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Il ricorso per revocazione nel processo amministrativo: un vero e proprio “buco della serratura”

Nota a Cons. Stato, Sez. III, Sentenza n. 2596 del 20.05.2014 a cura dell’Avv. Daniele Tramutoli

177809Con riferimento all’istituto processuale “straordinario” della revocazione (cfr. artt. 395 e ss. del codice di procedura civile, nonché artt. 106 e 107 del Codice del Processo Amministrativo) il Consiglio di Stato conferma in pieno – all’interno di questa recentissima pronuncia – il granitico orientamento giurisprudenziale che limita – all’interno del sistema di giustizia amministrativa – il sopradetto mezzo d’impugnazione a casi del tutto eccezionali, in ottemperanza al (tanto auspicato!) principio della certezza del diritto.

Nella fattispecie di cui trattasi, infatti, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto inammissibile il ricorso per revocazione proposto da una Fondazione a carattere ospedaliero avverso la sentenza n. 4273/2013 – emessa dal medesimo Tribunale Amministrativo – in materia di accertamento del diritto al rimborso delle rette di degenze da parte della A.S.L. e dell’amministrazione competente.

Parte ricorrente ha sostenuto, in particolare, la presenza di una “svista materiale” del giudice di secondo grado con riferimento alla lettura di una nota posta a base della sentenza revocanda, il cui contenuto sarebbe stato percepito in maniera del tutto erronea e, quindi, “falsa”, integrando così l’ipotesi di revocazione di cui all’art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.(*); si attribuirebbe al giudice, sostanzialmente, un’omessa analisi della realtà documentale prodotta in giudizio.

Nel contestare la valutazione dei fatti di causa, dunque, la sopracitata Fondazione ha tentato di “traslare” l’oggetto della doglianza su di una (presunta) erronea valutazione delle risultanze processuali nella definizione della questione controversa.

Ciò non appare in linea, però, con quanto sostenuto dallo stesso Consiglio di Stato all’interno dell’Adunanza Plenaria n. 1/2013 (preceduta, peraltro, da altra Adunanza Plenaria n. 2/2010, in cui erano stati svolti pressoché identici ragionamenti) in relazione agli estremi per la configurabilità dello speciale mezzo di impugnazione di cui trattasi.

Ebbene, posto che l’errore revocatorio deve necessariamente identificarsi in un vero e proprio c.d. “abbaglio dei sensi”, vale a dire in un “. . . travisamento dovuto a mera “svista”, che induca a una falsa percezione della documentazione e della realtà processuale . . .”, il sopracitato errore deve risultare “. . . obiettivamente, immediatamente e ictu oculi rilevabile e deve aver portato ad affermare o soltanto supporre, dalla esplicita motivazione, l’esistenza di una circostanza smentita invece dal contenuto dei documenti e che ha avuto, in un rapporto di causalità, incidenza decisiva sulla sentenza . . .”.

L’errore di fatto essenziale ai fini revocatori, pertanto, non ricorre certamente quando la parte ricorrente – come avvenuto nel caso esaminato – deduce errores in iudicando sulla base di presunti erronei o incompleti apprezzamenti del giudice (anche di natura prettamente ermeneutica), perchè in tal modo la stessa parte ricorrente sostituirebbe i propri apprezzamenti a quelli del giudice (!), compiendo un’operazione non consentita dall’ordinamento processuale.

In conclusione, dunque, appare palese come i giudici amministrativi abbiano deciso, ancora una volta, di prendere una salda posizione sul tema in esame, “stringendo” le maglie di un istituto che viene, oggi, utilizzato sempre più spesso dalle parti esclusivamente a fini pretestuosi e/o dilatori.

Avv. Daniele Tramutoli

(*) “. . . (omissis) . . . se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

Cons. Stato, Sez. III, Sentenza n. 2596 del 20.05.2014

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8161 del 2013, proposto da:
Fondazione Istituto Ospedaliero di Sospiro Onlus in Sospiro (CR), rappresentata e difesa dagli avv. Paolo Achille Mirri, Federico Cappella e Gregorio Critelli, con domicilio eletto presso gli stessi in Roma, via Antonio Bertoloni 35;
contro
Comune di Valle Salimbene (PV), rappresentato e difeso dagli avv. Maurizio Zoppolato, Isabella Rattazzi e Laura Molinari, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via del Mascherino 72; Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Pavia, rappresentata e difesa dagli avv. Giorgio Allocca e Mauro Casarini, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via G. Nicotera 29;
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE III n. 04273/2013, resa tra le parti, concernente accertamento diritto al rimborso rette di degenze

