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ANCHE IL LUNEDÌ È CALCIO (Puntata 6) – di Angelo G. Abbruzzese

imageEd eccoci giunti al primo bivio stagionale: si gioca, infatti, la prima vera sfida-scudetto dell’anno. Allo Stadium di Torino, alle 18 di domenica 5 ottobre, arriva la Roma, piena di fiducia dopo il pareggio di Manchester e vogliosa di staccare la diretta concorrente andando a +3. Ma questo è, ovviamente, anche il desiderio della Juventus: le due squadre giocano il big match da prime in classifica, entrambe a punteggio pieno, e con una grande carica addosso.

Si parte, però, con i consueti anticipi del sabato. Quello del Bentegodi tra Verona e Cagliari si gioca alle 18 ed è una sfida tra due maniaci del 4-3-3, ossia Mandorlini e Zeman. Il primo tempo è di chiara impronta rossoblù, perché i sardi, galvanizzati dalla vittoria di San Siro, fanno la partita, sfiorando più volte il gol. Inizia subito Ibarbo, ma il suo colpo di testa viene bloccato da Rafael (al rientro). Ancora il colombiano si rende pericoloso con un tiro di sinistro, ma anche stavolta non ha la buona sorte dalla sua parte. Alla sagra dell’errore partecipano anche Ceppitelli e Sau, anche se, a fine primo tempo, è l’Hellas a recriminare. Al 26’, infatti, il guardalinee segnala un fuorigioco di Toni che non c’è e, così, il suo gol viene ingiustamente annullato. Il ritmo in campo è elevatissimo e il Verona pare intimorito; la musica, però, cambia completamente nella ripresa, anche grazie agli ingressi di Jankovic e Hallfredsson. Ceppitelli – che, poco prima, sfiora nuovamente il gol di testa – salva sulla linea su Toni, ma poi è la traversa a diventare preziosa alleata del Cagliari, visto che sia la bordata dai 25 m di Jankovic che il colpo di testa di Toni si stampano su di essa. Sembra una maledizione per gli scaligeri, ma il gol della liberazione arriva a tempo scaduto e lo firma un vecchio pallino di Zeman, ossia Tachtsidis. Sugli sviluppi di una rimessa laterale, il pallone arriva sul sinistro del greco che non ci pensa su due volte e scarica un sinistro sul quale Cragno nulla può. Finisce 1-0, l’Hellas sale a 11 punti, mentre il Cagliari resta fermo a quota 4: il volo gialloblù può, forse inaspettatamente (per le premesse della vigilia del campionato), continuare.

Il Milan, dopo tre gare senza vittoria, torna a sorridere, sbarazzandosi del Chievo con un secco 2 a 0. Ma la partita non è stata facile. Inzaghi ripropone il suo 4-3-3, con Bonaventura schierato come mezz’ala per provare a dare un cambio di passo al centrocampo. La squadra, però, è slegata e sugli esterni mancano le bollicine. Il primo tempo di Menez, infatti, è il peggiore di questo avvio di stagione: il francese si trascina stancamente, non trova mai la giocata e si arrabbia con l’arbitro senza trarne alcun profitto. Honda punta e ipnotizza gli avversari, ma non arriva mai sul fondo, mentre Torres è totalmente alienato dalla manovra ed è molto più indietro di quello che il suo esordio a Empoli, una decina di giorni fa, faceva presupporre. In un primo tecnicamente scialbo, il Milan ha comunque le sue occasioni: un tiro largo di Menez, un tocco ravvicinato di Bonaventura (su un tiro dell’ex centravanti del Chelsea) e l’errore dello stesso Torres a due passi dalla porta dopo una dormita della difesa di Corini. Ma il Chievo gioca alto, manda in difficoltà i due centrali rossoneri con Maxi Lopez e reclama anche un rigore (che pareva esserci) per un pestone di Alex sull’ex centravanti del Catania. Nell’intervallo arriva la tanto sperata e attesa scossa di Inzaghi. Il Milan riparte da un 4-2-3-1 più naturale, con Bonaventura finalmente sull’esterno e Menez libero di svariare, partendo dal centro. È vero che né Menez né Jack riescono ad inquadrare la porta, ma è Muntari (l’uomo che non t’aspetti), al minuto 55, a portare avanti i rossoneri con una botta da fuori che schizza sul prato e batte un incolpevole Bardi. Per inciso, si tratta del primo tiro in porta del Milan, fermo a zero nel primo tempo (il Chievo a uno, con Radovanovic). La gara cambia volto, anche se Rami e Muntari – con svarioni e palle perse al limite del ridicolo – fanno di tutto per rimettere in partita il Chievo. Clamoroso soprattutto l’errore di Lazarevic, che non sfrutta un tre contro uno in contropiede, regalando il pallone ad Abbiati. Davanti le cose vanno decisamente meglio e Bardi deve superarsi in un paio di circostanze, prima di capitolare sulla perla di Honda su calcio di punizione (4° gol in campionato per il giapponese). Ed è giusto citare anche El Shaarawy che, subentrato a Torres, riesce ad infiammare il pubblico quando trova spazio davanti a sé. Non è ancora un grande Milan, ma, si sa, vincere aiuta a vincere.

