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Anche nel processo amministrativo non sono liquidabili i danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare – Consiglio di Stato, Sentenza 3110/2011

La disposizione di cui all’art 30 del nuovo codice proc. amm. – secondo cui nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti – é applicabile anche a fattispecie controverse anteriori alla sua introduzione, non avendo essa carattere costitutivo, bensì essendo ricognitiva di diffusi e preesistenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa, civile e comunitaria in tema di condizioni dell’azione risarcitoria e determinazione del danno; non si risolve nell’introduzione della c.d. pregiudiziale, che deve ritenersi definitivamente espunta dal novero delle condizioni di ammissibilità dell’azione dinanzi al giudice amministrativo; afferma, pur senza richiamarlo esplicitamente, il principio recato dall’art.1227 secondo comma del cod. civ., considerandolo espressione del dovere del creditore di non lucrare sulle conseguenze derivanti dal comportamento della parte che ha determinato il danno, discendente dalle clausole generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e, prima ancora , dai doveri di solidarietà sociale che traggono fondamento nell’art. 2 Cost..

La tempestiva proposizione dell’azione d’annullamento, se è vero che nel nuovo quadro codicistico non può più rilevare ai fini dell’ammissibilità della domanda risarcitoria, continua a rilevare ai fini della affermazione dell’esistenza del nesso di causalità tra il comportamento illecito dell’Amministrazione e la produzione del danno, quando nelle determinazione di quest’ultimo ha avuto rilievo determinante il comportamento del danneggiato, avendo egli omesso di esperire i rimedi che l’ordinamento gli ha messo ha disposizione per contrastare tale comportamento.

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 3110 del 24/05/2011

(© Litis.it, 20 Maggio 2011 – Riproduzione riservata)

FATTO e DIRITTO

La sentenza di primo grado indicata in epigrafe, assoggettata ad impugnazione dal sig. [OMISSIS], generale di brigata a titolo onorifico della Guardia di Finanza, giunto oggi all’età di novantuno anni, è l’ultima delle decisioni adottate dal giudice amministrativo in una vicenda di lungo periodo.

L’esposizione che segue non si propone di dar conto di quanto ora premesso, il suo contenuto verrà quindi circoscritto a ciò che è strettamente collegato con il presente giudizio.

La sopra richiamata decisione segue alla decisione delle SS.UU. della Corte di Cassazione che con ordinanza 6 marzo 2009 n.5464, ai sensi dell’art.111 , comma 8° della Costituzione, ha dichiarato la giurisdizione del G.A sulla domanda autonoma di risarcimento del danno dal [OMISSIS] promossa, rimettendo , appunto, la causa al T.a.r. del Lazio, quale giudice competente a conoscere la controversia.

Ciò è avvenuto in quanto il giudice del riparto ha cassato la decisione di questa Sezione, n.2136/2007, con la quale è stata confermata la sentenza n.340/2006 del medesimo anzidetto T.a.r. contente declaratoria di inammissibilità dell’azione risarcitoria autonoma in applicazione della c.d. “pregiudiziale”.

Rimesso di nuovo dinanzi al giudice di primo grado del presente giudizio, il gen.le [OMISSIS] ha riproposto la richiesta di condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento per i rilevanti danni subiti i cui effetti non si sarebbero , almeno in parte, esauriti..

In particolare, ad avviso del ricorrente con il suo comportamento o illegittimo e persecutorio l’Amministrazione avrebbe causato discredito personale, blocco dell’avanzamento della carriera, nocumento alla vita di relazione affettiva , in particolare, e a quella professionale in genere.

All’origine di tale articolato quadro risarcitorio vi sarebbero le illegittime note caratteristiche redatte nei suoi confronti negli anni 1961-1064 ed in particolare il rapporto informativo relativo al periodo 18 aprile-24 maggio 1964, contenente un giudizio finale non solo contraddittorio ma soprattutto lesivo dell’onore e della reputazione del soldato e della persona, e che lo ha costretto al congedo determinato da ragioni di salute.

Nella sentenza impugnata il primo giudice in ossequio all’arresto del giudice della giurisdizione recato nella menzionata ordinanza, ha apprezzato la proposta domanda risarcitoria nel merito, ovvero indipendentemente dalla omessa proposizione da parte del gen.le [OMISSIS] dell’azione d’annullamento degli atti amministrativi, la cui illegittimità ed ingiusta lesività viene posta a fondamento dell’azione proposta..

