Amministrativa

Corresponsione somme per prestazioni specialistiche in regime di accreditamento – Consiglio di Stato Sentenza 00014/2013

sul ricorso numero di registro generale 1963 del 2002, proposto da:
Asl Foggia, in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Caterina Sturdà, con domicilio eletto presso Guido Crastolla in Roma, via Calamatta, 16;
contro
Laboratorio di Analisi Cliniche “Dr. XX”, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Pellegrino, presso il cui studio ha eletto il domicilio in Roma, corso del Rinascimento, 11;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – sez. staccata di LECCE: sezione II n. 8298/2001, resa tra le parti, concernente la corresponsione somme per prestazioni specialistiche in regime di accreditamento

Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza n. 00014/2013 del 07.01.2013

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 novembre 2012 il Cons. Hadrian Simonetti, presente per la parte appellata l’Avvocato De Vergottini su delega di Pellegrino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Il Laboratorio di analisi cliniche, struttura privata accreditata, agì in giudizio dinanzi al Tar Puglia, sezione staccata di Lecce, chiedendo l’accertamento del proprio diritto alla corresponsione delle somme dovute per le prestazioni specialistiche rese nei mesi di ottobre, novembre e dicembre 1998.
Dedusse, a fondamento della propria domanda, anche di condanna nei confronti dell’Azienda sanitaria, la circostanza che l’Azienda avesse adempiuto solamente in parte al proprio debito di oltre 45 milioni di vecchie lire, pagandole poco più di 13 milioni; e come non fosse pertinente il richiamo, per giustificare tale decurtazione, all’accordo transattivo sottoscritto il 21.4.1999.
Ciò in quanto tale accordo era subordinato alla condizione di avere contezza, attraverso documentazione dettagliata e scritta, delle prestazioni eseguite dall’intera branca specialistica nel corso sia del 1997 che del 1998, al fine di verificare se effettivamente fosse stato superato il tetto di spesa. Poiché tale condizione non si era avverata e poiché quindi non era stato possibile sapere se il superamento ci fosse mai stato, l’assunto della ricorrente era che le spettasse il pagamento dell’intero, per come risultante dalle distinte di accompagnamento.
2. Il Tar, decidendo con sentenza in forma semplificata all’esito della camera di consiglio fissata per la domanda cautelare, accolse il ricorso condannando l’Azienda, sul rilievo che la transazione non avesse efficacia e che quindi le prestazioni rese dalla ricorrente dovessero essere retribuite integralmente, negli importi fatturati, maggiorati degli interessi.
3. Con il presente appello l’Asl di Foggia ha dedotto, in rito, la nullità della sentenza, pronunciata in forma semplificata nella camera di consiglio fissata per l’esame della domanda cautelare, lamentando che le parti non sarebbero state avvisate di tale possibilità, così violando il disposto dell’art. 21 co. 9 e 26 co. 5 della l. Tar.
Nel merito ha dedotto di avere fatto applicazione, a suo tempo, delle determinazioni regionali sui tetti di spesa che prevedevano la decurtazione del 25 o del 50% delle prestazioni rese per i soli mesi di ottobre, novembre e dicembre del 1998, ove il valore delle prestazioni effettuate dall’intera branca specialistica di riferimento sino al 30.9.1998 fosse stato maggiore del valore delle prestazioni effettuate e liquidate a tutto il 1997.
Con specifico riferimento alla condizione apposta all’accordo transattivo, ne ha prospettato l’invalidità e quindi l’inefficacia, il che giustificherebbe il pagamento in misura ridotta. In ogni caso tale condizione non integrerebbe una costituzione in mora ai fini del riconoscimento degli interessi.
Ha quindi concluso per la riforma della sentenza e per la reiezione del ricorso di primo grado.
Si è costituita la parte privata resistendo con articolata memoria difensiva.
All’udienza pubblica del 23.11.2012, in vista della quale le parti hanno depositato ulteriori memorie, la causa è passata in decisione.
4. Deve essere esaminato il primo motivo di appello, con il quale è dedotta la nullità della sentenza di primo grado perché le parti non sarebbero state sentite in ordine alla possibilità di una decisione immediata, in forma semplificata, nella camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare.
