Amministrativa

Esclusione dal ii concorso a 500 posti per sergenti in spe dell’aeronautica mil. – Consiglio di Stato Sentenza n. 5879/2012

sul ricorso numero di registro generale 6274 del 2008, proposto da:
Mattioni Luca, rappresentato e difeso dagli avv. Sandro Salvatore Rapisarda, Antonino Romeo, con domicilio eletto presso Sandro Salvatore Rapisarda in Roma, via Garofolini N. 7;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Gen.Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; Direzione Generale Per il Personale Militare;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I BIS n. 05095/2008, resa tra le parti, concernente esclusione dal ii concorso a 500 posti per sergenti in spe dell’aeronautica mil.

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 5879/2012 del 20.11.2012

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 maggio 2012 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Antonino Romeo e Melania Nicoli (avv.St.);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. Con l’appello in esame, il sig. Luca Mattioni impugna la sentenza 26 maggio 2008 n. 5095, con la quale il TAR per il Lazio, sez. 1 – bis, ha respinto il suo ricorso proposto avverso l’atto di esclusione dal II concorso a 500 posti per l’immissione nel ruolo dei sergenti in servizio permanente dell’Aeronautica Militare (D.M. 19 febbraio 1997 n. N2/022).
La sentenza appellata afferma:
– non sussiste il vizio di difetto di motivazione, posto che l’esclusione dal concorso è stata disposta per difetto del requisito della moralità che “deriva dal fatto che il ricorrente è stato condannato, previo patteggiamento, alla pena di 1 mese e 24 giorni di reclusione per il reato di truffa militare”;
– non vi è violazione del principio del “ne bis in idem” (in quanto l’Amministrazione, essendosi limitata a “recepire pedissequamente gli accertamenti che hanno condotto alla sentenza di condanna in sede penale” avrebbe inflitto al ricorrente una seconda pena per lo stesso fatto), poiché il presupposto del’esclusione dal concorso non è la suddetta sentenza di condanna, ma “la specifica normativa che preclude la partecipazione allo stesso a chi non sia in possesso del requisito della moralità”, ed è dunque evidente che l’esclusione non costituisce una sanzione penale ulteriore;
– l’amministrazione “ben può posticipare ad un momento successivo a quello della presentazione della domanda di ammissione la fase di verifica della sussistenza dei requisiti”;
– non sussiste onere di comunicazione dell’avvio del procedimento, poiché lo stesso “era già in corso”;
– non vi è alcuna illegittimità nel fatto che l’amministrazione abbia disposto l’esclusione del ricorrente dal concorso “quando ormai lo stesso era stato dichiarato vincitore ed assunto in servizio”, dato che “l’assunzione era risolutivamente condizionata alla verifica della sussistenza dei requisiti di ammissione”, tra i quali quello della moralità.
Avverso tale sentenza, sono stati proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in iudicando; violazione art. 3, co. 3, e 9, co. 1, l. n. 205/2000; poiché il Tribunale ha pronunciato sentenza in forma semplificata in pubblica udienza, mentrè ciò è possibile solo in sede cautelare “sentendo sul punto le parti costituite, cosa non avvenuta nel caso di specie”;
b) error in iudicando; violazione art. 2, comma 4, e 13, comma 1, del bando di concorso; poiché non era possibile escludere l’appellante dal concorso, dopo che lo stesso era stato dichiarato vincitore ed immesso nel servizio permanente, e ciò senza adempiere ad alcun onere di comunicazione dell’avvio del procedimento, invece necessario perché dopo l’approvazione della graduatoria il procedimento di concorso si era ormai concluso. In definitiva, il provvedimento dell’amministrazione, in quanto adottato dopo la conclusione del concorso, si atteggia quale “destituzione non giustificata da un corretto riferimento normativo”;
c) error in iudicando; difetto di motivazione; difetto dei presupposti; poiché “la rilevata mancanza nel ricorrente del requisito della condotta e delle qualità morali . . . era ricavata esclusivamente dalla sentenza patteggiata, senza considerare che tale tipo di sentenza prescinde dall’accertamento giurisdizionale completo ed esauriente dell’oggettiva sussistenza del reato e della colpevolezza dell’accusato”; di modo che l’amministrazione avrebbe dovuto svolgere “autonome indagini per appurare la veridicità dei fatti contestati”. Peraltro, solo a seguito dell’entrata in vigore del comma 1-bis dell’art. 653 c.p.p. (introdotto dalla l. n. 97/2001), la sentenza patteggiata ha “efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare”;
d) error in iudicando; difetto di motivazione; contraddittorietà; violazione di legge; poiché l’amministrazione, per gli stessi fatti, ha inflitto una semplice sanzione di corpo di gg. 5 di consegna di rigore durante l’espletamento del servizio militare in ferma volontaria quinquennale, “giudicandoli compatibili con la prosecuzione del rapporto”, mentre questi, in sede di ammissione al concorso, “si trasformano contraddittoriamente in ostacolo insuperabile”. Inoltre, il provvedimento è stato assunto a diversi anni di distanza dai fatti, senza considerare il positivo svolgimento medio tempore del servizio.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
All’odierna udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. Il Collegio ritiene innanzi tutto infondato il primo motivo di appello (sub a) dell’esposizione in fatto), con il quale si lamenta la pronuncia di sentenza in forma semplificata a seguito di udienza pubblica e senza il previo interpello delle parti.
E’ del tutto evidente che la tipologia della sentenza (se essa sia, per definizione del giudice, “in forma semplificata”, ovvero sia una ordinaria sentenza) non assume alcuna rilevanza, allorchè la causa sia stata fissata per l’udienza pubblica ai fini della sua decisione. Ed infatti, è questa la sede ordinaria per la definizione delle controversie e che consente la migliore esplicazione del diritto di difesa.
Se, peraltro, una sentenza pronunciata a seguito di udienza pubblica è definita – come nel caso di specie – “in forma semplificata” (con ciò supponendosi una più stringata motivazione in relazione all’esame e decisioni assunte sui motivi di ricorso), ciò rileva non sul piano formale (poiché è irrilevante la qualificazione formale dell’atto del giudice), bensì sul piano sostanziale, e cioè in ordine alla concreta adeguatezza della motivazione che sorregge la pronuncia medesima.
Il che comporta, a tutta evidenza, la proposizione in sede di impugnazione di una censura afferente al difetto di motivazione, e non già di una censura meramente formale e, come tale, infondata.

