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Conferimento d’azienda prima, cessione quote poi: rischio elusione – Cassazione Civile Ordinanza 6835/2013

hqdefaultIl termine triennale di decadenza per richiedere la maggiore imposta decorre dalla domanda di registrazione dell’ultimo atto dell’unica fattispecie complessa

L’articolo 20 del Dpr 131/1986 (Tur) è norma antielusiva. La Corte di cassazione, con l’ordinanza 6835 del 19 marzo, ha affrontato nuovamente la vexata quaestio circa la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di riqualificare, ai fini dell’imposta di registro, in cessione diretta d’azienda l’operazione “spezzettata” di conferimento di azienda seguita dalla cessione delle quote di partecipazioni.

La questione controversa
I conferimenti di azienda o di loro rami scontano l’imposta di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa (168 euro) ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 4 della Tariffa allegata al Tur, e degli articoli 4 e 10 del Dlgs 347/1990. Stesso trattamento è riservato alla cessione di partecipazione, assoggettata a imposta in misura fissa (articolo 11 della Tariffa).

La cessione diretta d’azienda sconta invece l’imposta di registro in misura proporzionale, a partire da un’aliquota del 3%, ex articolo 9 della Tariffa, sino ad aliquote ben più elevate in presenza di immobili ex articolo 1 della medesima Tariffa.
L’Amministrazione finanziaria, facendo leva sull’articolo 20 del Tur, tende a riqualificare la concatenazione negoziale conferimento di azienda seguita da cessione delle quote in cessione diretta d’azienda, assoggettata, come detto, a imposta di registro in misura proporzionale.

La vicenda processuale
L’Amministrazione finanziaria emetteva avviso di liquidazione, con il quale riqualificava in cessione di azienda l’operazione “spezzettata” di conferimento di azienda seguita da cessione delle partecipazioni e, conseguentemente, recuperava a tassazione la maggiore imposta di registro.

Il ricorso del contribuente veniva respinto dalla Ctp, ma accolto dalla Ctr, che disponeva l’annullamento dell’avviso di liquidazione sulla base del presupposto che “l’atto impositivo doveva consistere in quello di accertamento, e non piuttosto di liquidazione trattandosi di imposta complementare e non suppletiva”. La Ctr riteneva, conseguentemente, che l’Amministrazione fosse decaduta dal potere di accertamento dovendo trovare applicazione il termine biennale di cui all’articolo 76, comma 1-bis, del Tur.

La Corte suprema ha accolto il ricorso dell’Amministrazione, cassando con rinvio la decisione della Ctr sulla base di argomentazioni che possono essere così riassunte:
il termine di decadenza a disposizione dell’ufficio, nel caso di rettifiche ex articolo 20 del Tur, a prescindere dal carattere complementare o suppletivo della maggiore imposta, è di tre anni, dovendo applicarsi il termine di cui all’articolo 76, comma 2, lettera c, che “decorre dalla domanda di registrazione dell’ultimo atto dell’unica fattispecie complessa”. In ogni caso, la Cassazione ha ritenuto di specificare espressamente che l’imposta richiesta, in caso di rettifiche ex articolo 20, ha natura suppletiva, essendo dovuta in conseguenza di “errore od omissione” in sede di liquidazione dell’imposta principale
il legislatore, nella formulazione dell’articolo 20, ha privilegiato, la “intrinseca natura e gli effetti giuridici” al “titolo o la forma apparante” di essi. Ciò comporta che “nell’individuazione della materia imponibile dovrà darsi la preminenza assoluta alla causa reale sull’assetto cartolare, con conseguente tangibilità, sul piano fiscale, delle forme negoziali in considerazione della funzione antielusiva sottesa alla disposizione in parola”. La Corte di cassazione chiude inoltre ricordando che il divieto di abuso di diritto si traduce in un principio generale antielusivo.

Considerazioni conclusive
Con tale ordinanza, la Corte di cassazione conferma la propria lettura in chiave antielusiva dell’articolo 20 del Dpr 131/1986 e conferma la possibilità dell’Amministrazione finanziaria di procedere all’interpretazione dell’atto non limitandosi al solo contenuto, ma facendo riferimento anche a elementi extratestuali nonché a eventuali collegamenti negoziali con atti diversi.
Si ricorda, infatti, che in termini pressoché identici la Corte di cassazione si è già espressa con le sentenze 14900/2011 e 2713/2002, oltre che con le sentenze 1913/2007 e 9162/2010 richiamate nella stessa ordinanza.

La giurisprudenza di merito sul punto si è dimostrata però, a oggi, alquanto altalenante. Si vedano, infatti, fra le tante sentenze contrarie, la 45/2009 della Ctp di Treviso, la 65/2011 della Ctp di Prato e la 388/2010 della Ctp di Milano.
Inoltre, va segnalato che, in senso critico, si sono espresse l’Associazione italiana dei dottori commercialisti (norma di comportamento n. 186 del 2012) e il Consiglio nazionale del notariato (studio n. 95 del 2003), che, da una parte, hanno negato la portata di norma antielusiva generale all’articolo 20 e, dall’altra, hanno escluso che l’operazione di cessione di azienda possa avere identico valore economico dell’operazione di conferimento associata alla cessione delle quote di partecipazione.

La Corte di cassazione è però, come detto, ben salda nelle proprie conclusioni.

Mauro Faggion – nuovofiscooggi.it

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