All’ora di pranzo di domenica, al Castellani di Empoli, arriva il Palermo. Rosanero reduci dalla pesante sconfitta interna contro la Lazio e che possono sicuramente recriminare per mancanza di risultati, visto che il gioco è sempre stato all’altezza e, a tratti, davvero divertente. Ma stavolta non è così. L’Empoli del preparatissimo Sarri prende subito in mano la gara e mette letteralmente sotto gli avversari. Pronti via e Maccarone bagna con un gol splendido la sua prima da titolare in questo campionato. Ma è tutta l’azione ad essere degna di nota: rimessa laterale di Mario Rui, tacco al volo di Croce per il terzino sinistro, che crossa di prima intenzione trovando la deviazione di Big Mac, in gol in Serie A dopo tre anni e mezzo dall’ultima volta. I padroni di casa corrono tanto e bene, giocano un gran calcio e mettono ancora in mostra il talentino scuola Milan, Simone Verdi. Il trequartista ex Torino è una mina vagante sulla trequarti e va anche vicino al gol dopo un passaggio di Pucciarelli, ma Sorrentino fa buona guardia mettendo in angolo. Ed è proprio sui calci d’angolo che l’Empoli costruisce le sue migliori azioni, proponendo continui interessanti schemi (tutti riuscitissimi). Su uno di questi, Rugani stacca più in alto di tutti trovando i guantoni del portiere del Palermo, che nulla può sulla zuccata di Tonelli al 34’ (secondo gol stagionale per lui). I rosanero sono inesistenti e cercano di svegliarsi solo nel finale del primo tempo, quando Vazquez corregge in rete una sponda di testa di Feddal. Il gol, però, viene ingiustamente annullato. Nella ripresa continua, indisturbato, il monologo empolese. E al 64’ Pucciarelli chiude la pratica, stoppando alla grande un lancio perfetto di Valdifiori e battendo per la terza volta un incolpevole Sorrentino. Il passivo, per la formazione di Iachini, potrebbe diventare anche più pesante, ma, per sua fortuna, Tavano trova due volte la risposta del portiere del Palermo. La gara finisce così, con un 3-0 secco che vale la prima vittoria per l’Empoli di Sarri e l’ultimo posto per il Palermo. Iachini, a questo punto, rischia davvero.

