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Cancellare la prescrizione? Una follia da Paese incivile

di Vincenzo Vitale (Cronache del Garantista)

Dopo la sentenza della Cassazione che ha dichiarato prescritti i reati del caso Eternit di Casale Monferrato, si risollevano voci che chiedono la riforma della prescrizione, soprattutto nel verso di un suo deciso ridimensionamento. La stessa Associazione nazionale magistrati propone o l`abolizione pressoché totale della prescrizione oppure, in alternativa, una sua operatività fino alla sentenza di condanna  di primo grado: non oltre.

 In proposito, va subito stigmatizzato l`ennesimo caso italiano in cui si cerca di imbastire un ragionamento sulla scia di una forte e comune emozione (quella appunto suscitata dal caso Eternit) ma non sulla scorta di un serio approfondimento capace di portare alla luce i veri problemi. Innanzitutto, va notato che se si accettasse la proposta della Anm di bloccare del tutto la prescrizione dopo la sentenza di condanna di primo grado, l`esito sarebbe di capovolgere la presunzione di innocenza – stabilita dalla Costituzione fino alla sentenza definitiva – in presunzione di colpevolezza.

Solo in base a questo inammissibile rovesciamento, giuridicamente aberrante, tale blocco potrebbe essere concepibile: ma adottandolo, dovremmo vergognarci e rischieremmo di essere espulsi dal consesso degli Stati civilizzati.

Non solo. Si deve anche considerare che una buona percentuale (oltre il 60%) delle sentenze di condanna di primo grado viene riformata in appello, in senso più favorevole all`imputato. Se perciò si bloccasse la prescrizione dopo la condanna di primo grado, l`effetto sarebbe quello di perseguire comunque persone che in oltre il 60% dei casi risulterebbero poi innocenti: l`erario non nesarebbe certo felice, trattandosi in tutti questi casi di un`attività in pura perdita. Il fatto è probabilmente che tutta questa opposizione per un istituto come la prescrizione non solo è un frutto emozionale, ma nasconde un più profondo, e meno visibile, disconoscimento delle più autentiche ragioni del diritto.

Ci troviamo davanti insomma a una delle manifestazioni storiche di ciò che Hegel definì icasticamente “odio per la legge” (der Hass gegen Gesetz), vale a dire l`esito dell`incapacità di coglierne il senso. Eppure il senso della prescrizione dei reati è lampante e tutti possono vederlo, anche i non giuristi.

In prima battuta, sta nel fatto che la pretesa punitiva dello Stato non può essere mai eterna, senza limiti temporali che – anche se estesi – servano a controllarla ed incanalarla: lo Stato, fino a prova contraria, non è Dio. In secondo luogo, è ovvio che trascorso un certo tempo – per esempio dieci o dodici anni – dalla commissione di un certo fatto, è illusorio cercare seriamente di giudicarne le manifestazioni e il grado di colpa dei protagonisti: per parafrasare Foscolo, il tempo “traveste” ogni cosa: i testimoni non ricordano, i documenti sbiadiscono, le atmosfere e i contesti dell`epoca diventano fantasmatici, i protagonisti scompaiono… Come si può seriamente fondare un giudizio processuale su queste basi così fragili? La prescrizione ci ricorda – a suo modo – un limite insito nella condizione umana, che è ineliminabile se non a patto, appunto, di odiare il diritto e, con esso, ahimè!, anche l`essere umano.

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