Il ventre di Napoli: l’inchiesta rivoluzionaria di Matilde Serao che svelò la vera anima della città
Nel 1884, quando l’Italia post-unitaria guardava con sospetto al Meridione e la retorica del pittoresco dominava ogni descrizione di Napoli, una giovane giornalista di origini greche scelse di addentrarsi nei vicoli più nascosti della città partenopea per raccontare una verità scomoda. “Il ventre di Napoli” di Matilde Serao, pubblicato per la prima volta quell’anno e recentemente riproposto da Rizzoli nella collana BUR I grandi romanzi, rappresenta non solo il primo grande reportage letterario d’Italia, ma anche un atto di denuncia civile che ha anticipato di decenni il giornalismo d’inchiesta moderno.
L’opera, scritta all’indomani dell’epidemia di colera che aveva colpito Napoli nel 1884, nasce come risposta diretta alle politiche governative dell’epoca. Il governo Depretis aveva annunciato un piano di “sventramento” delle zone più degradate della città, ma Serao intuì che dietro i proclami di rinnovamento si nascondeva una profonda ignoranza della realtà sociale napoletana. Scrittrice coraggiosa e combattiva, Matilde Serao lavorò con costanza per liberare Napoli dalla retorica di una narrazione concentrata soltanto sugli aspetti pittoreschi ed eccessivi della città.
Un viaggio nelle profondità della città
“Il ventre di Napoli” si apre con una delle frasi più celebri della letteratura italiana dell’Ottocento: “Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, poichè voi siete il governo e il governo deve saper tutto”. Con questa provocazione diretta al presidente del Consiglio, Serao introduce il lettore in un mondo nascosto fatto di stanze di pochi metri quadrati in cui si affollano intere famiglie, dove la povertà non è folklore ma drammatica realtà quotidiana.
L’autrice racconta le storie di donna Carmela, l’usuraia “che fa tremare uomini e donne”, e di tanti altri personaggi che popolano i bassi napoletani. La sua narrazione procede per quadri, alternando descrizioni minuziose degli ambienti degradati ad analisi sociologiche acute. Il tratto che distingue di più il libro della Serao è la capacità di unire la polemica e la comprensione per i “personaggi” che movimentano le vie di Napoli.
Serao descrive una Napoli in cui la gente passa, si tura il naso e sorride di scherno davanti alla miseria altrui, ma anche una città in cui la solidarietà e la religiosità popolare offrono gli unici appigli alla speranza. Il romanzo critica le politiche governative dell’epoca, che miravano a rinnovare Napoli eliminando quartieri poveri. Serao denuncia l’inettitudine delle istituzioni e sottolinea la resilienza del popolo napoletano, che si rifugia nella religione per sopravvivere.
Un’analisi rivoluzionaria del sociale
La critica letteraria ha riconosciuto in “Il ventre di Napoli” un’opera fondamentale per diversi aspetti. Dal punto di vista stilistico, la prosa della Serao è di evidente ispirazione veristica e la sua lingua, spigliata e discorsiva, anche se non sempre grammaticalmente esatta, riprende e ricalca spesso la parlata napoletana. L’autrice ripudia le eleganze stilistiche della prosa ottocentesca ed esaspera l’uso di un linguaggio diretto, immediato, capace di rendere la concretezza dell’esperienza.
Come osserva un lettore contemporaneo, il linguaggio di fine ‘800 è enfatico, colorato, deciso ed efficace. Molto fruibile e godibile, dialettalismi compresi. La scelta linguistica di Serao non è casuale: utilizzando espressioni dialettali e costruzioni sintattiche che ricalcano il parlato napoletano, l’autrice dà voce a chi normalmente ne è privo, trasformando la letteratura in strumento di rappresentanza sociale.
