Nella Esecuzione forzata di un manufatto, è sufficiente l’individuazione del tipo di intervento -; CASSAZIONE CIVILE, Sezione III, Sentenza n. 10649 del 04/06/2004
In tema di sentenza di condanna
all’esecuzione di un obbligo di fare consistente nell’esecuzione di un
manufatto, qualora il titolo esecutivo sia costituito da una sentenza di
condanna all’esecuzione di opere rappresentanti un quid novum, la mancata
indicazione specifica delle singole opere da eseguire non si traduce in un
difetto di certezza e di liquidità del diritto riconosciuto dalla sentenza
allorchè, anche a seguito dell’integrazione del dispositivo con le altre parti
della sentenza, compresa l’esposizione dei fatti, le opere da eseguire vengano
qualificate dal loro preciso riferimento alle finalità della loro imposizione
e, in particolare, all’eliminazione di un pregiudizio ben individuato, nonchè a
una situazione di fatto sufficientemente precisata che valga ad individuare il
tipo dell’intervento, giacchè in tali ipotesi, è rimessa al giudice
dell’esecuzione la determinazione delle concrete modalità dell’opera o la
scelta tra diverse articolazioni concrete di opere aventi comuni finalità e
connotazioni.
CASSAZIONE
CIVILE, Sezione III, Sentenza n. 10649 del 04/06/2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. NICASTRO Gaetano –
Presidente –
Dott. LIMONGELLI Antonio –
Consigliere –
Dott. PURCARO Italo –
Consigliere –
Dott. MAZZA Fabio – Consigliere
–
Dott. TRIFONE Francesco – rel.
Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
FAGNONI FIORENZO, elettivamente
domiciliato in ROMA VIA A. BERTOLONI 41, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
GUANCIOLI, difeso dall’avvocato GIUSEPPE ACCORDINO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
PIZZORNI FRANCA, PIZZORNI
MARISA, elettivamente domiciliate in ROMA VIA A. CATALANI 26, presso lo studio
dell’avvocato ENRICO D’ANNIBALE, che le difende, giusta delega in atti;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 339/00
del Tribunale di PIACENZA, emessa il 15/06/00 e depositata il 12/07/00 (R.G.
3266/94);
udita la relazione della causa
svolta nella pubblica udienza del 13/01/04 dal Consigliere Dott. Francesco
TRIFONE;
udito l’avvocato Enrico D’ANNIBALE;
udito il P.M. in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. NAPOLETANO Giuseppe che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ricorso del 3 maggio 1991
Marisa e Franca Pizzorni, comproprietarie in comune di Castell’Arquato di un
immobile, sul quale dalla sovrastante proprietà di Fiorenzo Fagnoni erano
rotolati grandi massi, che avevano danneggiato la recinzione del terrazzo
erboso, i gradini sul retro della casa ed una gronda di scarico, chiedevano che
il pretore di Fiorenzuola d’Arda, ai sensi dell’art. 688 cod. proc. civ.,
ordinasse al proprietario del fondo sovrastante l’adozione delle misure idonee
ad eliminare la prospettata situazione di pericolo al fine di evitare in futuro
che altri massi, distaccatisi dalla parete rocciosa, cadessero a valle.
Aggiungevano che a Fiorenzo
Fagnoni il sindaco del comune, con provvedimento del 6 marzo 1991, aveva
ordinato di bonificare il fronte roccioso della sua proprietà e che
all’ordinanza il destinatario non aveva dato esecuzione.
Fiorenzo Fagnoni si costituiva
e deduceva che il movimento franoso interessante il suo terreno era di modeste
dimensioni; che il sindaco aveva revocato l’ordinanza a suo carico non
sussistendo alcun pericolo per la pubblica incolumità; che l’accertamento della
situazione geologica del sito aveva evidenziato che la causa del movimento
franoso non era riconducibile a comportamenti colposi, ma era da rapportare alla
particolare composizione del terreno facilmente erodibile nonchè alla forte
acclività della parete.
All’esito della disposta
consulenza tecnica d’ufficio il pretore adito, con sentenza del 16 dicembre
1993, ordinava al convenuto Fagnoni di erigere adeguate opere di contenimento
idonee ad impedire la caduta e il rotolamento di massi nella proprietà delle
ricorrenti Pizzorni.
Sulla impugnazione del
soccombente decideva il tribunale di Piacenza con sentenza pubblicata il 12
luglio 2000, la quale rigettava l’appello e condannava l’appellante alle
maggiori spese.
Il giudice d’appello – in
ordine all’unico motivo d’impugnazione, con il quale Fiorenzo Fagnoni aveva
dedotto la violazione della norma dell’art. 2051 cod. civ. in quanto il pretore
aveva erroneamente valutato la situazione di fatto descritta dal consulente
tecnico d’ufficio – considerava che la responsabilità ai sensi della predetta
norma non era esclusa dal fatto che la situazione di instabilità geologica
descritta dal tecnico non fosse in alcun modo riconducibile a condotte
dell’uomo.
