GiurisprudenzaPenale

Mandato d’arresto europeo ed applicazione del motivo di rifiuto ex art. 18/p L. 69/2005 – Cassazione Penale, Sentenza n. 45524/2010

In tema di mandato di arresto europeo, quando la richiesta di consegna presentata dall’autorità giudiziaria straniera riguardi fatti commessi in parte nel territorio dello Stato ed in parte in territorio estero, la verifica della sussistenza della condizione ostativa prevista dall’art. 18, comma primo, lett. p), della l. n. 69/2005, deve essere coordinata con la previsione della clausola di salvezza contenuta nell’ art. 31 della decisione quadro n. 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, secondo cui “gli Stati membri possono continuare ad applicare gli accordi o intese bilaterali o multilaterali vigenti al momento dell’adozione della presente decisione quadro nella misura in cui questi consentono di approfondire o di andare oltre gli obiettivi di quest’ultima e contribuiscono a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del ricercato”.

Nel caso di specie si trattava di un m.a.e. processuale emesso dall’autorità tedesca per reati concernenti il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in Germania, in cui la S.C. ha rigettato il ricorso, ritenendo applicabile l’art. II dell’Accordo bilaterale italo-tedesco del 24 ottobre 1979, ratificato con l. 11 dicembre 1984, n. 969, con il quale le parti hanno inteso facilitare l’applicazione della Convenzione europea di estradizione del 1957, nell’ipotesi in cui la domanda di consegna riguardi anche altri reati non soggetti alla giurisdizione dello Stato di rifugio e risulti opportuno far giudicare tutti i reati nello Stato richiedente. 

La norma di cui all’art. 18 lettera p) della  L. 69/2005, si legge nella sentenza, trae origine da uno dei motivi facoltativi di rifiuto della consegna previsti dalla decisione quadro 2002. Con tale disposizione sono invero stati fatti salvi (senza onere di notifica) gli accordi e le intese bilaterali o multilaterali vigenti al momento della sua adozione <<nella misura in cui questi consentono di approfondire o di andare oltre gli obiettivi di quest’ultima e contribuiscono a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del ricercato>> e sempre che gli stessi non pregiudichino le relazioni con gli Stati membri che non sono parte degli stessi.

Orbene, sottolinea la Cassazione, nei rapporti con la Germania deve ritenersi ancora applicabile l’art. II dell’Accordo bilaterale aggiuntivo, stipulato il 24 ottobre 1979 e ratificato in Italia con la legge 11 dicembre 1984, inteso a facilitare tra le Parti l’applicazione della Convenzione europea di estradizione del 1957, con il quale é stata limitata l’incidenza del motivo di rifiuto di cui all’art. 7 della stessa Convenzione nell’ipotesi in cui la domanda di consegna riguardi anche altri reati non soggetti alla giurisdizione dello Stato di rifugio, qualora risulti opportuno far giudicare tutti i suddetti reati all’autorità giudiziaria dello Stato richiedente.

Questa disposizione, prosegue la Corte, diretta a risolvere i frequenti casi di domande estradizionali per reati cross-border o comunque caratterizzati da transnazionalità, in considerazione della contiguità territoriale tra i due Paesi, si pone non solo in lenea con la clausola di salvezza contenuta nel citato art. 31 della decisione quadro, in quanto obiettivamente diretta a facilitare la consegna della persona ricercata, superando un ostacolo alla cooperazione bilaterale, ma appare anticipare ed ora anche dare puntuale attuazione ai principi contenuti nella recente decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali.

Con tale strumento, gli Stati hanno inteso concretizzare uno degli obiettivi espressamente previsti dal trattato dell’Unione Europea (ora Trattato sul funzionamento dell’Unione euroepa9, ove all’art. 82 comma 1, lett. b) si prevede che le azioni comuni nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale devono <<prevenire e risolvere i conflitti di giurisdizione tra gli Stati membri>>. Scopo della decisione quadro é non solo stabilire un meccanismo di composizione dei conflitti di giurisdizione, qualora risultino pendenti in due o più Stati membri <<procedimenti paralleli> ovvero procedimenti penali per gli stessi fatti in cui é implicata la stessa persona, ma anche soprattutto obbligare gli tati membri a prevenire l’insorgenza di tali situazioni. In tal senso, il preambolo chiarisce che obiettivo della decisione quadro é evitare procedimenti paralleli superflui, in quanto nello spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, il principio di obbligatorietà dell’azione penale, che informa il diritto processuale in vari Stati memnri, deve essere inteso e applicato in modo da ritenerlo soddisfatto <<quando ogni Stato membro garantisce l’azione penale in relazione ad un determinato reato>> (paragrafo 12).

E’ di rilievo, si legge ancora nella morivazione della sentenza, che sottesa alla prevenzione e soluzione dei conflitti di giurisdizione non é solo l’esigenza di evitare che per la stessa vicenda vi sia una dispersione di energie processuali dei singloli Stati impegnati in processi che – in un’ottica di reciproca fiducia – potrebbero essere condotti da uno solo di essi, ma anche – come ricorda il preambolo (consideranda nn. 3 e 12) della stessa decisione quadro -la necessità di impedire la violazione del divieto del ne bis in idem, quindi di un principio posto a garanzia dell’individuo – che significativamente é stato elevato dall’art. 50 della Carta di Nizza tra i principi fondamentali dell’Unione europea e che ora, con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, é da ritenere direttamente applicabile in tutti i sistemi giuridici nazionali, accanto alle Costituzioni nazionali.

La Corte ha poi fatto riferimento ad un princio più volte enunciato dalla propria giurisprudenza secondo cui per determinare la sussistenza della giurisdizione italiana in presenza di un reato associativo occorre verificare il luogo in cui si é realizzata, in tutto o in parte, l’operatività della struttura organizzativa, mentre va attribuita importanza secondaria al luogo in cui sono stati realizzati i singoli delitti commessi in attuazione del programma criminoso, a meno che questi, per il numero e la consistenza, rivelino il luogo di operatività del disegno (Cass. 993/1999)

(Litis.it, 5 Gennaio 2011 – Resoconto a cura di Marco Martini)

Allegato Pdf: Sentenza n. 45524 del 20 dicembre 2010  – depositata il 27 dicembre 2010
(Sezione Sesta Penale, Presidente G. De Roberto, Relatore E. Calvanese)

 

 

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