Dal punto di vista contenutistico, l’opera si distingue per la sua capacità di coniugare denuncia politica e comprensione umana. La Serao rimane ugualmente critica verso la politica, che ha dimostrato soltanto il suo lato peggiore speculativo, non essendo riuscita a risolvere il problema, ma lasciando i poveri e gli indigenti al loro stato originale. Tuttavia, la scrittrice evita il paternalismo tipico dell’epoca, mostrando invece curiosità nei confronti degli stessi napoletani, legati ad un profondo revisionismo sociale e nostalgico del passato.
Una giornalista tra impegno civile e innovazione letteraria
Matilde Serao (1856-1927) rappresenta una figura unica nel panorama culturale dell’Italia post-unitaria. Nata ad Atene da padre napoletano e madre greca, si trasferì giovanissima a Napoli dove iniziò la sua carriera giornalistica. A 22 anni (1878) completò la sua prima novella, Opale che inviò al Corriere del Mattino, ma fu con il trasferimento a Roma che la sua carriera prese il volo.
Si trasferì a Roma e collaborò per cinque anni con il Capitan Fracassa. Sotto lo pseudonimo «Ciquita» scrisse di tutto, dalla cronaca rosa alla critica letteraria. Questa esperienza romana le permise di acquisire una prospettiva nazionale sui problemi del Mezzogiorno, fondamentale per la maturazione della sua coscienza civile.
Il suo ritorno a Napoli coincise con alcuni dei momenti più drammatici della storia cittadina. Mossa da una grande tensione civile, la scrittrice e giornalista dedicò le sue migliori inchieste alle calamità naturali che funestarono Napoli e il suo hinterland: l’epidemia di colera del 1884 e l’eruzione del Vesuvio del 1906. Fu proprio l’esperienza del colera a spingere Serao alla stesura de “Il ventre di Napoli”, trasformando il trauma collettivo in occasione di riflessione sociale.
Serao fu anche una pioniera dell’imprenditoria femminile nel campo editoriale, fondando insieme al marito Edoardo Scarfoglio il quotidiano “Il Mattino”, che divenne una delle voci più influenti del giornalismo meridionale. La sua figura di donna intellettuale e imprenditrice rappresentava una novità assoluta per l’epoca, tanto da suscitare spesso critiche e incomprensioni.
La forza de “Il ventre di Napoli” risiede nella sua capacità di andare oltre la cronaca per toccare questioni universali. Come nota un critico contemporaneo, è stato strano leggere queste pagine scritte nel 1884 e trovarci una Napoli per certi versi molto simile a quella di oggi. Questa persistenza dei problemi sociali descritti da Serao conferisce all’opera una drammatica attualità.
L’approccio metodologico dell’autrice anticipa molte delle tecniche del giornalismo investigativo moderno: l’osservazione diretta, l’ascolto delle voci dal basso, l’analisi delle contraddizioni tra dichiarazioni politiche e realtà sociale. Matilde Serao ci offre un reportage che non si limita alla superficie dei fenomeni ma ne indaga le cause profonde, economiche e sociali.
La scrittrice dimostra inoltre una modernissima consapevolezza del potere della narrazione nella formazione dell’opinione pubblica. Criticando le descrizioncelle colorite di cronisti con intenzioni letterarie, che parlano della via Caracciolo, del mare glauco, Serao rivendica il diritto-dovere della letteratura di occuparsi dei problemi reali, di sporcarsi le mani con la realtà quotidiana invece di rifugiarsi nell’estetismo.
Purtroppo, una scrittrice come Matilde Serao sia più o meno caduta nel dimenticatoio. Nel migliore dei casi, nelle storie della letteratura italiana a questa scrittrice vengono assegnate soltanto poche righe. Questa marginalizzazione critica rappresenta una perdita per la cultura italiana, privata di uno dei suoi esempi più luminosi di letteratura civile.
“Il ventre di Napoli” rimane un’opera fondamentale non solo per comprendere la storia di Napoli e del Mezzogiorno, ma anche per riflettere sui rapporti tra letteratura e impegno sociale, tra narrazione e denuncia civile.