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Valle Salimbene e dell’Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Pavia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 aprile 2014 il Cons. Vittorio Stelo e uditi per le parti gli avvocati F. Cappella, F. Dani su delega dell’avv. M. Zoppolato, G. Allocca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Il Consiglio di Stato – Sezione III, con sentenza n. 4273 del 19 aprile 2013 depositata il 27 agosto 2013, ha respinto, con compensazione delle spese e confermando con diversa motivazione la sentenza del T.A.R. Lombardia – Sezione Brescia n. 2540/2009, l’appello principale proposto dalla Fondazione Istituto Ospedaliero di Sospiro Onlus, soggetto privato convenzionato con il S.S.R. in materia socio-assistenziale, con sede in Sospiro (CR), per l’accertamento del diritto al rimborso da parte dell’A.S.L. Pavia e del Comune di Valle Salimbene (Pavia), delle rette residue di degenza della signora C.V. – affetta da grave patologia e ricoverata dal 12 aprile 1989 – per il periodo 1-1-2002/31-8-2009 (per € 138.367,70) e con riguardo alle somme maturate successivamente.
La Sezione in primis, nel presupposto dell’infondatezza dell’appello principale, ha ritenuto di non esaminare l’appello incidentale prodotto dal Comune di Valle Salimbene, e ha trattenuto la giurisdizione, contestata da quel Comune, alla luce della giurisprudenza del Consiglio di Stato (Ad. Plen. n. 7/2008; III nn. 4763/2012 e 930/2013).

Quindi ha respinto il primo motivo dell’appello principale relativo alla natura asseritamente sanitaria della spesa per la retta in questione, da addossare quindi alla A.S.L., motivando argomentatamente, sulla base degli atti e con riferimento alla nota dell’A.S.L. n. 1907 del 15 gennaio 2002, a firma del direttore del Dipartimento di salute mentale e dal direttore sociale dell’ASL e non impugnata, il profilo socio-assistenziale, quantomeno preponderante, dei servizi erogati rispetto a quello sanitario, quindi da sostenere in via di principio da parte del Comune, secondo una procedura disciplinata per legge, statale e regionale.

Si soggiunge però che il Comune nella fattispecie non è stato coinvolto dalla Fondazione fin dall’inizio all’atto del contratto stipulato fra la Fondazione stessa e il fratello della assistita, per cui non poteva essere chiamato improvvisamente a pagare rette pregresse e relative a tanti anni di ricovero nei quali lo stesso era rimasto totalmente estraneo; la Fondazione, quindi, negligente nei riguardi del Comune, avrebbe dovuto semmai rivalersi, dato l’accertato difetto del requisito dello stato di bisogno dell’interessata, nei confronti della stessa e dei suoi familiari.
Le sentenze di questo Consiglio richiamate dalla Fondazione erano attinenti a diverse fattispecie con oggetto cure prevalentemente sanitarie.

2. La Fondazione Istituto Ospedaliero di Sospiro Onlus, con atto notificato il 6 novembre 2013 e depositato l’11 novembre 2013, ha proposto ricorso per la revocazione di detta sentenza, deducendo l’errore di fatto ex art. 395, c. 1, n. 4, c.p.c. per aver il Collegio supposto la natura prevalente delle prestazioni assistenziali erogate all’interessata a fronte degli atti e dei documenti che comproverebbero invece il loro carattere sanitario.

In particolare lamenta che il giudice di secondo grado avrebbe commesso una “svista materiale” nella lettura della citata nota n. 1907 del 15 gennaio 2002, posta a base della sentenza revocanda, percependone “falsamente” il contenuto – asseritamente di mera comunicazione amministrativa – nell’attribuirle il valore di “unico accertamento medico” circa la natura delle prestazioni da erogare, senza alcun riferimento invece alle relazioni mediche prodotte dalla Fondazione che attestavano la natura prevalentemente sanitaria dell’assistenza fornita.

