Amministrativa

Revoca programma speciale di protezione – Consiglio di Stato Sentenza n. 5871/2012

sul ricorso numero di registro generale 3790 del 2012, proposto da:
xx, rappresentato e difeso dall’Avv. M. Claudia Conidi, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Virgilio Di Meo in Roma, via Lero, 14;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I TER, n. 08706/2011, resa tra le parti, concernente revoca programma speciale di protezione.

Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza n. 5871/2012 del 20.11.2012

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2012 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e udito l’Avvocato Di Meo su delega di Conidi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. Il Sig. xx Antonio, collaboratore di giustizia, era stato ammesso al programma di protezione dalla competente Commissione Centrale con delibera sottoscritta e accettata dal collaboratore in data 2.12.2005.
Con verbale del 9 luglio 2007, notificato il 1° agosto 2007, la Commissione revocava il programma speciale di protezione a favore del xx per essere egli venuto meno ai propri doveri di comportamento.
2. Il TAR Lazio con la sentenza impugnata ha respinto il ricorso.
3. Interpone appello l’interessato, denunciando la carente motivazione della sentenza, per omessa valutazione dei dati offerti e rappresentati dalla difesa; in particolare, contesta che i fatti addebitati rientrino nei motivi tassativi per i quali può essere disposta la revoca delle misure di protezione (non hanno costituito né reato, né violazione gravissima); inoltre, le condotte contestate non sarebbero allo stato suscettibili di una valutazione che prescinda da un accertamento dell’A.G. penale, alla quale è stata denunciata un’ipotesi di reato ai danni dello stesso appellante.
4. Resiste in giudizio il Ministero appellato.
5. All’udienza del 19 ottobre 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello non merita accoglimento.
2. L’appellante lamenta che le considerazioni svolte con il ricorso introduttivo non sarebbero state adeguatamente vagliate dal TAR.
Il substrato fattuale su cui si fonda il provvedimento impugnato, per quanto riguarda l’addebito dei “presunti accordi processuali con altro collaboratore di giustizia volti a pianificare le sorti di un processo in Corte d’Assise a Catanzaro”, è al vaglio dell’A.G. penale, la quale è stata investita dallo stesso xx dell’accertamento relativo alla perpetrazione di un reato continuato da lui subito (sin dal 2007), reato di estorsione documentale, ancora da verificare e per cui pende procedimento presso la Procura di Roma.
Inoltre, nel processo “incriminato” il xx aveva avuto il pieno riconoscimento premiale previsto dall’art. 8 l. 203/1991 e la sentenza smentirebbe le considerazioni della DDA di Catanzaro a sostegno della richiesta revoca della protezione.
Ancora, la Corte di Cassazione ha annullato la pronuncia della Corte d’Assise per i due collaboratori.
Per quanto riguarda l’altro addebito,“incontri in località protetta” con il pentito Scaglione C., l’appellante deduce che la sentenza non ha tenuto conto del fatto che gli incontri sono dipesi da “un’ allocazione del collaboratore di giustizia Scaglione C. nella medesima località” già preassegnata al xx, effettuata dal Servizio di protezione, e che l’appellante non avrebbe potuto allontanarsi dal nucleo familiare anche per i problemi di natura psicologica della figlia.
Afferma altresì l’appellante che i motivi per cui può essere disposta la revoca sono tassativi: i fatti addebitati avrebbero tutt’al più potuto essere valutati dalla Commissione ex art. 12 lett. a) dela l. 82/1991.
3. Ad avviso del Collegio, la sentenza ha puntualmente esaminato e respinto le censure proposte.
Va premesso che la disposizione su cui si fonda il provvedimento di revoca è quella di cui all’art. 13 quater, co.1, del d.l. n. 8/1991, convertito dalla legge n. 82/1991 e successive modificazioni, che così recita: “Le speciali misure di protezione sono a termine e, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, possono essere revocate o modificate in relazione all’attualità del pericolo, alla sua gravità e alla idoneità delle misure adottate, nonché in relazione alla condotta delle persone interessate e alla osservanza degli impegni assunti a norma di legge”.
Il co. 2 della medesima disposizione elenca i vari fatti che possono comportare la revoca delle speciali misure di protezione, facendo rientrare nella sfera dell’apprezzamento dell’Amministrazione il vaglio sulla condotta del soggetto sottoposto alle misure protettive ed il giudizio sulla eventuale incompatibilità del comportamento da questi tenuto con il permanere del sistema di tutela, mentre compito del giudice di legittimità è quello di vagliare se l’esercizio di tale potere valutativo sia aderente ai presupposti normativi ed ai criteri di logica e razionalità, censurandolo eventualmente, ove emergano profili di erroneità valutativa o si evidenzi travisamento dei fatti.
