GiurisprudenzaPenale

Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza n. 33994/2010

Non commette diffamazione chi presenta un esposto all’Ordine degli Avvocati censurando il comportamento del proprio legale.

L’interrogativo sulla correttezza professionale di un professionista non può tradursi automaticamente in una reazione punitiva dello Stato. La negativa evoluzione del costume, che porta a equiparare controllo/responsabilità, non può giustificare il divieto per i cittadini di chiedere nella sede istituzionale, senza anticipazioni di giudizio e senza devianti comunicazioni, l’esame di chi ha operato e opera nella loro sfera giuridica.

 Questo orientamento interpretativo trova conferma in decisioni della S.C. in cui è stato riconosciuto l’esercizio di un diritto anche nel caso della condotta di chi indirizzi un esposto – contenente espressioni offensive – ad autorità disciplinare, perché ricorre la generale causa di giustificazione ex art. 51 c.p. quale esercizio di un diritto di critica costituzionalmente tutelato dall’art. 21 della Carta Costituzionale che è da ritenere prevalente rispetto al bene della dignità personale, pure tutelato dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, considerato che senza libertà di espressione e di critica, la dialettica democratica non può realizzarsi (sez. V, n. 13549 del 20.2.08, rv 239825).

Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza n. 33994 del 21/09/2010

Fatto e diritto

Con sentenza emessa il 20.5.09, il tribunale di Napoli ha confermato la sentenza emessa il 13.2.08 dal giudice di pace della stessa sede, con la quale (…) è stata condannata alla pena di € 2000 di multa, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore della parte civile, perché ritenuta colpevole del reato di diffamazione, commesso mediante l’invio al consiglio dell’ordine degli avvocati di Napoli di un esposto contenente affermazioni ritenute diffamatorie sul piano professionale dell’avvocato (…).

Il difensore dell’imputata ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento agli art. 102 e 178 c.p.: nel corso del giudizio di primo grado il difensore di fiducia, per impedimento professionale, aveva designato un sostituto processuale, con espressa indicazione che la sostituzione era limitata alla escussione del teste dell’accusa e con richiesta di differimento. Il giudice di pace ha rigettato l’istanza, poiché il difensore di fiducia era sostituito a tutti gli effetti dal sostituto processuale e l’art. 102 non riconosce rilevanza a limitazioni apposte dal difensore ai poteri del sostituto. Il giudice ha interpretato non correttamente la norma, in quanto la modifica apportata all’art. 102 cit, prevede che il difensore di fiducia possa porre dei limiti temporali ai poteri del sostituto, stabilendo che, per l caso di impedimento e per tutta la durata di questo, può designare un sostituto. Deve quindi ritenersi che la norma non consente limitai poteri del sostituto per tutta la durata della sostituzione, ma non già che non consente limiti temporali.

Comunque, il giudice, ritenendo non legittima la limitazione temporale, avrebbe dovuto assegnare all’imputata un difensore di ufficio, senza consentire che svolgesse attività difensiva un delegato privo, quanto meno sotto il profilo temporale, di delega.

2. Violazione di legge in riferimento al rigetto della richiesta di riapertura dell’istruttoria: la prova documentale, di cui è stata richiesta l’acquisizione, è da considerare decisiva in quanto contiene la dimostrazione della inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.

3. Vizio di motivazione sull’affermazione della responsabilità dell’imputata: l’esposto aveva la finalità di sollecitare il Presidente del Consiglio dell’Ordine ad una valutazione della regolarità deontologica del comportamento del legale. In esso si segnalava che il denaro proveniente dalla controversie era stato versato al difensore e la (…) non l’aveva ricevuto. Nessun riferimento era stato fatto all’illegittimo utilizzo della somma da parte dell’avvocato e quindi nessuna potenzialità diffamatoria era attribuibile al documento.

La parte civile ha depositato memoria in data 18.6.2010, con cui contesta la fondatezza delle argomentazioni della ricorrente. Chiede inoltre la cancellazione, a norma dell’art. 598 c.p., delle affermazioni diffamatorie contenute nel ricorso per cassazione.

