Arte & Cultura

L’ICONOCLASTIA IN ITALIA IN ETA’ MODERNA

di Pancrazio Caponetto – “ Cristo, io non ti credo, non ti tengo per Figliolo di Dio, perchè non mi fai mai bene, et io i Paternoste che dico a te li voglio dire al diavolo che mi fa bene”.
Sono le parole pronunciate, inveendo contro un crocifisso, da Vasta dello Mastro, una popolana napoletana del Seicento. Sono contenute tra i documenti dell’Archivio Diocesano di Napoli, citati dallo storico Romeo De Maio, nel suo testo Pittura e Controriforma a Napoli.
Non si trattava di un episodio isolato. Dappertutto a Napoli, ricorda De Maio, si oltraggiavano e percuotevano immagini sacre e cita, tra gli altri, gli episodi di un carcerato che legò il crocifisso alla coda di un topo e i colpi d’archibugio sparati da alcuni soldati contro immagini sacre.
Il termine iconoclastia ( dal greco “ distruzione delle immagini” ) viene adoperato per indicare ogni dottrina che vieta l’uso di immagini sacre per i fedeli cristiani. Nella storia del cristianesimo sono spesso emerse tendenze simili. Ma fu solo a Bisanzio tra l’ VIII e il IX secolo. che esse trovarono piena realizzazione a partire dalle disposizioni dell’Imperatore Leone III Isaurico che osteggiavano il culto e l’uso di immagini sacre.
Tuttavia in questo articolo non si parlera’ tanto del divieto di immagini sacre voluto da autorita’ politiche e religiose, quanto piuttosto di comportamenti, di atteggiamenti verso il culto delle immagini , tenuti da individui appartenenti per lo più alle classi medio – basse in italia in eta’ moderna.
Iniziamo col dire che in questo periodo non assistiamo ad un fenomeno iconoclasta di massa, ( con l’eccezione del sacco di Roma del 1527. su cui torneremo ), al contrario di quanto accadde nei paesi protestanti dove la furia iconoclasta investì immagini sacre, reliquie e chiese.
Pierroberto Scaramella nelle sue note sull’iconoclastia in Italia tra Rinascimento e Controriforma, ha individuato nella pratica religiosa comune nel Quattrocento italiano, una relazione personale e passionale tra i fedeli e le immagini sacre. Le “ singole azioni iconoclaste – scrive Scaramella – avevano talvolta come motivazione profonda, una devozione delusa, un dialogo interrotto, un’amicizia tradita. Prima di arrivare all’atto di violenza nei confronti delle immagini dipinte, o delle sculture a soggetto religioso, il devoto, nella maggior parte dei casi, si fermava all’imprecazione, alla bestemmia di fronte ad un potere che non si svelava, ad una risposta che non arrivava, ad una grazia da tempo impetrata e disattesa. “ Una testimonianza di quanto detto sono le urla e le imprecazioni rivolte dal popolo all’immagine di San Gennaro ( definito “faccia ingialluta”, “puorco“ ) quando, durante le sue celebrazioni, il miracolo della liquefazione del sangue tardava a manifestarsi.
In questo caso siamo vicini ma non ancora in presenza di un’azione iconoclasta. Essa talvolta si manifestava per motivi che possiamo definire “politici”, quando cioè immagini sacre erano imposte da un potere costituito.
Nella seconda metà del XV secolo, nei territori della terraferma sottomessi da Venezia, vennero violate le immagini sacre imposte dalla Repubblica di San Marco. Ad esempio nel 1486, in un paesino dell’entroterra veneziano, un immagine di San Marco venne oltraggiata da un gruppo di cittadini che gli cavarono gli occhi e sfregiarono il viso.
Ma in età moderna le azioni iconoclaste più frequenti sono quelle che si manifestavano negli ambienti delle taverne, delle osterie e del gioco. Esemplare a questo proposito è la vicenda del cittadino fiorentino Antonio Rinaldeschi, accaduta nella città toscana nel luglio del 1501. Rinaldeschi adirato per aver perso al gioco dei dadi in una taverna, raccolse dello sterco di cavallo e lo lanciò verso un’immagine della Madonna dipinta sul lato della chiesa di Santa Maria degli Alberighi. Catturato, Rinaldeschi venne condannato a morte. La macchia di sterco più volte lavata, ricompariva miracolosamente a ricordare alla gente l’oltraggio subito. Si accese pertanto la devozione popolare che, guidata anche dalle autorità costituite, portò alla decisione di inglobare l’immagine miracolosa in un oratorio ed in un nuovo edificio. Questo ed altri episodi vanno inquadrati nell’atmosfera religiosa del tardo Quattrocento quando prese piede con forza il culto mariano. Come ha scritto Pierroberto Scaramella, “ l ’elenco di immagini che si manifestano miracolosamente dopo una profanazione, alla fine del XV secolo, è sterminato. E sempre si ripropone il modello contraddistinto dall’ambiente dove nasce il crimine (la taverna, il gioco), lo scatto d’ira nei confronti dell’immagine, l’accadimento miracoloso al quale segue la riparazione rituale e la condanna del reo. “
Nella Firenze del tardo Quattrocento assistiamo ad un’azione iconoclasta di natura molto differente, in quanto promossa dal famoso predicatore ferrarese Girolamo Savonarola. Si trattò, secondo Scaramella , di un atto di “iconoclastia iconofilo”. Così lo descrive l’annalista fiorentino Luca Landini :
“ “E dì 27 di febraio [1497], fu Carnasciale, e fecesi in su la Piazza de’ Signori un capannuccio di cose vane, di figure ignude e di tavolieri, libri eretici, Morganti, specchi e molte cose vane e di gran valuta, stimate migliaia di fiorini. Come e’ feciono anno la processione de’ fanciugli, così feciono al presente: ragunati in 4 quartieri, colle croci e ulivi in mano, ogni quartiere ordinati con tabernacoli innanzi, andorono dopo desinare a ardere detto capannuccio; e benchè fussi dato noia da certi tiepidi, gittando gatte morte e simile lordura, non di meno vi misono el fuoco, e arse ogni cosa, perchè v’era stipa assai. “
