Amministrativa

Rideterminazione del trattamento pensionistico integrativo – Consiglio di Stato Sentenza 6194/2012

sul ricorso numero di registro generale 1001 del 2007, proposto dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, rappresentato e difeso dagli avvocati Valerio Mercanti, Elisabetta Lanzetta, Patrizia Tadris dell’ufficio legale dell’ente e presso quest’ultimo domiciliato in Roma, via della Frezza, 17;
contro
XX, rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Boer, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Cola di Rienzo, 69;
per la riforma della sentenza del t.a.r. lazio – roma, sezione iii quater n. 11074/2006, resa tra le parti, concernente rideterminazione del trattamento pensionistico integrativo;

Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 6194/2012 del 04.12.2012

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2012 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Lanzetta e De Angelis per delega dell’avv. Boer;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Roma, sez. III quater, n. 11074/06, notificata il 23.11.2006 è stato accolto il ricorso proposto dalla signora Anna Mattera, per il riconoscimento del proprio diritto alla rideterminazione della pensione integrativa erogata dal Fondo di Previdenza dell’INPS, in relazione alla quota di pensione dell’Assicurazione Generale Obbligatoria cosiddetta “esclusiva”, liquidata sulla base delle contribuzioni versate.
Nella citata sentenza, disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione, si riteneva che la valutazione del periodo relativo ad attività estranee all’INPS e antecedenti all’assunzione in servizio presso tale Istituto dovesse essere considerato per intero e che il periodo successivo fosse sottoposto al criterio ordinario (intera valutazione del servizio fino al 31 dicembre 1992, secondo il sistema retributivo e valutazione del servizio successivo in base al sistema contributivo). La riduzione eccedente il periodo massimo valutabile di 2080 settimane, inoltre, dovrebbe essere effettuata sull’anzianità contributiva, relativa alla quota di pensione, per cui la retribuzione pensionabile fosse di importo meno elevato. Veniva quindi riconosciuta l’intangibilità della quota di pensione AGO esclusiva, risultante da periodi di contribuzione non coincidenti con quelli di iscrizione al Fondo integrativo, con declaratoria del diritto della ricorrente all’attribuzione di un’ulteriore quota esclusiva, derivante dalla omogeneizzazione delle componenti della retribuzione, ai fini dei due trattamenti pensionistici (di base ed integrativo) e del relativo raffronto, ai sensi dell’art. 21, comma 1 del regolamento del medesimo Fondo.
In sede di appello (n. 1001/07, notificato il 19.1.2007) si sottolineava come la ricorrente – ex dipendente dell’INPS, collocata a riposo il 28.3.1997 e titolare di pensione ordinaria dal 1985 – chiedesse un accertamento riferito ad un rapporto previdenziale autonomo, nato al di fuori del rapporto di impiego intrattenuto con l’Ente e produttivo di autonomi effetti, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario, chiamato a valutare la legittimità di una determinazione dell’INPS non come ex datore di lavoro, ma in quanto soggetto obbligato alla prestazione come gestore dell’assicurazione generale. Ai dipendenti INPS era infatti riservata un’assicurazione integrativa, tale da consentire di raggiungere (in aggiunta al trattamento pensionistico erogato dall’assicurazione obbligatoria) un trattamento pensionistico complessivo pari a tanti quarantesimi dell’ultima retribuzione spettante, fino ad un massimo di quaranta quarantesimi. Nel caso della dott.ssa Matera la quota esclusiva sarebbe stata correttamente determinata dalla differenza fra il tetto massimo di anzianità contributiva, pari a 2080 settimane nell’assicurazione generale obbligatoria e l’anzianità totale dei periodi di impiego presso l’Istituto, andando a ritroso nel tempo a partire dall’ultimo periodo di paga (marzo 1997), fino al periodo più remoto utile per la determinazione dell’importo, secondo i sistemi di calcolo dell’assicurazione generale obbligatoria; per la quota eccedente le 2080 settimane sono state contratte, pertanto, le anzianità pregresse e non – come stabilito nella sentenza appellata – quelle corrispondenti al servizio prestato presso l’Istituto: in pratica, riduzione sulla quota A (quella antecedente più favorevole, calcolata col metodo retributivo, anziché sulla quota B, calcolata col metodo contributivo).
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che la sentenza di primo grado meriti conferma, previa valutazione della sussistenza di giurisdizione del giudice amministrativo nella materia di cui trattasi.
