Penale

Confisca dei beni all’imprenditore che non ha versato l’Iva

hqdefaultEd è del tutto irrilevante, secondo la sezione penale della Corte suprema, che l’immobile sequestrato al contribuente sia stato oggetto di conferimento in un fondo patrimoniale

Con sentenza n. 19099 del 3 maggio 2013, la terza sezione penale della Corte di cassazione ha dichiarato legittimo il sequestro sui beni dell’imprenditore che non ha versato l’Iva dichiarata, anche se non ancora incassata. Inoltre, a tal fine è del tutto irrilevante che l’immobile del contribuente sia stato conferito in un fondo patrimoniale.

La vicenda
Il rappresentante legale di una società aveva ricorso contro l’ordinanza del tribunale del riesame con cui si confermava il decreto di sequestro preventivo per equivalente (articolo 322-ter, codice penale) del Gip di un immobile e di un terreno in relazione al reato di omesso versamento Iva di cui all’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, che punisce chiunque non versi l’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale, per importi superiori a 50mila euro per ciascun periodo di imposta, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.

Tra i vari motivi del conseguente ricorso per cassazione, il contribuente lamentava che il tribunale avesse individuato in modo automatico il profitto del reato sottoposto alla misura coercitiva nell’ammontare dell’Iva dichiarata e non versata.
In tal modo si sarebbero sovrapposti due distinti concetti:

  1. il debito verso l’Erario, pari all’ammontare dell’Iva dichiarata e poi non versata
  2. il profitto del reato, pari all’ammontare dell’Iva incassata e poi non versata: ma la società – sosteneva il ricorrente – non aveva mai incassato l’Iva non versata, da cui l’assenza del “profitto” sequestrabile.

Inoltre, l’imputato lamentava l’errore del giudice di merito di non avere considerato “ostacolo” al sequestro la ricomprensione dell’immobile conferito in un fondo patrimoniale, atteso che, ai fini dell’operatività del sequestro preventivo, è necessaria l’analitica motivazione dell’effettiva disponibilità del bene in capo all’indagato.

La decisione
La Corte di cassazione, respingendo il ricorso del contribuente, con la sentenza 19099/2013, ha sostanzialmente stabilito che il reato di omesso versamento Iva può essere commesso anche se l’impresa non ha incassato l’imposta in quanto ha rilevanza il dato testuale risultante dalla dichiarazione e non la percezione del corrispettivo.
In particolare, secondo il giudice di legittimità, prevedendo l’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000 la sanzione per chiunque non versi l’Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale per importi “qualificati”, la condotta del reato in esame è di natura omissiva e di carattere istantaneo.
Sicché l’obbligo di indicazione nella dichiarazione annuale e, quindi, di versamento dell’imposta, è svincolato – a eccezione dei casi dell’“Iva per cassa” (cash accounting), recentemente rimodulata dall’articolo 32-bis del Dl 83/2012 (legge 134/2012) – dall’effettiva riscossione delle somme per le prestazioni effettuate (come era previsto dal soppresso articolo 7 del Dl 185/2008).

Per quanto attiene poi al profitto sottoposto a sequestro, la sentenza evidenzia l’impossibilità di circoscrivere il profitto alla sola somma incassata e non versata, senza considerare l’utilità insita nel “risparmio economico” comunque derivante dal mancato versamento dell’imposta.
A questo proposito, pur dando atto che nella pronuncia n. 30140/2012, la Corte era giunta a conclusioni differenti, affermando che il profitto può sicuramente coincidere con l’importo dell’Iva incassata, viene ora valorizzato l’assunto secondo cui il profitto del reato tributario può essere altresì individuato in un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita (cfrCassazione 1199/2012).
Risparmio d’imposta che, secondo il giudice di legittimità, si è certamente verificato.
Perciò, sussiste perfetta equivalenza, nella misura reale adottata, tra il valore dei beni sequestrati e l’entità del profitto del reato, in quanto il giudice di merito ha tenuto conto nell’accertamento del valore della rendita catastale dell’immobile (elemento oggettivo) e non di altro valore (più alto) condizionato all’andamento del mercato immobiliare (elemento soggettivo).

Per quanto riguarda infine il conferimento nel fondo patrimoniale dell’immobile sequestrato, la sentenza 19099/2013 motiva che non può rinvenirsi alcuna incompatibilità tra il sequestro preventivo e i regimi di favore assicurati dalle leggi civili a taluni beni in ragione della loro natura o destinazione (cfr articoli 169 e 1881 del codice civile), che riguardano esclusivamente la definizione della garanzia patrimoniale a fronte delle responsabilità civili, ma non la responsabilità penale, nel cui esclusivo ambito ricade invece il sequestro preventivo.
Infatti, questa misura cautelare prescinde dal danno e considera solo l’esistenza di un “particolare rapporto di strumentalità o di derivazione tra la cosa e il reato”. Perciò la Cassazione (cfr sentenza n. 40364/2012) ha ammesso la possibilità della confisca per equivalente anche se ha come oggetto immobili inclusi nel fondo patrimoniale: essi, infatti, sebbene destinati ad assolvere alle esigenze primarie della famiglia (e quindi sottoposti a un vincolo di destinazione), restano formalmente intestati al titolare e, quindi, al reo.
Né è possibile, sostiene infine la sezione penale, evocare la ricorrenza dell’istituto del trust, considerato che, nella specie, l’indagato non ha perduto la disponibilità dei beni sequestrati, presupposto necessario per il conferimento dei beni in trust (cfr Cassazione 13276/2011).

Salvatore Servidio, nuovofiscooggi.it

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