Tributaria

Non c’è violazione di domicilio quando l’attività si svolge in casa – Cassazione 20551/2013

hqdefaultPer accedere ai locali del contribuente adibiti promiscuamente ad attività commerciale o professionale e ad abitazione, la Guardia di finanza necessita di un’autorizzazione della competente procura della Repubblica, non motivata però con l’individuazione e l’enunciazione di gravi indizi che inducono a ritenere violate le norme tributarie (articolo 52, comma 1 e 2, Dpr 633/1972).
Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 20551 del 6 settembre.

I fatti
A seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, l’ufficio di Catania emetteva un avviso di accertamento per l’anno 1998, con il quale contestava al contribuente l’omessa dichiarazione di maggiori ricavi e l’indebita contabilizzazione di costi, e liquidava maggiori imposte (Irpef, addizionale regionale, Irap e contributo al Ssn), oltre alle relative sanzioni.

Il signor X impugnava l’avviso e la Commissione tributaria provinciale adita accoglieva il ricorso per difetto di motivazione dell’atto impositivo a carattere meramente indiziario degli elementi posti a base dell’accertamento.

Diversa la sorte in appello. Il Collegio della sezione staccata di Catania accoglieva il gravame dell’Agenzia delle Entrate, in quanto rilevava che, sotto il profilo motivazionale, l’avviso di accertamento fosse basato su un pvc (processo verbale di constatazione) sottoscritto anche dal contribuente e nel quale erano compiutamente evidenziati tutti i rilievi contestati, e, nel merito della pretesa impositiva, che non sussisteva contraddizione tra l’affermazione dell’ufficio, circa il mancato rinvenimento di diversi contratti di vendita di veicoli, e i dati risultanti dallo stesso processo verbale (dalla cui lettura, infatti, emergeva che erano state rinvenute copie di contratti, consistenti in fogli prestampati con i dati identificativi della ditta verificata e in dettaglio: marca, tipo e targa della vettura oggetto della transazione, dati del cliente e importi corrisposti).

Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra l’altro, (ex articolo 360 del codice di procedura civile, n. 4) violazione e falsa applicazione dell’articolo 33, Dpr 600/1973 e dell’articolo 52, Dpr 633/1972, in quanto, nel corso della verifica fiscale, si era proceduto a un accesso presso la sua abitazione, sulla base di un’autorizzazione della Procura della Repubblica di Catania “assolutamente priva della indicazione dei gravi indizi di violazioni”, prescritta appunto dall’articolo 52.
Di conseguenza, a parere del contribuente, gli elementi posti a base dell’accertamento non potevano essere utilizzati.

La Corte, rigettando il ricorso, ha affermato che “… l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta dall’articolo 52 citato, commi 1 e 2, ai fini dell’accesso in locali adibiti anche ad abitazione del contribuente o a locali diversi (cioè adibiti esclusivamente ad abitazione), è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest’ultimo caso, e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo…”.

Osservazioni
La Cassazione prima fornisce un’interpretazione delle disposizioni contenute nell’articolo 33, Dpr 600/1973, e nell’articolo 52, Dpr 633/1972, poi, rinviando anche ad altri precedenti, chiarisce l’accezione di “uso promiscuo”, evidenziando che, in punto di fatto, nella fattispecie sottoposta al suo esame, il contribuente non ha neppure precisato il sito specifico (parlando genericamente di accesso “nell’abitazione”) dove era stata eventualmente trovata e acquisita la documentazione rilevante.

In ossequio ai principi costituzionali (ex articolo 14 della Costituzione, il domicilio è inviolabile, nel senso sia di divieto di eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale, sia di eseguire accertamenti e ispezioni a fini fiscali, pur se regolati da leggi speciali), l’articolo 52 del Dpr 633/1972 (applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’articolo 33, comma 1, Dpr 600/1973), stabilisce che:

  • per l’accesso ai locali adibiti “anche ad abitazione” del contribuente da parte dei funzionari dell’Amministrazione finanziaria (o dei militari della Guardia di finanza), è sufficiente l’autorizzazione del procuratore della Repubblica (comma 1)
  • per l’accesso, invece, “in locali diversi” da quelli indicati nel primo comma (quindi, per l’accesso in locali destinati esclusivamente ad abitazione), l’autorizzazione del procuratore della Repubblica può essere richiesta e rilasciata “soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme” fiscali (cfr Cassazione 9611/2008) e “allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni” (comma 2).

La semplice autorizzazione del procuratore della Repubblica è stata prevista dal legislatore come opportuno filtro preventivo all’azione accertativa in entrambe le fattispecie, perché le stesse coinvolgono il “domicilio inviolabile” del contribuente. Ma non senza differente intensità.
Infatti, per l’accesso in locali a uso esclusivamente abitativo, la norma richiede non solo l’autorizzazione, ma anche la sussistenza di specifiche finalità e particolari presupposti giustificativi dell’ingresso domiciliare (cfr Cassazione 19690/2004).

Se, quindi, l’autorizzazione prevista per i locali a uso promiscuo, in assenza di presupposti fissati ex lege è un mero adempimento procedimentale, per l’opportunità che l’accesso trovi l’avallo dell’autorità giudiziaria, diversamente, la sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria, oltre a essere un requisito direttamente fissato dalla legge, rappresenta un quid pluris rispetto all’autorizzazione, conferendole la portata di provvedimento valutativo della ricorrenza, nella concreta vicenda, di specifici presupposti giustificativi dell’ingresso nell’abitazione (cfr Cassazione 16424/2002).

Escluso quindi che, nella fattispecie sottoposta al vaglio della Corte, vi sia stato accesso all’abitazione del contribuente, non avendo questi neppure indicato il luogo nel quale era stata reperita la documentazione, i giudici di piazza Cavour hanno ribadito l’orientamento consolidato di legittimità, secondo il quale si è in presenza di locali a uso promiscuo quando “… la relativa destinazione … sussiste … non soltanto nell’ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento dei documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi …” (cfr Cassazione 2444/2007 e 10664/1998: con possibilità di avere i documenti “… sotto mano per ogni evenienza, e nel contempo però detenerli in stanze abitualmente destinate al sonno, o ai pasti”).
Legittimo allora l’accesso e salvo il conseguente avviso di accertamento.

Romina Morrone, nuovofiscooggi.it

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