Tributaria

Contributi alla Cassa forense. Arrivano dal Fisco i dati mancanti – Cassazione 18730/2013

hqdefaultNel caso in cui un iscritto non comunichi i dati relativi al proprio volume d’affari, necessari per la determinazione dei contributi previdenziali a proprio carico, la Cassa nazionale di previdenza ha sempre il diritto di richiedere ai competenti uffici dell’Agenzia delle Entrate le informazioni relative alle dichiarazioni dei redditi e dell’Iva e agli accertamenti definitivi concernenti gli avvocati, i procuratori e i pensionati iscritti alla Cassa medesima.
I dati acquisiti possono essere legittimamente utilizzati in qualsiasi momento e posti a base delle cartelle di pagamento per il recupero dei contributi obbligatori dovuti e non versati, in luogo dei dati omessi dall’iscritto.
Così ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 18730 del 6 agosto.

Il fatto
La decisione in commento trae origine dal ricorso presentato da un avvocato avverso la cartella di pagamento avente a oggetto il recupero dei contributi previdenziali non versati alla Cassa nazionale forense negli anni 1987, 1996, 2001 e 2002.
Il Tribunale di primo grado accoglieva l’opposizione e annullava la cartella limitatamente ai contributi relativi all’anno 1987, per avvenuta prescrizione dei termini.

Avverso la decisione proponeva appello la Cassa forense, che trovava pieno accoglimento presso la competente Corte di appello.
Nella sentenza, i giudici confermavano la legittimità delle pretese contributive, ricordando che per l’anno 1987 il ricorrente aveva omesso la presentazione della obbligatoria comunicazione dei dati relativi al volume di affari alla Cassa previdenziale. Tale circostanza legittimava quest’ultima a richiedere i contributi in qualsiasi momento, senza dover soggiacere al alcun termine prescrizionale, operante esclusivamente nel caso di dichiarazione resa e inviata dall’iscritto.

L’avvocato proponeva ricorso per la cassazione della sentenza d’appello.
La Suprema corte, ritenendo infondati i motivi di doglianza del ricorrente, ha rigettato il ricorso principale e condannato il soccombente alla restituzione delle spese di giudizio.

La decisione
Con la sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno fornito interessanti indicazioni in merito alla legittimità degli scambi informativi tra enti e Amministrazione finanziaria.
A riguardo, è opportuno ricordare che l’Agenzia delle Entrate, nell’ambito dei poteri a essa attribuiti dalla legge – dagli articoli 32 del Dpr 600/1973, e 51 del Dpr 633/1972 – ha il potere di acquisire dati ed elementi rilevanti ai fini della determinazione della base imponibile, direttamente nei confronti dei contribuenti cui si riferisce il controllo, ovvero nei confronti di terzi.

In questa sede, è affrontato il caso inverso, attinente la liceità da parte di un ente previdenziale di acquisire dati e notizie dall’Amministrazione finanziaria per la riscossione dei contributi previdenziali dovuti dai propri iscritti.
Si premette che l’articolo 17, comma 1, della legge 576/1980 – applicabile alla fattispecie ratione temporis prima della modifiche apportate dalla legge 141/1991 – prevedeva l’obbligo da parte di tutti gli iscritti agli albi degli avvocati, dei procuratori e dei praticanti procuratori iscritti, di inviare con lettera raccomandata la cosiddetta denuncia “Mod. 5” alla Cassa. La comunicazione doveva essere inviata entro trenta giorni dalla data ultima per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi e contenere l’ammontare del reddito professionale dichiarato ai fini dell’Irpef per l’anno precedente e il volume complessivo d’affari dichiarato ai fini dell’Iva per il medesimo anno, anche se le dichiarazioni fiscali non fossero state presentate o riportassero un risultato negativo.

La ratio dell’obbligo imposto dalla legge 576/1980 è di consentire alla Cassa di riscuotere i contributi obbligatori (così Cassazione, sentenza 20219/2012).
Di conseguenza, i soggetti su cui incombe l’obbligo di presentazione della comunicazione dei dati relativi all’attività sono tenuti ad adempiervi in qualsiasi momento, anche se successivo al termine prescritto dalla legge, comprendendovi in tal caso sanzioni e interessi.
Al contempo, secondo i giudici della Corte suprema, “la Cassa ha il diritto di ottenere in ogni momento, in via di accertamento sostitutivo del predetto obbligo contributivo e di controllo, dai competenti uffici delle imposte dirette e dell’IVA le informazioni relative alle dichiarazioni e gli accertamenti definitivi concernenti tutti gli avvocati e procuratori nonché i pensionati” (L. n. 576 del 1980, art. 17, comma 8), e può giovarsi in ogni tempo “ai fini della riscossione della conoscenza degli imponibili legittimamente acquisita” (art. 18, comma 7, della stessa legge)”.

Alla luce delle precisazioni della Cassazione, pertanto, l’ente previdenziale può ottenere in qualsiasi momento dagli uffici finanziari i dati fiscali che riguardano tutti gli iscritti, quale strumento di accertamento sostitutivo dell’obbligo contributivo previsto a carico di chi esercita la professione forense, nel caso in cui l’iscritto non vi abbia adempiuto e la Cassa non disponga dei dati necessari per la determinazione dei contributi spettanti.
Oltretutto, la stessa legge 576/1980, al comma 7 dell’articolo 18, considera la possibilità della Cassa di giovarsi “in ogni tempo” della conoscenza degli imponibili legittimamente acquisita ai fini della riscossione.

Nel prosieguo della sentenza, la Corte fornisce ulteriori precisazioni riguardo al corretto inquadramento della decorrenza del termine prescrizionale previsto dall’articolo 19, comma 2, della legge 576/1980, secondo cui, per i contributi, gli accessori e le sanzioni dovuti o da pagare, la prescrizione decorre dalla data di trasmissione alla Cassa, da parte dell’obbligato, della dichiarazione prevista dall’articolo 17.
Richiamando un precedente orientamento giurisprudenziale, la Cassazione ha ribadito che “l’art. 19 della L. n. 576, che contiene la disciplina della prescrizione dei contributi, dei relativi accessori e dei crediti conseguenti a sanzioni dovuti in favore della Cassa Nazionale Forense, individua un distinto regime della prescrizione a seconda che la comunicazione dovuta da parte dell’obbligato, in relazione alla dichiarazione di cui agli artt. 17 e 23 della stessa legge, sia stata omessa o sia stata resa in modo non conforme al vero, riferendosi solo al primo caso l’ipotesi di esclusione del decorso del termine prescrizionale, mentre, quanto alla seconda fattispecie, il decorso del termine è da intendersi riconducibile al momento della data di trasmissione all’anzidetta cassa previdenziale della menzionata dichiarazione (Cass. sent. n. 9113 del 2007; conf. Cass. ord. n. 6259 del 2011)”.
Dello stesso tenore, il contenuto della sentenza 9113/2007, in cui i giudici del Collegio supremo hanno osservato che la disciplina in esame contiene la chiara distinzione tra “comunicazione omessa” e “comunicazione non conforme al vero”, e consente di riferire solo alla prima l’ipotesi di esclusione del decorso del termine prescrizionale.

Emiliano Marvulli

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