificato a’ sensi e per gli effetti dell’art. 392 cod. proc. civ. il 26 settembre 2010 e depositato il 27 settembre 2010 sub R.G. 4797 del 2002, la Renna, sempre quale procuratrice generale della madre Elena Chillino, ha riassunto il processo innanzi a questa Sezione, reiterando le proprie conclusioni già rassegnate prima della declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo cassata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ossia insistendo per la conferma della sentenza resa in primo grado dal T.A.R.
2.7. Il Comune di Lecce, peraltro, ha a sua volta autonomamente riassunto innanzi a questa stessa Sezione sub R.G. 8531 del 2010 con proprio atto notificato il 23 settembre 2010 e depositato il 14 ottobre 2010 il medesimo procedimento, affermando la sussistenza di un proprio interesse alla definizione del procedimento, e concludendo a sua volta per la declaratoria di inammissibilità della domanda della Chillino proposta in primo grado con ricorso notificato il. 24 giugno 1999 perchè tardiva e prescritta e, in subordine, concludendo per l’infondatezza della medesima.
In via subordinata il Comune ha chiesto a questo giudice d’appello di dichiarare i terreni in questione non qualificabili quali relitti e, per l’effetto, di rigettare la domanda e, ancor più in subordine, di limitare l’eventuale pronuncia di accoglimento della domanda della Chillino a quei soli terreni effettivamente configurabili, previa eventuale consulenza tecnica d’ufficio, quali relitti ex art.23 della L.2359 del 1865.
In dipendenza di ciò le parti hanno aderito in entrambi i procedimenti (R.G. 4797 del 2002 e R.G. 8531 del 2010) al contraddittorio iniziato dal rispettivo avversario, insistendo per le rispettive conclusioni.
2.8. Il Comune, peraltro, ha eccepito anche l’irritualità della riassunzione proposta sub R.G. 4797 del 2002 dalla Renna, affermando l’insufficienza al riguardo della formalità della notifica dell’atto di riassunzione e del suo deposito presso la Segreteria di questo giudice, essendo asseritamente necessaria a suo avviso, al fine di puntualmente rispettare la disciplina contenuta nell’art. 392 cod. proc. civ., anche una nuova iscrizione a ruolo dovendosi nella specie promuovere un nuovo ed autonomo giudizio rescissorio innanzi al giudice del rinvio.
2.8. Con ordinanza collegiale n. 2074 dd. 1 aprile 2011, resa sia per il procedimento pendente sub R.G. 4797 del 2002 che per il procedimento proposto sub R.G. 8531 del 2010, la Sezione ha disposto una verificazione, rimettendo il relativo incombente al Servizio Urbanistico della Regione Puglia.
In particolare, la Sezione ha disposto che il Dirigente pro tempore del Servizio predetto, ovvero un dirigente con profilo professionale tecnico da lui delegato, acquisisca dal Comune di Lecce l’elenco completo delle particelle catastali dei terreni per i quali la parte ricorrente chiede sia disposto l’esproprio quali frazioni residue dei terreni già acquisiti coattivamente dal Comune medesimo, e acquisirà – altresì – i certificati catastali corrispondenti a tali asseriti reliquati.
Per ciascuno di tali terreni il verificatore avrebbe quindi provveduto a formare una scheda comprensiva anche dell’indicazione dell’attuale loro destinazione urbanistica, dell’attuale destinazione urbanistica delle aree contermini e di un congruo numero di fotografie illustrative delle attuali condizioni del preteso reliquato e delle aree contermini.
Il verificatore avrebbe dovuto dare notizia alle parti almeno cinque giorni prima del proprio accesso ai luoghi per l’assunzione dei rilievi fotografici, e ciò al fine di consentire alle parti stesse di intervenire a mezzo dei propri patrocinanti e/o di consulenti di parte, con facoltà di presentare ivi memorie o osservazioni che saranno raccolte a verbale a cura del verificatore medesimo, ovvero di assumere a propria volta ulteriori rilievi fotografici.
Il verificatore avrebbe quindi depositato il proprio elaborato presso la Segreteria della Sezione.