Rilevava che, ai fini
dell’esonero della responsabilità del custode del bene, non è sufficiente che
l’evento sia stato determinato da causa naturale, ma occorre stabilire se esso
sia lo sviluppo prevedibile di una situazione di rischio conoscibile ed
evitabile con l’adozione di mezzi ordinari.
Riteneva che l’accertata natura
di terreno instabile e franoso di una determinata zona non giustifica, di per
sè, una condotta omissiva e di disinteresse del custode.
Per la cassazione della
sentenza ha opposto ricorso Fiorenzo Fagnoni, il quale affida l’impugnazione a
quattro mezzi di doglianza, che Franca e Marisa Pizzorni contrastano con
controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo
dell’impugnazione – deducendo la nullità del giudizio per violazione della
norma di cui all’art. 102 cod. proc. civ. – il ricorrente, premesso che la
domanda avanzata nei suoi confronti integra non un’azione personale, ma una
azione reale di danno temuto in rapporto alla sua qualità di proprietario del
fondo, denuncia che l’azione stessa, versandosi in ipotesi di litisconsorzio
necessario, avrebbe dovuto essere proposta nei confronti anche di Luciana Sozzi,
comproprietaria del terreno come da atto di compravendita per notar Bernardelli
in data 17.12.1978, trascritto il 9.1.1979, che dichiara di produrre in questa
sede ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ..
Assume che la produzione di
ulteriori documenti per la prima volta nel giudizio di Cassazione deve ritenersi
consentita anche quando si tratta, come nella specie, di far valere vizi
concernenti l’irregolare costituzione del rapporto processuale. in particolare,
lamenta che il consulente tecnico d’ufficio, che pure nella sua relazione aveva
evidenziato che "i terreni coinvolti dal dissesto franoso erano di proprietà di
Franca e Marisa Pizzorni", avrebbe dovuto procedere ad analoga indagine circa la
situazione di comproprietà del sovrastante terreno senza limitarsi ad indicare
che dai dati catastali risultava che di esso era proprietario Fiorenzo Fagnoni.
Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di
questa Corte (ex plurimis: Cass., n. 9878/97), quando il proprietario di un
immobile denunci i danni provenienti da un immobile confinante per conseguire
una pronuncia di condanna all’esecuzione di opere e lavori idonei ad eliminare i
danni medesimi, l’appartenenza di detto immobile a più comproprietari determina
l’esigenza di integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti tali
comproprietari, stante la loro qualità di litisconsorti necessari, in relazione
alla inscindibilità ed indivisibilità dell’obbligazione dedotta in causa, con
la conseguenza che la nullità del giudizio per la mancata partecipazione di uno
dei litisconsorti necessari puo’ essere fatta valere dal litisconsorte
pretermesso.
Il difetto di contraddittorio
per omessa citazione di un litisconsorte necessario è certamente deducibile in
ogni stato e grado del giudizio e, quindi, è rilevabile d’ufficio anche in
Cassazione; ma costituisce indirizzo uniforme del giudice di legittimità (Cass.,
n. 593/2001; Cass., n. 2610/99; Cass., n. 7083/95) che la relativa eccezione non
puo’ essere proposta per la prima volta in Cassazione, oltre che nel caso in cui
sulla questione sia intervenuto il giudicato, anche nel caso in cui il
presupposto e gli elementi di fatto, posti a fondamento di essa, non emergano,
con ogni evidenza, dagli atti del processo di merito, dovendosi in proposito
escludere che a tal fine possano essere valutate nuove prove ovvero che sia
ammissibile lo svolgimento di ulteriori attività, vietate in sede di
legittimità.
Nella specie, nè in primo nè
in secondo grado il ricorrente Fagnoni ha mai eccepito o dedotto che il terreno
in oggetto fosse in comproprietà con altri, per cui, non risultando altrimenti
agli atti di causa una situazione di comproprietà ed essendo in questa sede
precluso ogni nuovo accertamento e vietato, altresi’, il deposito di
documentazione riguardante vizi di nullità della sentenza del tipo di quello
dedotto, è errata anche la tesi prospettata della possibilità di giustificare,
in base alla norma di cui all’art. 372 cod. proc. civ., il deposito di
documentazione relativa alla dimostrazione dell’esistenza di un’ipotesi di
litisconsorzio necessario.
Con il secondo motivo
d’impugnazione – deducendo la carenza, la contraddittorietà e la illogicità
della motivazione nella parte in cui la denunciata sentenza afferma la sua
responsabilità in conseguenza della prevedibilità del fatto dannoso – il
ricorrente critica la decisione di secondo grado per le seguenti ragioni:
a) il giudice del merito, se
avesse tenuto conto del fatto che il consulente tecnico aveva rilevato che il
pericolo non derivava dalla natura propria del fondo di sua proprietà, ma da un
più vasto fenomeno geologico interessante tutta la zona, avrebbe dovuto
ascrivere al caso fortuito e non alla sua responsabilità l’evento di danno che
si era verificato;
b) da tutta la documentazione
agli atti risultava che l’unica soluzione idonea ad eliminare il pericolo di
futuri dissesti sarebbe stata l’opera di bonifica di tutta l’area interessata al
fenomeno, per cui, a seguire il ragionamento del tribunale, il giudice avrebbe
dovuto co