Sotto quest’ultimo profilo, in effetti, sono rilevabili indirizzi giurisprudenziali non univoci: la stessa sentenza richiamata come precedente conforme (TAR Lazio, Roma, sez. III quater, n. 5430 del 5.7.2006) nella pronuncia di primo grado attualmente in esame risulta annullata per difetto di giurisdizione in grado di appello (Cons. St., sez. VI, n. 235/08 del 29.1.2008). Ampiamente prevalente – e condiviso dal Collegio – tuttavia, è l’opposto indirizzo, secondo cui le domande di ex dipendenti dell’INPS, concernenti la riliquidazione della pensione integrativa a carico del fondo di previdenza del personale dello stesso Istituto, sono da considerarsi devolute alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo, non afferendo ad un rapporto previdenziale autonomo rispetto al rapporto di impiego, ma riguardando spettanze di natura sostanzialmente retributiva, che in detto rapporto trovano titolo diretto ed immediato (ovviamente, per i rapporti di lavoro presso pubbliche amministrazioni ormai privatizzati, solo per vicende anteriori al 30 giugno 1998: cfr., per i principi affermati, Cass. civ. SS.UU. 1.7.2010, n. 15645, 23.4.2008, n. 10464, 9.5.2000, n. 296; 29.8.1998, n. 8601, 16.3.1994, n. 2479, 16.11.1992, n. 12257; Cons. St., sez. VI, 23.2.2004, n. 699, 13.7.1998, n. 1058). Non condivisibile, al riguardo, appare l’eccezione sollevata dai legali dell’INPS nel caso di specie, in quanto la gestione del Fondo di cui trattasi deve considerarsi affidata all’Ente non solo quale gestore di un rapporto assicurativo, ma anche come datore di lavoro, per il periodo in cui il rapporto di impiego instaurato prevedeva la maturazione di una pensione integrativa, nei termini – riconducibili a detto rapporto – ora in discussione.
Nel merito, il Collegio ritiene non condivisibili le argomentazioni della parte appellante, che non fornisce chiari presupposti normativi alla tesi, secondo cui – in presenza di un rapporto di lavoro, valido ai fini pensionabili – superiore al periodo massimo previsto come base di calcolo per la pensione integrativa (2080 settimane), il calcolo dovrebbe essere fatto a ritroso, partendo dall’ultimo periodo di paga (nel caso di specie: marzo 1997), in tal modo determinando un abbassamento dell’assegno da corrispondere, in misura non contestata nel “quantum” nella situazione in esame, a seguito di criteri di calcolo meno favorevoli, decorrenti dal 1° gennaio 1993, ex art. 13 del d.lgs. n. 503/1992 (trattamento pensionistico commisurato alle anzianità contributive e non più all’ultima retribuzione percepita).
Non si ravvisano, infatti, elementi a sostegno delle tesi difensive dell’Ente nell’art. 21, comma 3 del relativo regolamento per il personale, né nella circolare interpretativa n. 153 del 9.7.1993, che dispongono quanto segue: “Qualora l’impiegato possa far valere nell’assicurazione obbligatoria periodi di contribuzione sostenuta in proprio, o non compresi nel computo dei periodi di servizio effettivo presso l’Istituto e di quelli considerati tali, l’ammontare della pensione dell’assicurazione obbligatoria, agli effetti della determinazione della pensione integrativa, è rapportato, secondo il criterio di liquidazione della stessa pensione obbligatoria, , o ai contributi versati o alla durata dei periodi di contribuzione relativi, in entrambi i casi, al predetto servizio effettivo e a quello considerato tale” (art. 21 regolamento cit.); “Nel caso in cui il totale delle settimane di anzianità complessivamente acquisite dall’interessato, nella stessa gestione assicurativa, sia maggiore di 2080, la riduzione….deve essere effettuata sull’anzianità contributiva, relativa alla quota di pensione la cui retribuzione pensionabile è di importo meno elevato” (circolare n. 153 cit.).
La prima delle disposizioni sopra riportate consente la valutazione, ai fini pensionistici generali, dei periodi di contribuzione ulteriori, rispetto a quelli riconducibili al servizio effettivo presso l’Istituto; la seconda precisa che la riduzione – riferita al periodo eccedente le 2080 settimane – debba essere riferita al periodo, in cui la retribuzione pensionabile fosse di importo meno elevato (con sostanziale attribuzione, quindi, del trattamento più favorevole per il dipendente all’atto del collocamento a riposo: principio esattamente opposto a quello sostenuto dall’INPS nella situazione in esame).
Il principio interpretativo del trattamento più favorevole – in assenza di esplicite prescrizioni normative di segno contrario – è invece condiviso dal Collegio, sia per la maggiore coerenza di criteri di calcolo, applicati dall’inizio dell’attività lavorativa utile ai fini pensionistici, in presenza di un’assicurazione integrativa comunque agganciata a quella generale obbligatoria, sia per evidenti ragioni non solo equitative, ma di razionalità dei criteri stessi, non potendo la pur consentita permanenza in servizio, al di là del periodo contributivo massimo valutabile ai predetti fini, tradursi in un progressivo danno per il lavoratore, a seguito dell’applicazione di regole meno favorevoli, successivamente intervenute.
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ritiene di poterne disporre la compensazione, tenuto conto della complessità della normativa di riferimento.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.
Compensa le spese giudiziali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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