La Lazio continua la sua marcia di risalita in classifica, piegando per 3-2 la resistenza del Sassuolo dopo un primo tempo giocato sulle ali (d’aquila) dell’entusiasmo e una ripresa in sofferenza. Dopo le sette reti subite a San Siro contro l’Inter, il Sassuolo sembrava aver registrato la difesa, subendo un solo gol nelle tre giornate successive. Il fortino emiliano, però, dura appena nove minuti all’Olimpico perché ci pensa Stefano Mauri a sbloccare la gara con un gran sinistro da fuori area. Il Sassuolo subisce il colpo e fatica a rialzarsi. Djordjevic si muove bene e aspetta l’occasione giusta per fare male. Occasione che arriva, puntuale, al 25’: cross perfetto di Candreva, stacco imperioso di Djordjevic e raddoppio biancoceleste. Partita chiusa? Neanche per sogno. Mentre i tifosi di casa stanno ancora festeggiando, Berardi scappa a Braafheid e supera Marchetti, non troppo reattivo nella circostanza. Gli ospiti accorciano subito le distanze dunque e, poco dopo, sfiorano anche il pareggio con Zaza, che colpisce il palo esterno. I neroverdi creano pericoli davanti, ma soffrono quando si tratta di difendere. Così al 35’ Candreva raccoglie in area una maldestra respinta di Antei e deposita comodamente in rete il pallone del 3-1. Ad inizio ripresa la Lazio parte forte, ma gli ospiti non stanno a guardare. Ed è ancora Berardi ad essere protagonista, stavolta procurandosi un calcio di rigore per fallo di Cana, che viene anche espulso per doppia ammonizione. Lo stesso Berardi trasforma dagli undici metri e al 50’ il risultato è di 3 a 2 per i padroni di casa. Con l’uomo in meno, la Lazio subisce e rischia di subire il gol del pareggio dopo una bella incursione di Missiroli. L’equilibrio numerico viene ristabilito al 61’, quando Peluso è costretto a stendere un’imprendibile Candreva al limite dell’area. La Lazio ritrova il coraggio perduto e prova a chiudere i conti con Parolo e il neo entrato Klose, ma in entrambe le occasioni Consigli è ottimo. Negli ultimi minuti Marchetti imita il collega e salva il risultato con un grandissimo riflesso sul colpo di testa di Longhi. I tre punti vanno alla Lazio, che ottiene la seconda vittoria di fila dopo il poker di Palermo. Secondo ko consecutivo, invece, per il Sassuolo, che, adesso, chiude la classifica insieme a Parma e Palermo, a quota tre punti.

L’Udinese di Stramaccioni perde una ghiotta occasione per portarsi in vetta alla classifica (in attesa di Juve-Roma), pareggiando per 1-1 in casa contro il Cesena. Il gol del pari degli ospiti arriva soltanto nel recupero del secondo tempo ed è Cascione a segnarlo, su calcio di rigore assegnato per un contatto impercettibile tra Widmer e Rodriguez. I romagnoli, nell’arco della partita, non demeritano. Anzi, nel primo tempo sono i soli a rendersi pericolosi. Inizia Marilungo che, dopo appena 2’, impegna Karnezis (il guizzo è superlativo) da posizione ravvicinata. Il portiere greco si ripete su Brienza poco prima della mezz’ora e poi osserva, con qualche brivido lungo la schiena, il tentativo dell’ex palermitano, che al 40’ calcia a lato dopo una splendida azione di prima. L’unica chance per l’Udinese capita sui piedi di Thereau al 7’, ma Coppola interviene da dietro con tempismo perfetto. Kone, dopo soli diciassette minuti, cede il posto a Bruno Fernandes per infortunio. Una mossa poco studiata che, però, si rivela fondamentale nella ripresa, quando il portoghese, con una magia, mette alle spalle di un incolpevole Leali il gol del vantaggio. Rapida esecuzione di gambe per far fuori Capelli e palla incrociata sul secondo palo: un numero, una prodezza autentica per un giocatore dal grande talento. La gara assume connotati precisi, l’Udinese si lascia la tensione alle spalle, comincia a giocare con disinvoltura e Thereau sfiora il raddoppio (ma è bravo Leali). Bisoli propone la fanteria pesante, con Rodriguez e Djuric buttati nella mischia, ma Karnezis è strepitoso nell’intercettare l’unica conclusione verso la porta dell’attaccante spagnolo. Allo scadere del 90, però, l’arbitro consegna al Cesena l’incredibile chance del pari, punendo oltremodo il già citato tocco di Widmer sulle spalle di Rodriguez, che rotola giù nella scarpata. Cascione è freddo e gela l’Udinese, che resta al quarto posto a quota 13. Rabbia a parte, si tratta ugualmente di un buon bottino.