Tuttavia tale domanda è stata respinta per l’accertata ed ampiamente motivata insussistenza dell’illegittimità dei suddetti atti adottati dall’Amministrazione; escludendo, in particolare, che da essi potesse evincersi l’ intento persecutorio dell’Amministrazione nei confronti del ricorrente, e dunque la presenza di un comportamento illecito determinativo di un danno ingiusto. nei suoi confronti.

Con l’appello in esame la parte ripropone la richiesta di riconoscimento delle proprie ragioni, la cui fondatezza non verrebbe affatto incisa dalle argomentazioni recate nella sentenza impugnata.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio resistere

La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione all’udienza del 22 marzo 2011.

L’appello deve essere respinto.

Nella sentenza impugnata viene innanzitutto escluso che i giudizi non positivi riguardanti il ricorrente fossero iniziati “all’improvviso”; a partire cioè dal 1961, escludendo in tal guisa che quest’ultimo avesse in precedenza sempre raggiunto “brillanti risultati “ e valutazioni costantemente “lusinghiere”.

Viene altresì escluso che vi fosse un pregiudizio dei superiori nei suoi confronti non essendo stati indicati in ricorso, neppure attraverso i “memoriali “ ad esso allegati, nè i fatti nè i soggetti coinvolti nelle circostanze che si assumono avvenute e la cui indeterminatezza viene evidenziata dall’assoluta genericità dei fatti storici a cui ivi ci si riferisce.

E’ stato al riguardo correttamente rilevato dal giudice di prime cure che il ricorrente agendo per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno, non può sottrarsi all’obbligo di allegare circostanze di fatto precise al fine di dimostrare l’esistenza stessa del comportamento contra jus subito.

Le valutazioni del primo giudice non sono inficiate dalle controdeduzioni dei difensori del Gen.le [OMISSIS].

Le relative prospettazioni puntano a dimostrare che prima del 1961 non vi fossero state flessioni nel rendimento del ricorrente e tuttavia il collegio non può esimersi dall’evidenziare, ferma quanto già si ricava dalla sentenza impugnata, che nella censura in esame la ricostruzioni dei precedenti di carriera in questione viene effettuata svelando aspetti che in realtà collimano con quelli più ampiamente evidenziati nella parte della decisione che s’intende censurare

Così, in un giudizio, riportato nell’impugnazione, relativo al 1957, e quindi non proprio all’inizio della carriera iniziata nel 1942, si riferisce che il ricorrente “ ha dato prova di migliorata maturità di carattere e di azione più solerte ed avveduta in servizio”; nel successivo giudizio del 1958 si dice che il ricorrente; “Ha dimostrato di essersi corretto di alcune mende affiorate in passato” .

Nell’affermazione contenuta nell’addebito di scarsità racchiusa nel rapporto informativo relativo al periodo 18 aprile-24 maggio 1964, vi sarebbe, secondo il ricorrente, l’origine delle vicende che hanno negativamente influito anche sulla sua vita personale, sulla salute e sulla “carriera”, essendosi del tutto illegittimamente offuscato il suo onore e la sua reputazione di persona e di soldato, e per di più, nell’ambito di un rapporto informativo relativo ad un periodo che corrisponde agli ultimi 36 giorni in s.p.e. nella sede di servizio di Messina.

Il giudice di prime cure non ha condiviso la censura osservando che:

a) è di comune esperienza, ex art.115 , co. 2° del c.p.c., che le modalità con le quali il soggetto manifesta all’esterno la sua personalità non sono immutabili neanche in un brevissimo periodo di tempo;

b) l’ordinamento militare è caratterizzato da assoluta peculiarità, tale da giustificare che epiteti come quello di cui si duole l’appellante entrino a far parte dei giudizi espressi nelle note e nei documenti caratteristici;

c) le qualità morali scarse attribuite nel giudizio in questione dovrebbero, comunque, essere contestualizzate, tenendo in considerazione l’intero giudizio espresso per il periodo 18 .4 – 24.5 1964, del quale il riferimento a tali qualità rappresenta solo una parte.