Respinge, altresì, la censura di non aver posto in essere il “necessario e proceduralmente prescritto atteggiamento di cooperazione nei rapporti con gli enti pubblici titolari dell’esercizio della funzione pubblica, al fine di ricercare le strade più dirette e semplici, soprattutto in un caso come quello in esame…”, ravvisandosi così altro errore di fatto compiuto dal giudice con l’omessa percezione del contenuto delle lettere del 16 agosto 2002 e del 15 maggio 2003 che intendevano invece coinvolgere nell’assunzione delle spese gli enti pubblici interessati (Comune e A.S.L.), rimaste però senza riscontri.

Chiede quindi la condanna al rimborso delle rette da parte dell’A.S.L..

3. L’Azienda Sanitaria Locale di Pavia si è costituita con atto depositato l’11 dicembre 2013 e con memoria depositata il 12 febbraio 2014 ha dapprima rilevato la strumentalità dell’iniziativa revocatoria in pendenza di giudizio su analoga vertenza presso il Tribunale Civile diPavia per il periodo 1.9.2009-31.12.2011, dopo altro giudizio presso il Tribunale di Cremona, che con sentenza n. 317/2007 ha rigettato le pretese della Fondazione nei confronti del fratello dell’assistita, che non aveva fornito l’assenso a sostenere le maggiorazioni delle rette già fissate in contratto, e ha dichiarato l’estraneità della A.S.L. in proposito.

Deduce quindi l’inammissibilità del ricorso in esame che si è limitato solo alla domanda di revocazione (fase rescindente) senza poi richiedere la pronuncia sull’originario ricorso con la riproposizione degli argomenti ivi svolti (fase rescissoria).

In via subordinata richiede l’estromissione della A.S.L. per carenza di legittimazione passiva, in considerazione della acquiescenza della Fondazione formatosi sulla citata nota n. 1907/2002, non impugnata, il cui contenuto era basato su valutazione dei medici dell’A.S.L. e sugli elementi in atti, volti ad ascrivere la patologia dell’interessata al comparto socio-assistenziale.

L’A.S.L. di Pavia peraltro, in relazione alla allocazione “assistenziale” della stessa signora da parte della Fondazione e dell’A.S.L. Cremona nell’ apposita scheda SIDI, ha continuato a erogare la quota sanitaria di spettanza (assunta dal 1° gennaio 1992 al netto del contributo della famiglia) attraverso l’A.S.L. di Cremona, ma la Fondazione ha preteso l’integrazione della retta socio-assistenziale alla A.S.L. e/o al Comune domicilio di soccorso anzichè dapprima alla appellata e/o ai familiari in tal senso obbligati.

Il ricorso per revocazione è quindi palesemente inammissibile alla luce della giurisprudenza, richiamando sul piano generale l’Adunanza Plenaria n. 1/2013, quindi si sostiene la completezza della citata nota n. 1907/2002, non mera comunicazione ma rappresentazione della situazione specifica della assistita e documento medico di struttura pubblica sottoscritto dal primario medico psichiatra – Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e dal Direttore Sociale dell’A.S.L. di Pavia, con la si è giustificata la asserita non debenza del costo della retta a carico della A.S.L. stessa.

Né rilevano le citate comunicazioni della Fondazione, che non ha peraltro approfondito la situazione reddituale della ricoverata limitandosi a diffidare l’A.S.L. e il Comune e tralasciando pregressi impegni contrattuali con il fratello dell’interessata, che non hanno subito modificazioni.
In via ancora subordinata, per la parte rescissoria si confermano le memorie già depositate in primo grado avverso il ricorso della Fondazione.

4. Il Comune di Valle Salimbene si è costituito con atto depositato il 9 gennaio 2014, seguito da memoria depositata il 3 marzo 2014, facendo presente di aver appreso solo nel 2003 del ricovero, nel 1989, della propria cittadina che aveva cambiato più volte residenza, per cui era stata rifiutata l’assunzione delle spese di ricovero.

Le citate lettere della Fondazione, la prima del 2002 non era stata inviata al Comune, la seconda del 2003 era pervenuta a circa 15 anni dal ricovero e non dava contezza delle cure e dell’assistenza prestate, limitandosi a diffidare al pagamento delle quote arretrate pena la dismissione dell’assistita.