La Sampdoria continua la sua corsa nelle posizioni di vertice della classifica battendo l’Atalanta grazie alla terza rete in campionato di Manolo Gabbiadini, il primo su azione. Tre come i gol dell’ex di giornata (esultanza pacata per lui), tre come i punti guadagnati ma soprattutto tre come la posizione in classifica della squadra di Mihajlovic. Il colpo che spariglia le carte è preparato con cura. Gabbiadini non occupa stabilmente la sua posizione da ala destra, ma spesso si accentra avvicinandosi a Okaka. Poco dopo la mezz’ora la trappola studiata da Mihajlovic scatta inesorabile: sul perfetto lancio di Obiang, Gabbiadini è pronto e veloce, sfrutta il movimento a rientrare di Okaka, sul quale si concentrano i centrali dell’Atalanta, e scatta alle loro spalle, trovandosi solo davanti a Sportiello e battendolo con facilità. In precedenza solo qualche lampo di Soriano aveva messo in affanno gli ospiti. Il vantaggio esalta la Samp, che sfiora il raddoppio con lo stesso Gabbiadini, liberato da Soriano, poi con Eder, protagonista di una pregevole giocata su Zappacosta. Colantuono, però, è pronto a rimediare lo svantaggio tattico, passando al 4-3-1-2, inserendo Moralez tra le linee e liberando, così, il raggio d’azione di Cigarini. Il pallino del gioco passa nelle mani degli ospiti, che sfiorano il pari con una triangolazione tra Moralez e Denis, sprecata dal primo con un diagonale impreciso. Mihajlovic, però, decide di tornare a specchio, con Fedato fantasista e, nel recupero, la sua Samp sfiora il raddoppio con un contropiede di Okaka, stoppato da Sportiello. L’ultimo sussulto degno è un colpo di testa dello sfortunato Denis che si perde a lato. 14 punti in classifica, gioco bello ed efficace e scongiuri di Ferrero che portano fortuna: il film della Sampdoria sta prendendo sempre più le sembianze di qualcosa di fantascientifico.

Il Genoa coglie una vittoria insperata sul campo del Parma grazie alla rete, in extremis, di Alessandro Matri, fin lì uno dei peggiori. Il Grifone perde subito Sturaro e Gasperini deve abbandonare l’idea del 4-2-3-1 per passare al 4-3-3 che aveva in testa alla vigilia: Matri punta di ruolo accanto a Perotti e Lestienne, esterni molto mobili. Difesa a 4 con Antonini terzino destro al posto del centrocampista Under 21. Novità anche nel Parma: al posto dello squalificato Acquah c’è Lucas De Souza, al debutto in Serie A. Dopo un primo tempo senza particolari acuti, il secondo s’infiamma grazie agli episodi. In primis lo 0 a 1: palla da Bertolacci a Perotti, che scende sulla destra, sposta il pallone da un piede all’altro calciando con il sinistro. Nell’occasione male Mirante, che si lascia colpevolmente sorprendere sul primo palo. In mezzo ai due gol c’è l’espulsione di Facundo Roncaglia (seconda stagionale per lui) per doppio giallo, che cambierà gli equilibri ma non inciderà sul risultato. Gasperini corre ai ripari: fuori Lestienne, dentro Izzo. Si muove anche Donadoni, che toglie De Ceglie e inserisce una punta vera (Belfodil) nel tridente. Poi arriva il pareggio: bella discesa sulla sinistra di Gobbi, Rincon lo fa crossare e Coda, lasciato solo dai centrali rossoblù, mette dentro con un colpo di petto. Con l’uomo in più, il Parma si butta sotto, sfiora il gol, ma alla fine lo subisce. Minuto 93: erroraccio di Lucarelli che sbaglia il passaggio, palla a Rincon che appoggia a Matri: l’ex Juve si presenta solo davanti a Mirante e, stavolta, lo batte. Finisce 1-2 e, per il Parma, la situazione di classifica si fa sempre più critica.