Le esposte argomentazioni del primo giudice non hanno persuaso i difensori dell’appellante, che le hanno sottoposte a vigorosa critica denunciando la violazione dell’art.115 , comma 2° c.p.c., sotto vari profili; la violazione dell’art. 2 della Cost., dell’art. 7 e/o 10 del cod.civ. e della legge n.1695 del 1962, avendo l’Amministrazione esercitato un potere valutativo che è andato molto al di là del consentito dalle norme di settore, attingendo alla lesione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente protetti.

Il giudice di prime cure ha osservato, correttamente ad avviso del collegio, che l’addebito di scarse qualità fisich , morali e di carattere, contenuto nel rapporto informativo in questione, è parte di un giudizio nel complesso negativo dal quale emerge che l’ufficiale possiede “ … regolari qualità culturali, distinte qualità intellettuali e professionali, lavora senza il necessario impegno e con insufficiente rendimento”.

Il collegio, in tale contesto, ritiene del tutto infondata la censura di parte appellante che appare invero impropriamente appuntata sull’aspetto delle scarse qualità morali, con ciò obliterando il contenuto complessivo del rapporto informativo in questione che, come visto, non solo a queste si è riferito nel valutare il servizio prestato a Messina dall’ufficiale.

In quest’ottica, al di là della necessità di contestualizzare il giudizio di scarsità in seno all’intera valutazione sintetizzata nel rapporto informativo in esame, vale certamente osservare che non adeguata considerazione è stata data da parte istante a quanto emerge dalla piana lettura della lettera a) dell’art.26 della legge 12 novembre 1955 , n.1137.

Ivi, ai fini del giudizio di avanzamento dell’ufficiale, è appunto riportato il parametro riguardante le “qualità morali, di carattere e fisiche”.

E’, però, facile accorgersi che tale parametro presenta, al tempo stesso, una rilevanza autonoma e una dimensione unitaria rispetto agli altri dettati nelle lettere successive dello stesso articolo in esame, ma ha anche carattere composito, essendo al suo interno articolato in tre distinte “voci”, corrispondenti ad altrettante qualità dell’ufficiale.

Pare allora possibile da ciò ritenere, ad avviso del collegio, che nel rapporto informativo in esame il giudizio di “scarsità”, nonostante la sua formulazione letterale, possa non essere stato riferito, e se ciò fosse non sarebbe senz’altro illegittimo, nella stessa misura a tutte le anzidette “voci” che compongono il parametro in parola.

Non può invero escludersi che il compilatore del rapporto informativo si sia ritenuto vincolato ad esprimersi in perfetta aderenza al testo della lettera a) dell’art.26 della legge n.1137/1955, e tuttavia ciò non può impedire in questa sede di ritenere che nel veduto giudizio complessivamente negativo non vi sia senz’altro da ricomprendere anche la scarsità delle qualità morali.

Vero è, in tal ottica, che, per stabilire il senso effettivo del giudizio di scarsità di cui si discute, occorre riferirsi agli antecedenti di servizio sia remoti,sia recenti, che hanno riguardato l’ufficiale sottoposto a valutazione.

Ora, per quanto concerne il Gen.le [OMISSIS], non vi è alcun dubbio, alla luce dell’esame degli atti di causa, che i suoi precedenti di carriera non evidenziano alcun profilo negativo della sua sfera morale, cosicché ricevono piena conferma le affermazioni in atti, ancorché successive al rapporto informativo del 1964, provenienti dell’autorevole superiore del ricorrente, secondo le quali egli è persona di limpida moralità e “……..soldato in linea con i principi eterni della lealtà, dell’onestà e del dovere”.

Non può apparire quindi gratuito affermare che nella fattispecie ricorrono le condizioni per ritenere che la valutazione complessiva di scarsità certamente non ha riguardato la persona del Gen.le [OMISSIS] e che ad influire sulla sua esplicitazione, con riferimento comunque al breve periodo di servizio che l’ufficiale medesimo ha svolto nella sede di Messina, sono state soprattutto, se non esclusivamente, le qualità fisiche ed ancor più quelle di carattere colà esibite.

Ciò comporta che, da un lato, le censure rivolte a detto rapporto, proprio perché assumono l’esistenza di un giudizio di scarsità riferito unicamente alle qualità morali, non colgono nel segno e, dall’altro, che il giudizio complessivamente negativo con esso espresso, riguardante il carattere, l’impegno, il rendimento, poiché espressione di altissima discrezionalità, non è come tale sindacabile in questa sede ed appare pienamente legittimo, essendo del tutto immune dalle censure proposte,ove queste si vogliano intendere come rivolte anche agli aspetti anzidetti, alla luce di quanto argomentato dal primo giudice, che il collegio condivide pienamente.