Come è stato messo in luce dalla giurisprudenza di questa Sezione, “la legislazione di protezione dei soggetti già affiliati ad associazioni criminali o di autori di condotte delittuose specifiche, successivamente dissociatisi, non risponde a logiche premiali ed è particolarmente onerosa per le finanze dello Stato, impegnando risorse economiche, mezzi e uomini delle forze dell’ordine, sottratti agli ordinari compiti di istituto. È pertanto legittimo che allorché la condotta del soggetto protetto, indipendentemente dal contributo collaborativo fornito ed addirittura dai pericoli che lo stesso potrebbe correre, si ponga in condizioni di incompatibilità con le disposizioni di riferimento o comporti un aggravamento dell’onerosità del programma di protezione, dette misure vengano revocate” (Consiglio di Stato, sez. III, 08 agosto 2012, n. 4533).
Alla luce di tali premesse, vanno respinte le censure dedotte coi motivi di appello.
Innanzitutto, l’estorsione che il xx afferma di aver subito, e che è sub iudice, non ha rappresentato di per sé l’unica “violazione comportamentale” sanzionata dall’art. 13 quater della l. 45/2001; cosicchè non vi sarebbe motivo di ritenere che finché non è decisa la fattispecie penale non potrebbe neppure valutarsi nel giudizio amministrativo la legittimità o meno del provvedimento impugnato.
La sentenza appellata, correttamente, dopo aver ricostruito il quadro normativo vigente in materia, ha valutato le argomentazioni e i fatti dedotti dal ricorrente, ritenendo che il provvedimento si fondi sulla specifica valutazione svolta dalla Commissione centrale ex art. 10 della l. n. 82/1991, concernente un duplice ordine di fatti, sia la complessiva condotta adottata dal ricorrente successivamente alla sottoposizione al programma speciale di protezione, sia la veridicità e attendibilità dell’apporto collaborativo reso nel corso dei procedimenti penali instaurati a suo carico presso la Corte d’Assise di Catanzaro.
La sentenza evidenzia che la condotta tenuta dal Di Diego, successivamente alla sottoposizione al programma di protezione è stata caratterizzata da una serie di incontri avuti con l’altro collaboratore di giustizia, tale Scaglione, il quale, sottoposto a custodia cautelare in carcere dalla Corte d’Appello di Catanzaro, I Sezione penale, per avere ritrattato precedenti dichiarazioni, ha sostenuto di avere concordato con l’odierno appellante, coimputato nello stesso processo penale, alcune dichiarazioni auto ed etero accusatorie. Tali condotte sono state ritenute dalla Commissione centrale contrarie ai doveri connessi al programma speciale di protezione, in quanto in contrasto con i profili di correttezza e lealtà processuale posti a fondame
nto degli obblighi di cui all’art. 12, comma 2, lett. b) della l. n. 82 del 1991.
La sentenza ha ritenuto correttamente che si è trattato di “presupposti che hanno modificato la situazione fattuale in virtù della quale il ricorrente era stato precedentemente ammesso al programma speciale di protezione “ e che “il provvedimento di revoca del programma di protezione risulta fondato su una puntuale articolata verifica dell’intervenuta insussistenza dell’attendibilità e della veridicità dell’apporto collaborativo reso dal Sig. xx, nonché dal mancato rispetto degli obblighi e degli impegni previsti dall’art. 12 della legge”.
Tale valutazione non è inficiata dalla circostanza che la Corte di Cassazione abbia dichiarato inammissibile il ricorso del PG presso la Corte d’Assise d’appello di Catanzaro e dal fatto che l’appellante abbia ricevuto con la sentenza d’appello il riconoscimento premiale di cui all’art. 8 l. 203/1991: come si è già osservato la valutazione della Commissione è complessiva ed inoltre il programma di protezione non ha natura o finalità premiale.
La sentenza ha poi rigettato il secondo motivo del ricorso introduttivo, col quale il xx deduceva che alcuna responsabilità sarebbe a lui ascrivibile riguardo agli incontri avuti con altro appartenente all’organizzazione criminale, sopraggiunto nella medesima località di sua destinazione, attribuendo un rilievo significativo al “rifiuto” espresso dal ricorrente medesimo sulla proposta di trasferimento presso altra sede in virtù degli incontri riferiti, comportamento questo pure che configura il mancato rispetto degli impegni e obblighi di cui all’art. 12 l. n. 82/1991.
Lamenta l’appellante che la sentenza non menzionerebbe le sentenze premiali riportate dal xx; né le esigenze familiari che hanno indotto a rifiutare il trasferimento in altra sede. Insiste sulla tassatività dei motivi di revoca del programma di protezione.
A tal proposito, va osservato che l’aver riportato sentenze premiali non implica il venir meno della necessità che vengano rispettate le prescrizioni del programma di sicurezza, si collabori attivamente all’esecuzione delle misure, sia rispettato il divieto di incontrare e contattare, con qualunque mezzo o tramite, alcuna persona dedita al crimine, come discende dall’art. 12 cit..
E così pure il rilievo attribuito alla protezione della incolumità della persona del pentito, nel proporre la misura del trasferimento, prevale senz’altro su ogni considerazione attinente la tutela dell’integrità del nucleo familiare.
4. In conclusione, l’appello va rigettato.
5. Le spese di giudizio si compensano tra le parti, attese le questioni trattate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Botto, Presidente FF
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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