Ed eccoci arrivati al “main course” della giornata. Ore 18 di domenica 5 ottobre, Juventus Stadium di Torino tutto esaurito: silenzio, adesso si gioca. Allegri stupisce tutti e schiera Pirlo dal 1’ al posto di Vidal, confermando Llorente al fianco di Tevez e preferendo Caceres ad Ogbonna; Garcia, invece, si affida a Cholevas (e non Cole) e Iturbe (e non Florenzi). La gara inizia con la Juve che prova ad essere aggressiva sui portatori di palla giallorossi, che rischiano sulla pressione degli attaccanti bianconeri soprattutto quando la palla è sui piedi di Skorupski e Yanga-Mbiwa. Partita intensa, non bellissima e non piena di occasioni. Ci prova di più la Juventus a dire il vero, che prova a far male con gli inserimenti di Marchisio e con le accelerazioni di Tevez. Il centrocampista juventino reclama un calcio di rigore per un contatto con Cholevas, ma Rocchi lascia correre. Poi raccoglie un lancio al millimetro di Bonucci, ma colpisce troppo con il piatto e manda a lato. Il rigore, comunque, la Juventus lo conquista ed è questo l’episodio che spacca in due la partita, facendola diventare una battaglia vera e propria. Totti, forse per eccesso di generosità, colpisce da dietro Pirlo proprio nella “zona Pirlo”. Il regista bresciano calcia e trova il braccio di Maicon. Dentro o fuori? Non lo sa nemmeno Rocchi. Alla fine opta per il calcio di rigore, ma l’errore non sta tanto nella posizione del fallo ma nel fatto che il brasiliano non aumenta il volume del proprio corpo. Poco male, è calcio di rigore. E siamo soltanto al primo (forse secondo) errore del fischietto toscano. Tevez, dagli undici metri per l’assenza di Vidal, realizza alla grande per il vantaggio bianconero. Garcia mima un violino (vai a capire perché) e Rocchi lo caccia. E mentre la panchina giallorossa quasi viene alle mani coi tifosi seduti dietro, Pjanic butta una punizione in mezzo. Totti e Lichtsteiner si beccano, si cercano e si placcano. Forse il fallo lo inizia il capitano della Roma, ma lo svizzero viene punito (e ammonito) perché non guarda affatto il pallone. Secondo rigore in pochi minuti e pareggio immediato di Totti, che spiazza Buffon ed esulta in maniera polemica. Bonucci non la prende bene e va a dire qualcosa al guardalinee: Rocchi decide di ammonire sia il 10 giallorosso che il difensore ex Bari. Al 44’ salgono in cattedra Gervinho e Iturbe, dando vita ad uno dei pochi lampi di bel calcio di un primo tempo troppo nervoso per esser definito piacevole. L’ivoriano scatta alla sua maniera, vede il taglio di Iturbe e lo serve nello spazio: per l’ex Verona non è impresa impossibile calciare di sinistro e battere Gigi Buffon per la seconda volta in un quarto d’ora. Passano pochi secondi e Gervinho scappa ancora sulla sinistra, fa infortunare Caceres (ricaduta al bicipite femorale della coscia destra), ma sparacchia alto divorandosi l’1-3. Capovolgimento di fronte e altra situazione che farà discutere e che, nel frattempo, fa arrabbiare i calciatori della Roma. Pogba sfugge a Pjanic nei pressi dell’area di rigore, il bosniaco non ci sta e lo colpisce: per Rocchi il contatto è avvenuto sulla linea e, fortunatamente, la moviola stavolta gli dà ragione. Dal dischetto Tevez è ancora una volta glaciale, portando a 6 le sue marcature in campionato. Un primo tempo di lotta pura (sei ammoniti e un espulso), un secondo di tranquillo governo. Il the caldo decaffeinato calma i nervi dei 22 in campo, e nella ripresa, finalmente, si gioca. Così si vedono sprazzi delle qualità, indubbie, del gioco delle due dominatrici della nostra Serie A. E prendono forma un po’ più organica le idee degli allenatori. Pirlo non ha ancora gamba, ma il suo piede c’è sempre. La conferma di Llorente, invece, non paga, perché lo spagnolo non la vede quasi mai, anche per colpe non sue, mentre il sostituto Morata scheggia la traversa quando mancano 10’. Anche la Roma ha le sue occasioni, soprattutto quella clamorosa di Pjanic che, di sinistro, cicca clamorosamente mettendo fuori da posizione favorevolissima. Alla fine, è ancora una palla inattiva a decidere: cross di Tevez su azione d’angolo, respinta della difesa della Roma e destro al volo di Bonucci che trova il gol della carriera. Un gol spettacolare che vale 3 punti. Ma che, purtroppo, si porta via altre polemiche, perché stavolta è la posizione di Vidal ad essere incriminata, anche se la recente regola FIFA scagiona il cileno e dà ragione a Rocchi. Dopo l’ennesimo parapiglia della serata (Morata e Manolas che vengono quasi alle mani e si prendono il rosso), l’arbitro fischia la fine di una partita non bella, non decisiva ma che saprà sicuramente far parlare di sé. Il 3-2 dello Stadium ci riconsegna la certezza che la Juventus ha il solito invidiabile carattere e si riconferma regina: una regina che se ne frega degli errori arbitrali, che graffia la Lupa e che non ne vuole sapere di abdicare. Dall’altra parte, invece, un gruppo che saprà ugualmente andare lontano, perché pieno di classe e di personalità. Quella di Seydou Keita, vero dominatore a centrocampo, quella di Kostas Manolas, gigante in difesa, e quella di Iturbe e Gervinho, preziose frecce nell’arco di Rudi Garcia. Per adesso i bianconeri sono 3 lunghezze avanti, ma il campionato è ancora troppo lungo per esprimere sentenze.