3. Il Collegio ritiene, invece, che l’appello deve essere accolto, in relazione al secondo motivo di impugnazione (sub b) dell’esposizione in fatto), con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi proposti.
Con tale motivo di gravame, l’appellante lamenta che la sentenza impugnata ha malamente considerato il motivo del ricorso instaurativo del giudizio di I grado, con il quale si era dedotto che non era possibile escludere l’appellante dal concorso, dopo che lo stesso era stato dichiarato vincitore ed immesso nel servizio permanente, effettuando ciò senza adempiere ad alcun onere di comunicazione dell’avvio del procedimento, onere invece necessario perché dopo l’approvazione della graduatoria il procedimento di concorso si era ormai concluso.
Pur non condividendo il profilo di tale motivo con il quale il ricorrente sostiene che, per effetto delle suddette violazioni, il provvedimento di esclusione, in quanto adottato dall’amministrazione dopo la conclusione del concorso, si atteggia quale “destituzione non giustificata da un corretto riferimento normativo”, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, l’amministrazione, ai fini della verifica dei requisiti di partecipazione al concorso, avrebbe dovuto adempiere ad un onere di comunicazione, ex art. 7 l. n. 241/1990.
Ed infatti, se è senza dubbio condivisibile che la verifica del possesso dei requisiti di partecipazione ad un concorso può essere effettuata anche in un momento del procedimento concorsuale posposto allo svolgimento delle prove, occorre nondimeno affermare che – perché possa non occorrere alcuna comunicazione di avvio di procedimento – il procedimento concorsuale deve essere “in atto” e non, invece, concluso.
E ciò proprio perché – come sostenuto dall’amministrazione appellata (v. memoria di costituzione, pag. 3) – la verifica dei requisiti consiste in un sub-procedimento del procedimento concorsuale.
Né a conclusioni diverse si giunge sulla base dell’art. 2, co. 4, del bando di concorso, in base al quale “i candidati che risultassero, ad una verifica anche postuma, in difetto di uno o più dei requisiti richiesti saranno esclusi dal concorso ovvero, se vincitori, dichiarati decaduti dalla nomina”.
Ed infatti, la verifica “postuma”, se effettuata in itinere (cioè a procedimento concorsuale non ancora definito con l’approvazione della graduatoria), comporta l’esclusione del candidato dal concorso, mentre, se interviene dopo detta conclusione, comporta il diverso provvedimento di decadenza dalla nomina.
Il che, a tutta evidenza, dimostra come, nella seconda ipotesi (che è quella che ricorre nella presente sede), si configura un distinto procedimento amministrativo, volto a concludersi (eventualmente) con un provvedimento di decadenza. Appare, dunque, necessaria – a maggior ragione in presenza di un intervenuto consolidamento di posizioni sostanziali del candidato ora vincitore ed immesso in servizio – l’invio della comunicazione di avvio di tale procedimento.
Per le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza appellata ed accoglimento del ricorso instaurativo del giudizio di I grado.
Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Mattioni Luca (n. 6274/2008 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente FF
Diego Sabatino, Consigliere
Guido Romano, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

 

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