Questi roghi, detti “bruciamenti delle vanità “, sono stati definiti roghi iconofili in quanto non si rigettava del tutto il culto delle immagini sacre, ma si bruciavano solo quelle immagini ritenute profane o sconvenienti. I roghi non furono un’invenzione di Savonarola, il predicatore francescano Bernardino da Siena li aveva praticati a Firenze nella quaresima del 1424, atti simili si verificarono anche a Treviso, Modena, Padova e Bologna.
A partire dagli anni venti del Cinquecento la riflessione sul culto delle immagini sacre subisce l’influsso della propaganda riformata. Come si ricorderà in Lutero e nella Riforma, troviamo un rifiuto delle immagini sacre il cui culto veniva ritenuto una forma di idolatria. Quando nel 1527 i lanzichenecchi luterani saccheggiarono Roma, si abbandonarono ad una violenza e ad una furia iconoclasta di vaste proporzioni : “ …divelti i reliquiari, per sbeffeggiare le sante ossa, violate le tombe dei santi, le sacre immagini offese, frantumate, date alle fiamme, gettate nelle latrine, i crocifissi vilipesi, addobbati alla lanzichenecca, le ostie sacre arrostite in padella e date in pasto agli animali.” ( Pierroberto Scaramella, “Madonne violate e Christi abbruciati”: note sull’iconoclastia in Italia tra Rinascimento e Controriforma ). Le cronache di quelle violenze si diffusero in breve in tutt’Italia segnando come un evento traumatico la cattolicità.
Negli anni cinquanta del XVI secolo si manifestano le azioni iconoclaste più clamorose. Una fra le tante : nel marzo 1552 nel casale di San Prisco, diocesi di Capua, alcuni contadini entrarono nella chiesa di San Tammaro distrussero una statua di legno di Cristo in croce e vandalizzarono le immagini della Madonna e dei santi collocate nelle cappelle laterali.
Questa ed altre azioni simili si caratterizzavano per la ricerca deliberata dello scandalo. “ Non si trattava – ha scritto Scaramella – di eliminare le immagini di culto, di farle scomparire dallo spazio e dal contesto sacro. Al contrario l’obiettivo era quello di lasciare delle tracce, di rendere visibile l’azione, di sottolineare la violenza dell’atto per impressionare e creare lo scandalo. “
Quale fu la reazione della Chiesa di fronte al verificarsi delle azioni iconoclaste ? L’ Inquisizione romana considerò gli iconoclasti come veementemente sospetti di eresia. Dunque il giudizio su questo tipo di reato spettava al giudice di fede, vescovo o inquisitore e non alla giustizia secolare. Tuttavia nei casi particolarmente efferati era possibile la consegna del colpevole alla giustizia secolare per la condanna a morte. Non mancarono contrasti tra le corti secolari e la giurisdizione ecclesiastica al punto che il Sant’ Ufficio intervenne per decreto il 20 novembre 1625 , chiarendo che il reato di iconoclastia era di pertinenza del vescovo o dell’inquisitore.
Gli archivi locali del Sant’ Ufficio sono una fonte preziosa per ricostruire il fenomeno dell’iconoclastia in Italia in età moderna. I processi che si celebrano per profanazione di immagini sacre tra il tardo Cinquecento e i primi anni del secolo successivo, mostrano un fenomeno in espansione. Vi sono iconoclasti che vandalizzano dipinti o immagini della Madonna, percuotono santi e cristi, li coprono di sterco, li accecano, bruciano crocifissi e
statue in legno. Le pene in genere erano miti, con alcune eccezioni. Esse riguardavano gli stranieri che circolavano in Italia. Secondo Benedetto Mandina, Ministro per il Sant’Ufficio nel Regno di Napoli, gli stranieri con audacia e astuzia, diffondevano tra la popolazione dubbi sul culto delle immagini e spesso le oltraggiavano e profanavano. Alcune di queste azioni non restavano impunite. Nel 1618 il soldato francese Martino de Caro fu mandato a morte per aver sparato un colpo di archibugio verso un’ immagine della Madonna.
Tra la fine del XVII secolo e soprattutto nel corso del Settecento le azioni iconoclaste continuano ad essere perseguite dai tribunali di fede italiani ma non vengono più considerate manifestazioni di sospetta eresia. Esse vengono per lo più trattate come prodotti di alterazione nervosa, di follia o ritenute gesti di sberleffo. Significativa è la vicenda del napoletano Giuliano Dottino arrestato nel 1684 e accusato di aver calpestato un crocifisso. Il suo avvocato lo difese di fronte al Tribunale Arcivescovile, ricordando che il fatto era avvenuto nel giorno della morte della moglie e che il Dottino sconvolto dall’ accaduto, era stato preso da un momento di follia.
Infine Pierroberto Scaramella, che abbiamo seguito nella sua analisi dell’iconoclastia in età moderna, ricorda l’atto profanatore di un ignoto vicentino che in una notte del gennaio 1695, disegnò su un ‘immagine della Madonna due mustacchi. “ Un gesto di dissacrazione e profanazione senza violenza … un atto di scherno e di irriverenza ormai molto lontano dalla polemica religiosa contro gli “idoli papisti”. ( Pierroberto Scaramella, “Madonne violate e Christi abbruciati”: note sull’iconoclastia in Italia tra Rinascimento e Controriforma )



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