I motivi del ricorso di carattere procedurale non meritano accoglimento, non proponendo argomenti idonei a incidere sulle valutazioni già espresse dal giudice di appello, in quanto:

a) l’avvocato che sostituiva il difensore di fiducia – la cui assenza mancava di valida giustificazione – ha svolto la sua funzione con assoluta validità, nonostante l’irrituale limitazione posta alla sua attività;

b) la doglianza sul rigetto dell’istanza di riapertura dell’istruttoria dibattimentale e sulla mancata assunzione di una prova decisiva è stata ugualmente oggetto di corretta valutazione negativa da parte del tribunale: vi è da confermare la genericità sul contenuto di documenti di cui è stata chiesta l’acquisizione e la esclusione della loro decisività in considerazione della loro funzionalità non alla dimostrazione di un fatto certo nel suo accadimento, ma alla prospettazione di elementi di prova da vagliare unitamente agli altri già acquisiti.

È invece fondato il motivo concernente la qualificazione giuridica della condotta della (…): nell’esposto diretto al Consiglio dell’ordine degli avvocati sono narrate divergenze tra cliente e difensore su questioni economiche, non contestate dalla persona offesa, che ha riferito al giudice di pace “di non aver ricevuto i relativi compensi maturati per l’attività professionale”.

Specularmene, la (…) ha ritenuto di essere creditrice nei confronti del difensore.

Questa situazione ha determinato nella (…) perplessità e dubbi sulla correttezza della condotta di quest’ultimo e l’ha indotta a investire della questione l’organo preposto al controllo del rispetto, da parte degli iscritti all’albo professionale, delle relative regole deontologiche.

La (…) era nel suo pieno diritto di accertare se questa divergenza fosse da ascrivere a una propria errata valutazione dei rapporti dare/avere con la professionista che l’aveva tecnicamente assistita nelle cause civili o fosse da ascrivere a un’errata valutazione di quest’ultima.

Questa incertezza non le ha consentito di chiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria, ma sicuramente l’ha legittimata a chiedere un intervento extragiudiziario, previsto dal nostro ordinamento a tutela dei cittadini rispetto a eventuali violazioni di regole deontologiche da parte di liberi professionisti. Le sue perplessità si sono dimostrate infondate, in virtù dell’esito dell’accertamento del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Napoli, che ha adottato provvedimento di archiviazione.

La pretesa dalla querelante di ottenere tutela di diritto penale a fronte di una cittadina che ha formulato, nella sede istituzionale, interrogativi sulla propria correttezza professionale non può trovare risposta positiva, a fronte della logica considerazione che questa cittadina ha esercitato un diritto che le è riconosciuto dal nostro ordinamento. Una risposta diversa si tradurrebbe in un inconcepibile divieto, per gli interessati, di chiedere il controllo sul livello deontologico nei confronti di soggetti, la cui attività di liberi professionisti o di lavoratori dipendenti, può profondamente incidere sui propri diritti personali e patrimoniali.

L’interrogativo sulla correttezza professionale di questi soggetti non può tradursi automaticamente, sempre e comunque, in una reazione punitiva dello Stato. La negativa evoluzione del costume, che porta a equiparare controllo/responsabilità, non può giustificare il divieto per i cittadini di chiedere nella sede istituzionale, senza anticipazioni di giudizio e senza devianti comunicazioni, l’esame di chi ha operato e opera nella loro sfera giuridica. Lo status di esaminandi, perenni è razionalmente giustificato dai poteri che l’ordinamento conferisce ad alcune categorie di consociati.

Questo orientamento interpretativo trova conferma in decisioni della S.C. in cui è stato riconosciuto l’esercizio di un diritto anche nel caso della condotta di chi indirizzi un esposto – contenente espressioni offensive – ad autorità disciplinare, perché ricorre la generale causa di giustificazione ex art. 51 c.p. quale esercizio di un diritto di critica costituzionalmente tutelato dall’art. 21 della Carta Costituzionale che è da ritenere prevalente rispetto al bene della dignità personale, pure tutelato dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, considerato che senza libertà di espressione e di critica, la dialettica democratica non può realizzarsi (sez. V, n. 13549 del 20.2.08, rv 239825).

Come si ricava facilmente dal capo di imputazione, nell’esposto non sono state usate espressioni direttamente e smodatamente offensive nei confronti della querelante ma solo dubbi e perplessità, che, seppure manifestatisi infondati, non travalicano il confine di un corretto esercizio del diritto di critica.

Nessun rilievo può avere la richiesta di cancellazione, avanzata dalla parte civile.

La sentenza impugnata va quindi annullata senza rinvio.
 
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, trattandosi di persona non punibile ai sensi dell’art. 51 c.p.

Depositata in Cancelleria il 21.09.2010

 

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