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Non c’è pace sul concorso esterno: si torna alle sezioni unite

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Il processo all’ex ministro
Calogero Mannino è l’occasione per chiedere se la fattispecie sia configurabile
anche nel caso di un "accordo elettorale"

La Cassazione, accogliendo le tesi dei difensori dell’ex ministro democristiano
Calogero Mannino, dimostra di nutrire dubbi sulla "correttezza" della condanna a
cinque anni e 4 mesi di reclusione emessa, l’11 maggio 2004, dalla Corte di
Appello di Palermo nei confronti del politico accusato di concorso esterno in
associazione mafiosa.
Infatti, secondo i supremi giudici, il verdetto di condanna – preceduto
dall’assoluzione in primo grado nel 2001 – vacilla su due punti fondamentali. Il
primo punto traballante riguarda la formulazione dell’accusa di aver stretto un
patto con i boss di Cosa Nostra in cambio di voti elettorali. Il secondo punto
in bilico, riguarda gli elementi di prova contro Mannino e soprattutto
l’acquisizione, al dibattimento d’appello, di sentenze di colpevolezza non
definitive, attinenti altri processi, e usate a suffragio della parola dei
pentiti sui rapporti di presunta collusione tra i clan mafiosi e l’ex ministro
dell’Agricoltura. C’è il rischio "fondato" che queste acquisizioni abbiano
violato le garanzie difensive.
Proprio dopo aver constato la "fondatezza" delle critiche dei legali di Mannino
alla sentenza di appello (le accuse che portarono al suo arresto derivavano da
un’altra inchiesta, aperta dalla Procura di Palermo dopo le dichiarazioni di
altri pentiti), la Cassazione ha deciso di affidare al vaglio delle Su – che si
riuniranno il prossimo 12 luglio – il ricorso presentato dall’ex ministro contro
la condanna. In poche parole, la validità degli argomenti dei difensori ha
spinto il Primo presidente della Cassazione, Nicola Marvulli, ad assegnare
questo procedimento non ad una sezione ordinaria – sarebbe toccato alla Sesta –
ma al massimo consesso degli "ermellini".
Nel passato recente sono state le Su di Piazza Cavour ad azzerare le condanne di
due ex imputati eccellenti: il senatore a vita Giulio Andreotti per l’omicidio
di Mino Pecorelli, e il giudice Corrado Carnevale accusato di aver aggiustato
processi ai mafiosi. In entrambe i casi – come per Mannino – i verdetti di
appello erano preceduti da assoluzioni.
Per quanto riguarda la sentenza di condanna di Mannino, i supremi giudici hanno
rilevato che le Su non si sono finora mai espresse sul delicato tema del voto di
scambio e concorso esterno, e che sulla utilizzabilità probatoria delle
sentenze non definitive c’è un forte contrasto, con corposi dubbi sulla loro
legittimità come fonti di prova.
Ecco – in base alla sintesi stilata dall’Ufficio del massimario – la prima
matassa da districare: "se e in quali limiti sia configurabile il concorso
esterno nel reato di associazione di tipo mafioso, nel caso di un patto di
scambio tra l’appoggio elettorale da parte dell’associazione e l’appoggio
promesso a questa da parte del candidato". Insomma, sotto la lente delle Su – a
nemmeno tre anni dall’udienza "Carnevale" che nell’ottobre 2002 rimpiccioli’ i
contorni del concorso esterno – torna il reato tanto perseguito dall’ex
procuratore capo di Palermo, Giancarlo Caselli. Il secondo nodo della matassa da
dipanare deve dare risposta al quesito: "se siano utilizzabili ai fini probatori
le sentenze pronunciate in procedimenti penali diversi, anche nel caso in cui
esse non siano ancora divenute irrevocabili". La relazione introduttiva
dell’udienza di luglio è stata affidata al consigliere Giovanni Canzio che è
stato anche relatore, e poi estensore, della sentenza a Sezioni Unite su
Andreotti.
I riferimenti normativi che saranno esaminati, nel corso dell’udienza dedicata
"Mannino", sono agli articoli 110, 416bis e 416ter Cp, e agli articoli 234,
238bis, 192 comma 3, 511 comma 1, 526 comma 1 Cpc.


Fonte:
www.dirittoegiustizia.it

 

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