A’ sensi e per gli effetti dell’art. 65, comma 3, cod. proc. amm. la parte ricorrente avrebbe provveduto a corrispondere al verificatore un anticipo sul proprio compenso pari ad € 3.000,00.- (tremila/00).
2.9. Il verificatore ha adempiuto a quanto richiesto mediante deposito sub R.G. 4797 del 2002 in data 21 dicembre 2011 dei propri elaborati.
2.10. Entrambe le parti hanno prodotto in tutti e due i fascicoli ulteriori memorie a sostegno delle rispettive tesi.
Le due cause, concomitantemente chiamate in discussione alla pubblica udienza del 3 aprile 2012, sono state quindi trattenute per la decisione.
3. Il Collegio deve innanzitutto provvedere alla formale riunione – di fatto, peraltro, già avvenuta – dei due procedimenti in epigrafe, stante la ben evidente loro connessione oggettiva.
4.1. Sempre in via preliminare, il Collegio deve pure farsi carico di disaminare l’eccezione di inammissibilità della riassunzione da parte della Renna del procedimento pendente sub R.G. 4797 del 2002 formulata dalla difesa del Comune in relazione alla circostanza che la medesima Renna non ha provveduto nella specie anche ad una nuova iscrizione a ruolo della relativa causa, dovendosi nella specie promuovere – sempre ad avviso della difesa del Comune – un nuovo ed autonomo giudizio rescissorio innanzi al giudice del rinvio.
4.2. Tale eccezione va respinta.
Va in effetti evidenziato che, nell’acclarata mancanza nella disciplina del processo amministrativo – sia antecedentemente all’entrata in vigore del nuovo codice di rito approvato con D.L.vo 2 luglio 2010 n. 104, sia nell’attuale vigenza di tale nuovo ed organico testo normativo della materia – di una specifica disciplina in tema di riassunzione della causa in questo plesso giurisdizionale a seguito della pronuncia da parte delle Sezioni Unite della Cassazione di sentenza attributiva a’ sensi dell’art. 111 Cost. (nonché, ora, degli artt. 110 e 111 cod. proc. amm. e, antecedentemente, a’ sensi dell’art. 36 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034) della giurisdizione al giudice amministrativo viceversa negata da quest’ultimo, la giurisprudenza si è limitata ad affermare, peraltro nella sola e diversa ipotesi di regolamento preventivo di giurisdizione (cfr. art. 10 cod. proc. amm. e art. 41 cod. proc. civ.), che non è necessario un atto di riassunzione del processo, viceversa necessario soltanto allorquando sussista una modifica soggettiva del giudice a seguito di difetto di giurisdizione pronunciato dalla Cassazione e conseguente “translatio iudicii” (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. VI, 15 luglio 2010 n. 4576).
La Renna ha comunque provveduto sub R.G. 4797 del 2002, come del resto ha per parte propria provveduto il Comune sub R.G. 8531 del 2010, alla notifica e al deposito di un formale atto di riassunzione del procedimento, e ciò nel rilievo che questa Sezione si era comunque nella specie spogliata del processo dichiarando al riguardo la sussistenza della giurisdizione ordinaria; e da qui, pertanto, la tesi che non fosse al riguardo sufficiente una mera istanza di fissazione di nuova udienza indirizzata al Presidente di questa stessa Sezione, come viceversa avvenuto per il testè citato precedente di Cons. Stato, Sez. VI, n. 4576 del 2010 dove la riassunzione – come detto innanzi – conseguiva a seguito di decisione da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di un regolamento preventivo di giurisdizione.
In tal modo, pertanto, entrambe le parti si sono risolte – a ben vedere – a correttamente applicare nella specie la disciplina contenuta nell’art. 392 cod. proc. civ.; ma risulta altrettanto evidente che la disciplina medesima, di per sé de plano estensibile al processo amministrativo proprio in ragione della sua estrema puntualità, come risultante anche dalla novella apportata con l’art. 46, comma 21, della L. 18 giugno 2009 n. 69, e dell’assenza in essa di previsioni specifiche del rito civile (“1. La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio può essere fatta da ciascuna delle parti non oltre tre mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione. 2. La riassunzione si fa con citazione, la quale è notificata personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti”), non può essere “esportata” nell’ordinamento processuale amministrativo – come viceversa vorrebbe la difesa del Comune – anche mediante il richiamo ad istituti propri del processo civile e, per l’appunto, esplicitamente non previsti nel processo amministrativo, quali l’iscrizione a ruolo di cui agli artt. 165 e 168 cod. proc. civ.