A fronte del rifiuto del Comune la Fondazione aveva inteso esperire azione giudiziaria presso il Tribunale, e poi anche in sede di T.A.R. e di Consiglio di Stato.
Riproduce quindi nella sostanza le controdeduzioni dedotte già dalla A.S.L., soggiunge il difetto di legittimazione posto che la pretesa della Fondazione non è diretta avverso il Comune, che per errore è stato individuato come domicilio di soccorso in base alla residenza anagrafica alla data del ricovero dell’interessata, che però alloggiava presso il Policlinico di Pavia (e prima nella RSA di Robecco d’Oglio- CR) da dove fu trasferita alla Fondazione.

Sottolinea che il ricorso in revocazione è basato su asseriti errori circa apprezzamenti e valutazioni del giudice non sindacabilI in questo procedimento e ripropone, in fase rescissoria, il difetto di giurisdizione eccepito in primo grado e riprodotto con appello incidentale condizionato non esaminato dal Collegio.

5. La Fondazione, con atto depositato il 1° aprile 2014, ha trasmesso copia della sentenza n. 245/2014 con cui il Tribunale di Pavia ha accolto il ricorso proposto per la condanna dell’ASL al pagamento delle rette della assistita per il periodo 1-9-2009/31-12-2011, data la natura prevalentemente sanitaria delle prestazioni erogate.

L’ASL Pavia, con atto depositato il 9 aprile 2014, nel confermare la circostanza, ha comunicato l’intendimento di appellare detta sentenza.
6.1.1. Tutto ciò premesso in via preliminare la Sezione intende, a fini di chiarezza, confermare la giurisdizione del giudice amministrativo così come motivato nella sentenza oggetto del giudizio revocatorio.

6.1.2. Occorre poi disattendere il difetto di legittimazione passiva sollevato dalla A.S.L. Pavia e dal Comune di Valle Salimbene, in quanto enti comunque necessari contraddittori della Fondazione nella presente azione revocatoria che, ove accolta, potrebbe ridondare anche a loro sfavore con conseguenze finanziarie sui rispettivi bilanci.
A tal riguardo, in questo giudizio non rilevano sia la asserita acquiescenza della Fondazione alla nota dell’A.S.L. Pavia n. 1907/2002, a prescindere dalla natura provvedimentale o infraprocedimentale della stessa e nella considerazione che la Fondazione ha comunque interloquito con le citate lettere del 2002 e 2003, sia l’esplicita o meno richiesta di condanna in questa sede del Comune, che era stata formulata in primo e secondo grado.

6.1.3. Così come si ritiene di poter prescindere dall’inammissibilità del ricorso in quanto carente di proposte per la fase rescissoria, posto che il gravame non distingue le fasi rescindente e rescissoria per affidarsi a un’impugnativa che, nel complesso, illustra la vicenda, deduce gli asseriti motivi della revocazione e specifica le pretese essenzialmente basate sui due errori ad avviso della Fondazione commessi dal giudice e sulla condanna dell’ASL di Pavia al pagamento delle rette.

6.2. Va rammentato quindi sul piano generale che l’istituto della revocazione è un rimedio straordinario previsto solo in casi predeterminati dall’art. 395, c. 1, c.p.c. ed è stato esaminato compiutamente dalla giurisprudenza, che lo ha interpretato e applicato in senso rigoroso per la ovvia considerazione di non poter consentire un ulteriore, inammissibile, grado di giudizio, con il riesame financo funditus della vertenza non permesso dall’ordinamento, non potendosi aggirare sistematicamente i termini per le impugnative e intaccare quindi il contenuto e la definitività delle pronunce del giudice.

Valga per tutte il riferimento alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 1/2013, riportata dalle controparti, e preceduta da altra Ad. Plen. n. 2/2010, alle quali, per la chiarezza sull’argomento, ci si richiama anche per esigenze di economia processuale.
È pacifico perciò che l’errore revocatorio debba consistere nel cd. “abbaglio dei sensi”, ovvero in un travisamento dovuto a mera “svista”, che induca a una falsa percezione della documentazione e della realtà processuale e quindi a considerare esistenti circostanze indiscutibilmente inesistenti o viceversa.

La “svista” pertanto deve essere obiettivamente, immediatamente e ictu oculi rilevabile e deve aver portato ad affermare o soltanto supporre, dalla esplicita motivazione, l’esistenza di una circostanza smentita invece dal contenuto dei documenti e che ha avuto, in un rapporto di causalità, incidenza decisiva sulla sentenza determinandola, e così cristallizzando un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa.