Si risveglia, dopo tanta fatica, anche la Fiorentina di Montella. E la vittima è illustre, visto che l’Inter non riesce a rialzarsi dopo le quattro sberle ricevute dal Cagliari e capitola sotto i colpi della Viola. E meno male che Mazzarri aveva promesso un fortino… Pronti via e i nerazzurri sono già in affanno, con Ranocchia a rischio giallo per un’entrata su Cuadrado, recuperato all’ultimo e finta seconda punta in un 4-3-1-2 che ha in Mati Fernandez il trequartista, con Kurtic (preferito ad un Borja Valero non al top) e Aquilani mezzali e Pizarro perno basso. L’Inter risponde con un 3-5-2 in cui Kovacic non balla tra le linee come si poteva supporre alla vigilia ma resta in linea con Medel e M’Vila (Hernanes comincia ancora in panchina). Il match si spacca già al 7’, con Dodò e Juan Jesus che lasciano troppa libertà a Babacar, il cui destro angolato dal limite è, però, un gioiello di potenza e precisione. Degno di Batistuta, presente in tribuna. Sull’euforia, Cuadrado impegna ancora Handanovic. L’Inter ci mette qualche minuto a reagire, ma al 12’ sfiora il pareggio con un destro di Icardi che esce di un nulla. Il match è frizzante, anche se i viola sono più brillanti e reattivi. E soprattutto precisi. Come conferma Cuadrado al 19’, accentrandosi da sinistra e pescando un altro jolly con un destro a giro che prende l’interno del palo e regala il 2-0 ai suoi. Fatta a fettine dalle mezzepunte della Fiorentina, la squadra di Mazzarri ci prova muovendo le torri sui calci piazzati, ma ad ogni ripartenza la marea viola rischia di travolgerla. Al 26’ potrebbe essere tris col solito Cuadrado, in contropiede. L’Inter, in compenso, è lenta e prevedibile. Ecco perché anche quando si affaccia sulla trequarti sbatte contro un muro. Pure quando la Fiorentina deve rifiatare. L’unico (oltre ad un Osvaldo che almeno fa a sportellate con i centrali viola) che prova a cambiare passo è Kovacic, ma anche allargando il gioco sulle fasce la musica non cambia. Dodò al 38’ impegna Neto nel primo tiro in porta dei suoi. Nessuna sostituzione nell’intervallo, anche se Mazzarri avanza Kovacic alle spalle di Icardi e Osvaldo. Una mossa che avrebbe un senso, perché così M’Vila è più libero di impostare e le punte dovrebbero essere meno isolate. Ma finché manca un’idea di trama offensiva e nessuno si muove senza palla, c’è poco da spostare le pedine sullo scacchiere. La viola si è meritata il vantaggio di giocare al gatto col topo e Babacar ci prova ancora con un destro al volo. Visto che l’avversario ha un solo attaccante di ruolo, dopo un’ora Mazzarri passa alla difesa a quattro. Fuori Ranocchia per Hernanes, che fa l’interno destro in un ibrido tra il 4-3-1-2 e il 4-2-2-2 e che si presenta con il quasi gol di… Cuadrado. Anche gli ingressi di Bernardeschi (per Babacar) e Obi (Dodò) spostano poco. L’Inter partorisce il topolino di un tiro telefonato di Medel e continua a trasmettere un’imbarazzante sensazione di impotenza. Al 74’ Palacio rileva Osvaldo e avrebbe sul sinistro la palla dell’1-2 ma spara sull’esterno della rete. E sul ribaltamento Tomovic entra nel burro nerazzurro (Obi è tutto meno che un terzino) e fa 3-0. I tentativi di Hernanes e D’Ambrosio servono soltanto ad esaltare pure Neto e ad introdurre la standing ovation a Cuadrado. E fortuna che allo scadere Juan Jesus, sulla linea, evita il poker di Joshua Brillante. L’Inter ora è decima, con appena 8 punti, con un’incredibile crisi di identità e immersa in un caos tattico  da cui WM deve assolutamente uscire. Montella, invece, si augura che questa sia davvero la partita della svolta. E intanto si gode un Cuadrado fenomenale.