L’eccezione di inammissibilità della riassunzione operata dalla Renna sub R.G. 4797 del 2002 va, pertanto, respinta.
5. Allo stesso tempo, peraltro, va pure dichiarata l’improcedibilità della riassunzione autonomamente operata dal Comune sub R.G. 8531 del 2010.
Non è per certo qui in contestazione la sussistenza in capo al Comune medesimo di un interesse a riassumere la causa concomitante a quello fatto valere dalla Renna; ma risulta altrettanto evidente che dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che ha stabilito la sussistenza nella specie della giurisdizione del giudice amministrativo, discende la necessità di “riattivare” lo stesso fascicolo a suo tempo definito con la statuizione di questa stessa Sezione dichiarativa dell’insussistenza al riguardo della giurisdizione del giudice amministrativo: statuizione, per l’appunto, annullata dalle Sezioni Unite e che dovrà essere sostituita da una diversa statuizione da parte di questo stesso giudice, definitiva del merito di causa e che non può che trovare i propri presupposti materiali nel fascicolo di causa ab origine “alimentato” con il ricorso in appello proposto dallo stesso Comune, nonché con tutte le conseguenti memorie di entrambe le parti e – soprattutto – con la già avvenuta acquisizione in esso del fascicolo di primo grado: ossia con tutti gli atti e documenti che sono imprescindibili per l’emanazione della sentenza nel presente, nuovo giudizio.
6.1. Tutto ciò premesso, l’appello proposto sub R.G. 4797 del 2002 va accolto.
6.2. Dall’esame delle schede predisposte dal verificatore, consta innanzitutto che la maggior parte degli appezzamenti di terreno per i quali la Chillino ha chiesto l’acquisizione alla proprietà comunale a’ sensi dell’art. 23 della L. 2359 del 1865 sono attualmente destinati a’ sensi del vigente art. 93 delle N.T.A. del P.R.G. ad “aree attrezzate per attività ricreative e sportive dei bambini e dei ragazzi e comprendono campi da gioco fino all’età della scuola dell’obbligo, i campi Robinson e le attrezzature sportive e ricreative per tipo e categoria. In tali aree è vietata qualsiasi edificazione, ad eccezione di costruzioni in precario occorrenti per ripostiglio attrezzi per giardinaggio, piccoli locali per servizi igienici e spogliatoi, chioschi per ristoro e uso bar” (cfr. art. 93 cit.).
Si tratta, segnatamente, delle aree corrispondenti al foglio n. 215, particelle n. 8 (mq. 428), n. 9 (mq. 371), n. 10 (mq. 1.734), n. 11 (mq. 1.229), n. 12 (mq. 4.974), n. 480 (mq. 1.590) e n. 816 (mq. 630)
Altri due appezzamenti di terreno, corrispondenti al foglio n. 215, particelle nn. 353 e e 354 e rispettivamente pari a mq. 1.225 e a mq. 633, sono attualmente destinati a’ sensi dell’art. 94 delle vigenti N.T.A. del P.R.G. ad “attrezzature sportive regolamentari” e ad “impianti coperti e scoperti, con esclusione delle attrezzature di spettacoli a livello urbano, destinate ai giovani, agli adulti ed agli anziani. Tali attrezzature saranno collegate ed integrate con ampie aree libere alberate o a parco e dovranno preferibilmente contenere impianti sportivi con più specialità”.
Orbene, con ogni evidenza le sopradescritte destinazioni urbanistiche di tali nove appezzamenti di terreno sostanziano comunque vincoli di carattere conformativo nei riguardi della proprietà, e non sono pertanto preordinati all’espropriazione
In tal senso, la proprietà può pertanto intraprendere sugli appezzamenti medesimi le attività ammesse dalla disciplina di piano, potendo con ciò trarre utili dalle stesse; il che, pertanto, nella specie ex se esclude la sussistenza del danno indiretto (o, se si preferisce, riflesso) costituito dall’incisione sul bene discendente dall’ablazione consumata su altro cespite del medesimo proprietario e che potrebbe altrimenti costituire idoneo presupposto perché questi chieda e ottenga l’ampliamento dell’espropriazione da lui subita.
