Amministrativa

Diniego di rinnovo del porto di fucile per uso tiro a volo – Consiglio di Stato Sentenza 00822/2013

ex artt. 38 e 60 c.p.a., sul ricorso n. 9207/2012 RG, proposto dal sig. XX, rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Paolo Guido, con domicilio eletto in Roma, presso la Segreteria di questa Sezione,
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del sig. Ministro pro tempore e la Questura di Genova, in persona del Questore pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici si domiciliano in Roma, via dei Portoghesi n. 12,
per la riforma
della sentenza del TAR Liguria, sez. II, n. 809/2012, resa tra le parti e concernente il diniego di rinnovo, nei confronti dell’appellante, del porto di fucile per uso tiro a volo;

Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza n.00822/2013 del  12.02.2013

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza camerale del 25 gennaio 2013 il Cons. Silvestro Maria Russo, nessuno presente per le parti;
Ritenuto in fatto e considerato in quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1. – Il sig. XX rende noto che, a seguito di condanne penali per fatti accaduti nel 1981, ne ha ottenuto la riabilitazione in virtù dell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Genova n. 57 del 15 gennaio 2005,
Il sig. Aracri dichiara altresì d’aver chiesto ed ottenuto dalla Questura di Genova il rilascio del porto di fucile per uso di tiro a volo, divenendo poi (dal 2007) istruttore di tiro a segno presso la sezione nazionale di Acqui Terme.
In relazione a ciò, il sig. Aracri ha chiesto il rinnovo del porto di fucile, ma la Questura di Genova, con nota del 17 agosto 2011, gli ha comunicato un preavviso di rigetto ex art. 10-bis della l. 7 agosto 1990 n. 241, sussistendo le pregresse vicende penali.
Di poi, con decreto del successivo 6 settembre, il Questore di Genova ha respinto l’istanza di rinnovo del porto di fucile, appunto in ragione del rigoroso criterio ostativo contenuto nell’art. 43 del TULPS avuto riguardo alle intervenute condanne per violazione delle norme in materia di stupefacenti e per resistenza a pubblico ufficiale.
2. – Avverso tale diniego il sig. Aracri ha allora proposto ricorso innanzi al TAR Liguria, deducendo in punto di diritto l’unico, articolato motivo della violazione degli artt. 2, 3, 27 e 97 Cost., degli artt. 11 e 43 del TULPS, dell’art. 178 c.p. e dell’art. 3 della l. 241/1990, nonché dell’eccesso di potere sotto vari profili.
Con sentenza n. 809 del 13 giugno 2012, l’adito TAR, pur dando atto della varietà di vedute sul tema di questo Consiglio, ha respinto la pretesa attorea.
Il TAR ha infatti condiviso l’interpretazione dell’art. 43 del TULPS propugnata dal Ministero dell’interno, secondo la quale la norma non offre alla P.A. alcuna potestà discrezionale di valutazione sulla posizione dell’interessato nel caso in cui, quale appunto quello di sèpecie, l’interessato abbia riportato condanne per i reati indicati nel medesimo art. 43, I c., lett. a) e b).
Dal che il presente appello, con cui il sig. Aracri lamenta l’erroneità della sentenza impugnata, sulla scorta di varie pronunce, anche di questo Consiglio, in contrario avviso sulla medesima fattispecie. Resistono in giudizio le Amministrazioni statali intimate, concludendo per il rigetto dell’appello.
All’udienza camerale del 25 gennaio 2013, sussistendo le condizioni di cui all’art. 60 c.p.a., il ricorso in epigrafe è stato introitato assunto dal Collegio per esser deciso nelle forme di cui al successivo art. 74.
3. – L’appello è meritevole d’accoglimento.
Ritiene invero il Collegio che, pur potendosi condividere in linea di massima l’assunto secondo cui le condanne per i reati indicati nel ripetuto art. 43, I c., lett. a) e b) assurgano a speciali incapacità ex lege al rilascio o al rinnovo delle autorizzazioni di polizia ( tali da non esser superate sic et simpliciter dalla mera riabilitazione dell’interessato ), tuttavia, non si può trarre da tali vicende il carattere d’irreversibile permanenza del loro effetto ostativo, non superabile da alcuna situazione sopravvenuta, anche nella precipua materia della detenzione e dell’uso delle armi. Infatti, la vincolatezza della norma è preclusiva, ma per entrambi gli attori del procedimento di rilascio o rinnovo, d’ogni automatismo.
