Penale

Lap dance a rischio di reato -; CASSAZIONE PENALE, Sezione III, Sentenza n. 35776/2004


Balli proibiti di nuovo sotto accusa in Cassazione. Ancora una
volta gli Alti giudici hanno tracciato i profili di illegalità dei club
privati, la cui principale attrazione è costituita da fin troppo disponibili
ballerine di lap dance. La conclusione è sempre nella direzione
dell’intransigenza per l’intimità a prezzi di listino. Persino quando non si
consuma un rapporto sessuale vero e proprio. Con la sentenza n. 35776, la terza
sezione penale ha reso definitiva la condanna inflitta a due gestori di un
locale bresciano per “esercizio di una casa di prostituzione” e sfruttamento del
meretricio. Secondo la magistratura, l’attività nascondeva ” dietro la maschera
dell’esibizione artistica e dell’innocente intrattenimento ” l’acquisto di
favori femminili da parte dei clienti. Le giovani donne, praticamente svestiste,
acconsentivano ad appartarsi con chi pagava una sorta di ticket aggiuntivo (250
euro) rispetto agli altrettanti soldi sborsati all’ingresso nel locale. Una
volta nel privè, i clienti si spingevano in arditi preliminari, pur rimanendo
vestiti. Per gli imputati, non essendoci l’atto sessuale in senso stretto, non
poteva esserci nemmeno il reato. Ed è questa la tesi sostenuta da una parte
della dottrina che, pero’, non convince la giurisprudenza. Almeno quella di
Cassazione. Perchè i giudici di merito, in altre occasioni, si sono mostrati
più esigenti nell’individuazione della prestazione sessuale a pagamento.
Nell’agosto del 2002, per esempio, il tribunale del riesame di Venezia aveva
disposto il dissequestro di uno strip-club, dello stesso tenore di quello
bresciano, proprio per il mancato riscontro della fattispecie criminale. Quella
stessa vicenda, pero’, è poi finita in Cassazione, per ricorso del procuratore
della Repubblica, sfociando nel precedente giurisprudenziale che ha sicuramente
ispirato l’attuale sentenza di legittimità. Nella pronuncia n. 13039 del 2003,
infatti, la Corte sottolinea come tra gli atti sessuali rientrino tutti quelli
riguardanti “zone del corpo note come erogene, secondo la scienza medica,
psicologica, antropologico-sociologica”. Comprese gambe e glutei, quindi.
D’altronde, prosegue la Corte, è la stessa evoluzione del sistema normativo
(articoli 609 bis e seguenti del Codice penale), a suggerire che “per atto
sessuale devono intendersi tutte quelle attività che danno origine a
eccitazione e al soddisfacimento dell’istinto sessuale con appagamento della
propria libido, valutate in relazione a un criterio oggettivo”. La sentenza
depositata ieri in Corte contiene pero’ spunti ulteriori; considerazioni utili
per la definizione di una ipotesi di reato assolutamente nuova per il nostro
sistema e non ancora tipizzata, che deve necessariamente indurre sforzi
interpretativi. “Il comportamento tenuto nel privè ” secondo i giudici ” non
sembra potersi ridurre ad un voyerismo quale è la trasmissione televisiva
pornografica”. E comunque, in questi casi, “il bene protetto non è la tutela
della salute pubblica dalla diffusione di malattie veneree, ma la libertà di
determinazione della donna, anche nel prostituirsi; bene tutelabile solo in
quanto siano perseguiti i terzi che dalla prostituzione intendano lucrare”.


Beatrice Dalia, Il Sole 24 ore


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