Per quanto attiene invece agli appezzamenti di terreno corrispondenti al foglio n. 215, particelle n. 7 (mq. 1.813), n. 482 (mq. 330), n. 19 (mq. 100) e n. 22 (mq. 271), a’ sensi dell’art. 116 delle N.T.A. del P.R.G. consta che essi “comprendono le aree già impegnate dalle sedi viarie esistenti e quelle destinate dal P.R.G. al loro ampliamento ed alla formazione della nuova viabilità livello urbano e comprensoriale, inclusi gli svincoli, gli spazi di sosta di servizio e le aree di raccordo. In tali zone è consentita la realizzazione delle opere di sistemazione delle sedi stradali, dei raccordi e degli spazi connessi e quelle relative ai servizi funzionali (illuminazione, segnaletica) ed alle canalizzazioni degli impianti tecnologici urbani (acquedotto, fognature, reti elettriche, telefoniche e del gas). Gli interventi sono soggetti alla formazione di piani particolareggiati di esecuzione, estesi anche ai comparti più ampi che includano aree con destinazione residenziale o diversa allo scopo di conseguire l’attuazione del sistema viario previsto dal P.R.G. con la ripartizione percentuale degli utili e degli oneri secondo la disciplina sui comparti fissata dall’art. 15 della L.R. 12 febbraio 1979 n. 6”
Va peraltro evidenziato che, per quanto segnatamente attiene alla particella n. 816 del medesimo foglio n. 215, estesa per complessivi mq. 630, la destinazione prevista è in parte quella propria del testè riferito art. 116, nel mentre per il resto l’appezzamento è assoggettato per un sua porzione all’art. 117 delle N.T.A. del P.R.G., riguardante gli “spazi pubblici destinati alla viabilità”, comprendenti “aree acquisite dalla pubblica amministrazione mediante piani particolareggiati di eecuzione e sistemate a verde con alberature compatibili con l sicurezza del traffico”, e per la parte residua a zona residenziale urbana con edificazione a schiera e in linea, a’ sensi dell’art. 55 delle N.T.A. del P.R.G.
Per quanto attiene poi all’appezzamento corrispondente alla particella n. 7 dello stesso foglio n. 7, estesa per mq. 1.813, la destinazione è in parte quella propria del predetto art. 116, nel mentre per il resto è destinato a “zona F38 – verde di arredo stradale”, disciplinata a sua volta dal testè riferito art. 117.
Da ultimo, l’appezzamento corrispondente alla particella n. 413 dello stesso foglio n. 215 ed esteso per mq. 500, è destinato in parte a “zona B11 – residenziale urbana densa” (art. 54 delle N.T.A. del P.R.G.), in parte a “zonaF16-parcheggi pubblici” (art. 95 delle N.T.A. del P.R.G.), in parte a “zona F38 – verde di arredo stradale” (art. 117 delle N.T.A. del P.R.G.) e per il residuo a “zona per la viabilità” (art. 116 delle N.T.A. del P.R.G.).
Orbene, va innanzitutto evidenziato che per quanto attiene ai vincoli a contenuto chiaramente espropriativo imposti su parte delle particelle nn. 7, 413 e 816 essi sono scaduti a’ sensi dell’art. 2 della L. 19 novembre 1968 n. 1187 e dell’art. 9 del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 in quanto la relativa disciplina consta essere entrata in vigore l’1 settembre 1990, e che la Chillino – comunque titolare per il relativo sedime di uno ius aedificandi nei limiti di cui all’art. 4 della L. 28 gennaio 1977 n. 10 e dell’art. 9 del medesimo T.U. 327 del 2001 – non consta abbia chiesto la riqualificazione della destinazione urbanistica per le relative.
Per quanto attiene invece alle residue previsioni, contemplanti la mera eventualità di esproprio a seguito di piano particolareggiato di esecuzione va evidenziato cme ogni pretesa risarcitoria, anche mediante l’estensione dell’espropriazione a suo tempo disposta per le aree contermini, risulta ad oggi assodatamente non azionabile: conclusione, questa, che per la sua assorbenza può essere comunque estesa a tutte le anzidette aree di proprietà della Chillino.