Il Napoli coglie la terza vittoria in una settimana, sbarazzandosi, con più di qualche problema, del Toro di Ventura. Per venti minuti buoni, infatti, la squadra granata è una macchina perfetta: il gioco parte sempre dalla difesa e si sviluppa sugli esterni, dove Darmian e Peres hanno qualità e corsa. El Kaddouri, schierato alle spalle della coppia Larrondo-Quagliarella, ha i tempi di giocata giusti fra le linee e, in fase di copertura, è il primo ad arginare le avanzate del Napoli sulle fasce. Napoli che, per metà intimorito e per metà deciso a non dare profondità all’avversario, abbassa il baricentro e attende gli avversari nella propria metà campo. La supremazia del Torino si traduce in un colpo di testa di Glik, al 10’, fuori di poco e nel gioiello di Quagliarella per il vantaggio. Maksimovic si trasforma in playmaker e mette l’attaccante dietro la linea dei difensori. Il resto è un concentrato di classe e spericolatezza, perché a pochi verrebbe in mente di stoppare la palla di petto e di cercare la porta al volo, da posizione quasi impossibile. Quagliarella l’ha fatto, come in tante altre occasioni: al 14’ il Torino si ritrova avanti. Paradossalmente, il gol subito svuota il Napoli da ogni paura. La squadra di Benitez reagisce rabbiosa, spinta soprattutto dalle gambe veloci di Zuniga, e il match cambia padrone. Dal 23’ in poi, piovono occasioni che, per imprecisione e sfortuna, non si traducono in reti. Prima Insigne, che davanti a Gillet colpisce il palo. Sulla ribattuta, Higuain ha due chances ma si fa murare sulla linea di porta. Al 32’ ancora Insigne, lanciato a rete, si fa sbarrare la strada da Gillet. Cinque minuti dopo, su calcio d’angolo, Higuain anticipa Peres ma alza sopra la traversa. Il Torino è alle corde. La statistica delle conclusioni dopo 45’ dice tutto: 15 a 2 per i partenopei. E nella ripresa non cambia. Al 53’, Michu (in campo al posto di Hamsik, fermato dalla tonsillite come il compagno Britos) stampa sulla traversa un cross di Maggio e al 55’ finalmente il pareggio: traversone del solito Zuniga e colpo di testa vincente di Insigne, che esulta quasi in lacrime. L’1-1 fa disunire il Torino. Ventura prova con Molinaro e Gazzi per Peres e Benassi, Benitez risponde con Mertens e David Lopez al posto di Gargano e Michu, che pare essere meno un punto interrogativo, a patto di non chiedergli il ruolo e le caratteristiche del vice-Hamsik. Tempo di un brivido per il Napoli, Quagliarella che cade in area strattonato da Albiol (per l’arbitro è simulazione del granata), e la squadra di Benitez passa: Insigne fa quello che gli riesce meglio – l’assistman – e serve a Callejon la palla del 2-1. Tocco al volo dello spagnolo, palla che rimbalza sul terreno e si insacca alle spalle di Gillet. E addio maledizione San Paolo. Nel finale c’è tempo anche per l’espulsione, per proteste, di Omar El Kaddouri. Per il Torino, invece, un nuovo stop dopo la vittoria in Europa e la mini-serie positiva iniziata a Cagliari. I granata rimangono inchiodati a quota 5 in classifica: davvero troppo poco. Ma ripartire dai primi minuti del San Paolo può essere la medicina migliore.