4.1. E’utile premettere come l’istituto della sentenza in forma semplificata, che ai giorni nostri riceve nel codice del processo amministrativo una applicazione assai ampia (artt. 74, 60, 114, 116, 117, 120, 129), sia stato introdotto con l’art. 19 d.l. 67/1997 e generalizzato con l. 205/2000 che modificava in molte parti l’originaria legge istitutiva dei Tar (n. 1034/1971).
4.2. Quanto ai precedenti, in estrema sintesi possono essere ricordati alcuni disegni di legge presentati nel corso della X legislatura ed il parere redatto dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato (n. 16/1990) incentrati, all’epoca, sull’ipotesi di definizione del giudizio mediante un’ordinanza succintamente motivata, secondo il modello offerto dal giudizio costituzionale (artt. 18 e 24 l. 87/1953: ordinanze di manifesta infondatezza o inutilità, perché ad esempio la Corte costituzionale si è già pronunciata sulla medesima questione di l.c.). Oltre che sulla base di esperienze di diritto comparato, in specie nell’ordinamento tedesco ed in quello belga, che già contemplavano discipline acceleratorie che si concludono con provvedimento semplificato.
Il precedente più rilevante, nel nostro ordinamento, è stato quello, già ricordato, di cui all’art. 19 d.l. 67/1997, convertito in l. 135/1997, in materia di opere pubbliche (prevedeva la riduzione a metà dei termini processuali e la possibilità di definire il merito del giudizio in sede di esame dell’istanza cautelare) sul quale merita ricordare la pronuncia della Corte cost. n. 427/1999.
4.3. Nell’occasione, la Consulta subordinò la validità (e l’espansione) di tale modello ad alcune condizioni, che dovevano sussistere al momento della discussione dell’istanza cautelare, quali: 1) l’integrità del contraddittorio; 2) la completezza dell’istruttoria; 3) il rispetto di taluni adempimenti processuali a tutela del diritto di difesa di tutte le parti (accordare il rinvio ed un termine a difesa nell’ipotesi in cui le parti preannuncino la proposizione di motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza e simili).
La sentenza della Corte n. 427/1999 pose le basi per la riforma introdotta dalla l. 205/2000 attraverso la previsione della decisione in forma semplificata in diversi ambiti del processo: 1) nella fase cautelare, ai fini della decisione immediata del giudizio anche nel merito; 2) all’esito dell’istruttoria; 3) nel rito del silenzio (art. 21 bis l. Tar).
4.5. Con la l. 205/2000 di riforma della l. Tar il precedente sopra ricordato è stato generalizzato. Presupposti della sentenza c.d. breve sono diventati – a norma dell’art. 26 co. 4 l. Tar, come novellato dalla l. 205/2000 – la manifesta inammissibilità, irricevibilità, improcedibilità (decisioni in rito), la manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso (decisioni nel merito).
Deve essere assicurato il rispetto di talune garanzie “minime” (completezza dell’istruttoria ed integrità del contraddittorio, già “suggerite” dalla Corte costituzionale nella ricordata sentenza n. 427/1999) e – per quanto più rileva in questa sede – devono essere sentite le parti costituite, anche se non è richiesto il loro consenso.
4.6. L’art. 60 del codice del processo amministrativo (rubricato “definizione del giudizio in esito all’udienza camerale”) corrisponde all’art. 21 nono comma legge n. 1034/1971 (modificato dalla legge n. 205/2000), con alcuni chiarimenti ed una sola novità di rilievo.
I chiarimenti vertono sul rispetto delle garanzie di difesa, prevedendosi ora espressamente quello che la Corte costituzionale aveva a suo tempo “suggerito”: l’impossibilità di una definizione immediata nei casi in cui “una delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione”, e la necessità di un rinvio.
La novità riguarda la questione dei termini, a garanzia delle altre parti (resistente e controinteressati), al fine di scongiurare decisioni “a sorpresa”, disponendosi ora che, ai fini della decisione, debbano essere trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso (che diventano però dieci, nei riti speciali di cui agli artt. 119 e 120).