All’epoca in cui la medesima Chillino ha subito l’esproprio del compendio immobiliare di sua proprietà, la tutela della sua posizione in ordine alle aree da lei reputate relitte andava per certo individuata – per l’appunto – nella possibilità di chiedere all’Amministrazione espropriante, a’ sensi dell’art. 23 della L. 2359 del 1865, l’estensione del provvedimento ablativo a tali residue frazioni del fondo appreso, ovvero, a’ sensi dell’art. 40 della stessa L. 2359 del 1865, di chiedere in sede di liquidazione dell’indennità di espropriazione anche il riconoscimento del decremento di valore che fosse derivato dall’esecuzione dell’opera pubblica alla porzione di terreno rimasta di sua proprietà (cfr. su tale alternatività, e sulla conseguente differenziazione delle rispettive posizioni giuridiche fatte rispettivamente valere, la prima di interesse legittimo e la seconda di diritto soggettivo, le già citate sentenze di Cass., Sez. I, 4 giugno 1981 n. 3603 e 26 settembre 1997 n. 9478).
Per quanto attiene all’incremento dell’indennità di espropriazione, esso non è più per certo ottenibile dopo l’avvenuta accettazione di quest’ultima da parte della Chillino; e per quanto attiene invece all’estensione dell’espropriazione medesima agli asseriti relitti, risulta parimenti evidente che l’altrettanto assodata realizzazione del piano urbanistico per il quale il procedimento ablatorio era stato promosso ad oggi preclude ex se l’accoglimento della relativa richiesta.
A quest’ultimo riguardo, giova infatti rimarcare che l’interesse pubblico perseguito dall’Amministrazione Comunale è stato pienamente conseguito da quest’ultima con il completamento del P.E.E.P., e che l’apprensione delle aree rimaste in proprietà alla Chillino poteva ricondursi al perseguimento dell’interesse pubblico medesimo soltanto allorquando l’Amministrazione stessa avrebbe potuto ragionevolmente valutare l’utilità di integrare il Piano non ancora completamente attuato mediante l’aggiuntiva utilizzazione delle aree in questione.
La già avvenuta realizzazione del P.E.E.P. non consente, pertanto, di riconsiderare l’interesse pubblico ad esso sotteso; e, semmai, se ciò dovesse avvenire risulterebbe con ogni evidenza che in tal modo l’Amministrazione Comunale tutelerebbe in realtà l’interesse di un privato non curato dal suo titolare nel tempo dovuto, e lo sviamento dell’azione amministrativa dal pubblico fine condurrebbe verosimilmente a conseguenze oltremodo negative non solo sul piano del sindacato di legittimità attribuito a questo giudice.
In tal senso, pertanto, la conclusione del giudice di primo grado secondo la quale l’Amministrazione Comunale dovrebbe, a distanza di svariati anni e a P.E.E.P. del tutto realizzato, accogliere comunque la domanda di espropriazione delle aree per l’innanzi non apprese risulta all’evidenza priva di qualsivoglia fondamento.
7. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti.
Va peraltro posto a carico di Renna Anna Maria il pagamento del contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche relativo al presente grado di giudizio.
8. Le spese della verificazione tecnica disposta dalla Sezione sono liquidate nella misura di € 5.000,00 (cinquemila/00) e sono parimenti poste a carico di Renna Anna Maria.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sui giudizi in epigrafe, previa loro riunione, dichiara improcedibile il ricorso proposto sub R.G. 8531 del 2010, nel mentre accoglie il ricorso proposto sub R.G. 4797 del 2002 dal Comune di Lecce e, per l’effetto, e in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto da Chillino Elena innanzi al T.A.R. per la Puglia, Sede di Lecce, sub R.G. sub R.G. 1618 del 1999.
Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.
Pone a carico di Renna Anna Maria il pagamento del contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche relativo al presente grado di giudizio.
Pone altresì a carico di Renna Anna Maria le spese di verificazione, complessivamente liquidate nella misura di € 5.000,00 (cinquemila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2012 con l’intervento dei magistrati:

Gaetano Trotta, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

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