Si chiude così una giornata di campionato caldissima, che ci consegna la prima capolista solitaria della stagione (la Juventus), il primo capocannoniere solitario della stagione (Carlos Tevez) e la certezza che ne vedremo ancora delle belle, sia per lo scudetto, sia per l’Europa. Senza dimenticare le zone meno nobili della classifica e senza dimenticarci di citare piacevoli sorprese come Sampdoria e Udinese. Potrà essere pieno di errori arbitrali, pieno di polemiche e lamentele, ma il nostro sarà sempre il campionato più bello del mondo.

I TOP

Leonardo Bonucci (JUVENTUS): Non me ne voglia Tevez, ma anche stavolta preferisco inserire un outsider nonostante la doppietta dell’Apache. L’ex Bari (sempre primo tifoso della sua Juventus) gioca una partita ordinata, facendo il Pirlo in alcune circostanze – chiedetelo a Marchisio – e travestendosi da trequartista quando scaglia in porta il gol del 3-2 finale. Partita da ricordare.GALATTICO.

Juan Guillermo Cuadrado (FIORENTINA): È tornato. E diciamo pure che ne sentivamo la mancanza. Il colombiano era anche in dubbio prima della gara, ma alla fine l’ha giocata ed è stato semplicemente devastante. I difensori dell’Inter, per l’intera partita, hanno potuto soltanto guardargli la targa. C’EST FORMIDABLE.

Mirko Valdifiori (EMPOLI): Come gioca questo ragazzo! La prova perfetta dell’Empoli è per gran parte merito suo, visto che serve due assist e gioca con una tranquillità ed una classe da veterano. STRABILIANTE.

I FLOP

Yann M’Vila (INTER): È una diga davanti alla difesa, ma una di quelle che fa acqua da tutte le parti. Nei buchi lasciati in mezzo, Aquilani e Fernandez si infilano che è una meraviglia; e Babacar e Cuadrado fanno male muovendosi anche in quella zona. BUCATO.

Lorik Cana (LAZIO): Pessima la prova del centrale biancoceleste, che non è mai preciso e viene anche espulso per un fallo su Berardi che regala il rigore agli ospiti. BRUTALE.

Gianluca Rocchi (ARBITRO): Viene scelto per la partita dell’anno e dimostra di non essere ritagliato per gare del genere. Non prende mai in mano il match, pensando di poter risolvere tutto con i cartellini. Non dà un rigore che poteva starci alla Juve, ne dà due (falli di Maicon e Lichtsteiner) che non c’erano ed è indeciso su tutte le situazioni più importanti. Ah, come se non bastasse, nel finale espelle Tevez prendendo il cartellino sbagliato. D’altronde, ha fatto così tanti errori… INADEGUATO.

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