In ragione di quanto finora argomentato, ed in relazione alla dispiegata domanda autonoma di risarcimento del danno, il collegio ritiene si debba condividere la conclusione cui è pervenuto il primo giudice, per la quale, nella fattispecie all’esame, non è emerso alcun comportamento illecito da parte dell’Amministrazione che abbia determinato un danno ingiusto per effetto di una condotta persecutoria nei confronti dell’appellante, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria.

Una volta acclarata l’infondatezza delle censure proposte non vi sarebbero allora più ragioni per argomentare in merito ai danni che parte appellante assume d’aver patito.

Tuttavia il Collegio ritiene, per completezza d’esame, di porre in evidenza che tale domanda, avuto riguardo agli aspetti temporali della fattispecie concreta nella quale rimane inserita, avrebbe dovuto affrontare, con prospettive di reiezione i principi enunciati dal recentissimo “arresto” dell’Adunanza Plenaria di questo Consesso recato nella sentenza n.3/2011, che, a mente dell’art. 99 comma 3 C.P.A. merita rispetto (e d’altro canto, date le su indicate ragioni principali di rigetto, non sarebbe neanche rilevante rimettere alla stessa Plenaria con motivata ordinanza la soluzione dell’appello).

In tale decisione, il massimo organo della giustizia amministrativa, la cui autorevolezza viene ribadita e rafforzata, come si ripete, con l’ art 99 del nuovo c.p.a., ha esaminato l’art. 30 dello stesso codice, per determinarne il senso nella parte in cui esso prevede che “Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti.”.

Ebbene, viene stabilito, fra l’altro, per quanto qui può interessare, che tale disposizione è anzitutto applicabile anche a fattispecie controverse anteriori alla sua introduzione, non avendo essa carattere costitutivo, bensì essendo ricognitiva di diffusi e preesistenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa, civile e comunitaria in tema di condizioni dell’azione risarcitoria e determinazione del danno; non si risolve nell’introduzione della c.d. pregiudiziale, che deve ritenersi definitivamente espunta dal novero delle condizioni di ammissibilità dell’azione dinanzi al giudice amministrativo; afferma, pur senza richiamarlo esplicitamente, il principio recato dall’art.1227 secondo comma del cod. civ., considerandolo espressione del dovere del creditore di non lucrare sulle conseguenze derivanti dal comportamento della parte che ha determinato il danno, discendente dalle clausole generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e, prima ancora , dai doveri di solidarietà sociale che traggono fondamento nell’art. 2 Cost..

In sostanza, per il massimo organo della giustizia amministrativa, la tempestiva proposizione dell’azione d’annullamento, se è vero che nel nuovo quadro codicistico non può più rilevare ai fini dell’ammissibilità della domanda risarcitoria, continua a rilevare ai fini della affermazione dell’esistenza del nesso di causalità tra il comportamento illecito dell’Amministrazione e la produzione del danno, quando nelle determinazione di quest’ultimo ha avuto rilievo determinante il comportamento del danneggiato, avendo egli omesso di esperire i rimedi che l’ordinamento gli ha messo ha disposizione per contrastare tale comportamento.

In quest’ambito non può non evidenziarsi che gli atti amministrativi contestati dal Gen.le [OMISSIS] sono stati adottati dall’Amministrazione negli anni 1961-1964, mentre la sua iniziativa giudiziaria risale agli anni 2000, nonostante l’assenza di impedimenti alla tempestiva utilizzazione dei mezzi di tutela previsti.

Ferma e ribadita l’infondatezza delle censure proposte, la domanda risarcitoria autonoma incontrerebbe nella fattispecie ulteriori seri ostacoli quanto alla prospettiva di un suo accoglimento, dovendosi essa comunque misurare con quella previsione dell’art.30 c.p.a., ai sensi della quale resta escluso “ il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti.”.

L’appello va quindi respinto.

La complessità delle questioni prospettate suggerisce giusti motivi per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorn 22 marzo 2011 e 12 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Guido Romano, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 24/05/2011

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