Come, insomma, il privato non può pretendere alcunché dalla P.A. procedente per il sol fatto dell’avvenuta riabilitazione da condanne per i reati indicati nel medesimo art. 43, I c.—ché, anzi, l’art. 5 della dir. n. 91/477/CE considera indicativa di pericolosità la condanna per delitto non colposo—, così la P.A. non può considerare le condanne a guisa di fatto preclusivo immodificabile, giacché siffatta soggezione perpetua appare, in questo come in altri campi dell’esperienza giuridica, estranea all’ordinamento positivo. Ove fosse consentita alla P.A., sempre e comunque (e, dunque, senza badare all’evoluzione d’ogni singola vicenda), una motivazione di rigetto completamente avulsa dalla realtà attuale e condizionata da condotte risalenti ad un passato ormai remoto e non più riprodotto, la norma sarebbe così, nella sua irragionevolezza, di dubbia legittimità costituzionale, mentre, com’è noto, il giudice deve privilegiare, per costante giurisprudenza costituzionale, una interpretazione della norma conforme alla Carta.
Sicché non basta invocare, come fanno le Amministrazioni ed il TAR, il dato fattuale delle remote condanne per i reati in questione, occorrendo piuttosto procedere ad una concreta prognosi che tenga conto sì di tali eventi, ma pure (come nella specie) dei pregressi rilasci o rinnovi del titolo di polizia, della condotta tenuta dall’interessato nell’ampio lasso di tempo successivo alla condanna (ormai nel caso di specie risalente a circa trent’anni fa) , nonché di fatti eventualmente sintomatici della pericolosità effettiva ed attuale di questi e d’ogni altro elemento utile a lumeggiarne la personalità, compresa la riabilitazione.
Si deve allora condividere l’appello, laddove richiama questi principi, essendo da prediligere quella lettura, al contempo più seria e più prudente, del medesimo art. 43, I c. (cfr., p. es., Cons. St., III, 3 agosto 2011 n. 4630; id., 19 marzo 2012 n. 1552), secondo cui, ferma sì l’impossibilità di rilasciare porti d’arma a chi, macchiatosi di delitti non colposi, permanga in atteggiamenti denotanti un’attuale pericolosità, occorre di volta in volta un’accorta valutazione delle singole fattispecie come si mostrano oggidì e come sono evolute nel tempo. In particolare, è certo possibile e corretto, stante la delicatezza evidente della materia dell’uso delle armi circa la sicurezza personale e pubblica,
ritenere detto art. 43, I c. differente e non assimilabile alla regola generale dettata dal precedente art. 11, laddove non consente di negare il rilascio del titolo di polizia a chi abbia ottenuto la riabilitazione. Quest’ultima, nondimeno, non è irrilevante o superflua anche nei casi indicati dallo stesso art. 43, nel senso che la valutazione della P.A. non è predefinita a causa di quest’ultima, ma ne deve tener conto per un esatto giudizio, connotato da caratteri di attualità, sulla persona dell’interessato.
Del resto, la stessa citata norma comunitaria, che reputa la condanna per delitto non colposo quale dato indicativo della pericolosità, non consente all’interprete di considerare siffatta condanna automaticamente ostativa ad ogni possibilità di rilascio del porto d’armi.
In altri e più semplici termini, la condanna per delitti violenti non colposi è opponibile all’istanza del privato, in ordine alla detenzione ed all’uso delle armi, solo se vi sia una pluralità di indici concreti ed accertati d’attuale pericolosità ed inaffidabilità di questi.
4. – Sulla scorta di tali principi interpretativi allora, la P.A., nella doverosa sede di riemanazione del provvedimento oggetto del giudizio, è tenuta ad approfondire gli aspetti materiali della vicenda, riesaminandoli e pervenendo ad una nuova e conseguente statuizione sull’istanza dell’appellante. Giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 9207/2012 RG in epigrafe, lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata ed in accoglimento del ricorso di primo grado, annulla, per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione, gli atti gravati in primo grado, con salvezza dell’attività di riesame delle Amministrazioni appellate.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 25 gennaio 2013, con l’intervento dei sigg. Magistrati:
Salvatore Cacace, Presidente FF
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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