L’art. 74 estende l’utilizzo delle sentenze in forma semplificata anche nella sede del giudizio di cognizione, quindi all’udienza pubblica, ove ricorrano i presupposti della manifesta inammissibilità, irricevibilità, improcedibilità ovvero della manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso (ma si tratta di disposizione scarsamente pertinente, perché se il processo è giunto alla discussione del merito in udienza pubblica non si pone alcun problema riguardo al contraddittorio ed alla difesa delle parti, e la sentenza può essere detta “semplificata” solo nel senso che è motivata sinteticamente – il che del resto è sempre possibile e anzi auspicabile, senza bisogno di un’apposita norma di rito, nella misura in cui lo consentano la quantità e la qualità delle questioni da risolvere).
4.7. Quanto alle conseguenze in caso di inosservanza di tali condizioni, nel silenzio della riforma del 2000 e del codice del 2010, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha distinto a seconda delle violazioni commesse.
Quelle relative al (mancato rispetto del) contraddittorio e del diritto di difesa comportano, in appello, l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice di primo grado; quelle relative, invece, all’istruttoria e alla mancanza dei presupposti non comportano il rinvio al giudice di primo grado, spettando la decisione al giudice dell’appello.
5. Fatta questa premessa di ordine generale, nel caso di specie la difesa di parte appellante denuncia la circostanza che, nella camera di consiglio del 20.1.2001 dinanzi al Tar Lecce, le parti, pur presenti e ammesse a discutere, non fossero state preavvisate circa la possibilità di una definizione della controversia anche nel merito; ed assume che tale omissione comporti per ciò solo l’annullamento della sentenza ed il rinvio del giudizio al Giudice di primo grado.
5.1. Replica la controparte sostenendo che, invece, l’avviso sarebbe stata data dal Presidente nel corso della discussione in camera di consiglio, come dimostrerebbe il verbale prodotto in atto nel quale si legge che “sono trattenuti per la decisione, ai sensi dell’art. 9 della legge 205/2000, con specifica comunicazione di ciò ai difensori intervenuti da parte del Presidente (per ciascun affare), i seguenti ricorsi: (segue elenco comprensivo anche del ricorso proposto dal Laboratorio Di Marco)”.
Va notato che questa verbalizzazione non è contenuta nel vero e proprio verbale di udienza (o camera di consiglio) che come d’uso è redatto singolarmente e separatamente per ciascun ricorso, con indicazione della composizione del collegio giudicante per quello specifico giudizio (com’è noto, la composizione del collegio può variare nei singoli procedimenti chiamati alla medesima udienza), dei nominativi degli avvocati intervenuti, delle loro eventuali deduzioni, e dei provvedimenti presi (o quanto meno del passaggio in decisione). Si tratta invece, come già accennato, di un foglio unico che contiene l’elenco dei ricorsi presi in decisione anche per il merito, ma senza indicazione dei nominativi dei difensori rispettivamente presenti.
5.2. Se queste sono le contrapposte tesi di parte, reputa il Collegio che dal verbale prodotto in atti non risulta con sufficiente chiarezza se (e fino a che punto) i difensori del Laboratorio Di Marco e dell’Asl siano stati effettivamente sentiti circa la possibilità di una decisione immediata anche nel merito e, quindi, se siano stati messi (e fino a che punto) nella condizione di poter interloquire con il Collegio prospettando, in ipotesi, in senso ostativo, la necessità di adempimenti processuali, approfondimenti istruttori o comunque di chiarimenti tali da sconsigliare una decisione immediata anche nel merito della causa.
Del resto, neppure la sentenza di primo grado fa espressa menzione di alcun avviso dato alle parti circa la possibilità di una decisione anche nel merito, sebbene dia atto di come le parti furono effettivamente sentite in camera di consiglio.
Né può ritenersi sufficiente un avviso generale, rivolto nel corso dei cd. preliminari di udienza a tutti i difensori presenti in quel momento, a prescindere dalla specificità delle singole controversie chiamate nello stesso giorno per la discussione in camera di consiglio.
5.3. Ne consegue la fondatezza del motivo di appello il cui accoglimento comporta, trattandosi della lesione del diritto di difesa, la rimessione della causa al primo Giudice, perché la decida nuovamente, in diversa composizione.
6. Le spese possono essere compensare, nel peculiare caso di specie.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata e rimette la controversia al Giudice di primo grado perché la decida nuovamente, in diversa composizione.
Spese compensate .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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