Occorre che tale circostanza non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia del giudice né si sia fondata sull’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali, perché in tal caso sussisterebbe semmai un errore di diritto e si verrebbe a censurare la valutazione e l’interpretazione di quelle risultanze processuali, quale emergono dalla lettura e percezione degli atti acquisiti al processo nel loro significato, e quindi il convincimento del giudice.

L’errore di fatto quindi non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle stesse risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo semmai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione.
6.3. Ciò posto il ricorso all’esame va dichiarato inammissibile posto che non si ravvisano affatto nella fattispecie gli estremi dell’errore di fatto revocatorio, come individuato e definito nella citata norma e nelle ricordate pronunce.

La Fondazione fa riferimento sia all’omessa percezione del contenuto della ridetta nota n. 1907/2002 dell’A.S.L. per sostenere la natura sanitaria delle prestazioni erogate sia alla “dimenticanza” del giudice circa le comunicazioni n. 10141/2002 e n. 6459/2003 che hanno indotto lo stesso ad affermare la mancata impugnativa della precedente nota dell’A.S.L. e la carenza di comportamento collaborativo della Fondazione con gli altri enti pubblici coinvolti (Comune e A.S.L.).
La ricorrente invero pone in essere una vera e propria “forzatura” nell’individuare le circostanze che configurerebbero l’errore revocatorio ex art. 395, c. 1, n. 4, c.p.c., attribuendo al giudice sviste, omesse percezioni o disamine di atti che in concreto attengono al merito della vertenza e a motivate valutazioni invece operate dallo stesso giudice, il quale risulta, da una semplice lettura della sentenza, aver esaminato nel loro complesso gli atti prodotti in giudizio e, sulla base degli stessi, aver argomentatamente pronunciato sui punti controversi, e non emergono affatto “sviste”, omissioni o carenza di qualsivoglia genere, anche con riguardo alle note dell’A.S.L. e della Fondazione.

La nota dell’A.S.L. n. 1907/2002 ha in effetti attestato la natura della situazione patologica dell’interessata e delle prestazioni da erogare ritenendole così chiaramente socio-assistenziali e proviene invero da una struttura pubblica a ciò deputata, che non ha inteso recedere dinanzi a sia pure apprezzabili documentazioni di parte.

Il Collegio ha poi evidenziato l’atteggiamento della Fondazione non del tutto chiaro né puntuale, e che si è esplicitato in omesse informazioni circa il ricovero dell’interessata e delle sue condizioni, diffide al pagamento e a accordi da raggiungere fra le altre parti coinvolte (Comune, A.S.L., familiari), nonché in attivazione di iniziative giudiziarie in sede civile, in corso, e amministrativa.

La ricorrente deduce in effetti errores in iudicando sostituendo i propri apprezzamenti a quelli del giudice, con un’operazione non consentita e quindi inammissibile anche nel caso in cui, per ipotesi, si fosse in presenza di errori di giudizio.
7. In conclusione, da quanto fin qui detto emerge, dunque, che il presente ricorso per revocazione è inammissibile, in quanto è chiaramente diretto a contestare proprio la valutazione del fatto operata dal giudice, lamentandosi una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali nella definizione della questione controversa, che, invece, è stata risolta sulla base di un attento esame critico della documentazione acquisita e di specifici canoni ermeneutici, e sui fatti oggetto del preteso errore la decisione si è espressamente e diffusamente pronunciata non venendosi ad integrare in tal modo la circostanza prevista dal comma1, n. 4, dell’art. 395 c.p.c..
E invero, in virtù di quanto sopra esposto, deve ritenersi inammissibile il ricorso per revocazione allorquando, come nella specie, si contestino le conclusioni a cui il giudice è pervenuto sulla base di specifici presupposti di fatto, dal momento che in tal caso è evidente che la domanda di revocazione viene utilizzata solo come pretesto per rimettere in discussione il tema controverso al fine di pervenire ad una diversa decisione.

Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono poste a carico della parte che ha posto l’istanza nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna la parte istante (Fondazione Istituto Ospedaliero di Sospiro) al pagamento delle spese del giudizio liquidate in € 3000,00 (tremila) per ciascuna delle due controparti costituite (Comune di Valle Salimbene e Azienda sanitaria locale della provincia di Pavia) per complessivi € 6000,00 (seimila), oltre agli accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2014 con l’intervento dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Vittorio Stelo, Consigliere, Estensore
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/05/2014

 

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