Civile

Risarcibile anche lo stress del disastro di Seveso. Oltre al danno fisico e alle malattie provocate dall’avvelenamento (Cassazione Sezioni Unite Civili 2515/2002)

La società  ICMESA, che provocò la fuoriuscita della
nube tossica a Seveso nel 1976 deve risarcire non solo i danni diretti ma anche
il panico e l’ansia vissuti in questi anni dagli abitanti della zona. Lo hanno
stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che hanno rilevato che,
oltre al danno fisico e alle malattie causate dall’avvelenamento, devono essere
risarcite anche la paura e l’ansia alla quale sono stati sottoposti per anni i
residenti della zona.

 

Sentenza della Cassazione
Sezioni Unite Civili 2515/2002.

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 13 giugno 1981 Giorgio P. conveniva
dinanzi al Tribunale di Monza la s.p.a. in liquidazione ICMESA chiedendone
la condanna al risarcimento dei danni patiti per la chiusura della sua
ditta, l’Eurostyle s.a.s., a seguito del grave e noto fatto di
polluzione chimica causato dall’esplosione delle caldaie della società 
convenuta, che aveva investito la zona del comune di Seveso, ove era
insediata la sua attività  produttiva, nel luglio 1976.

Precisava che la cessazione dell’attività  era stata determinata
dall’inquinamento che aveva reso non più commerciabili i manufatti da
lui prodotti (cosicchè aveva dovuto cedere a prezzo vile l’azienda) e
del fatto che, essendo stato investito direttamente dalla nube tossica,
aveva subito danni diretti alla salute che gli avevano impedito di
occuparsi del suo lavoro.

Peraltro, con altro atto di citazione, notificato il 16 luglio 1983, il
P. conveniva nuovamente in giudizio l’ICMESA per ottenere il
risarcimento dei danni psico- fisici sofferti per lo stesso episodio di
fuoriuscita della nube di diossina.

In entrambi i giudizi si costituiva la convenuta chiedendo
preliminarmente la sospensione del giudizio per la pendenza di quello
penale e, nel merito, opponendosi alle avverse domande.

Connessa la sospensione, il giudizio veniva riassunto all’esito della
formazione del giudicato penale di condanna a carico dei responsabili
tecnici della società  per il reato di cui all’art. 449 c.p. e, dato
corso all’istruttoria con l’espletamento della prova orale e della
C.T.U. medico- legale sulla persona del P., l’adito Tribunale, con
sentenza 28 maggio- 9 dicembre 1992, riteneva sostanzialmente fondate le
domande dell’attore e dichiarata la responsabilità  della convenuta in
ordine ai danni patrimoniali e morali sofferti dal P., la condannava al
pagamento, a favore di quest’ultimo, di L. 74.000.000, per la perdita
del valore della sua quota di partecipazione alla società  Eurostyle, di
L. 20.000.000 per danno biologico e di 3 20.000.000 per danno morale, con
gli interessi legali dalla sentenza al saldo.

Avverso tale decisione proponevano gravame l’ICMESA ed in via
incidentale il P. e la Corte di Appello ambrosiana, con sentenza 27 giugno
1995, previa riunione, accoglieva quella principale , per l’effetto,
rigettava le domande del P. tranne quella per danno morale, liquidato in
complessive L. 4.000.000 all’attualità , con gli interessi legali dalla
pronuncia al saldo, compensando per metà  le spese del doppio grado e
ponendo l’altra a carico dell’appellante.

Riteneva il giudice di appello, per quanto ancora possa interessare:
che il P. non aveva legittimazione a chiedere il risarcimento per la
svalutazione delle quote sociali, trattandosi di danno indiretto e
riflesso rispetto al pregiudizio subito dal patrimonio della Società , che
solo quest’ultima poteva far valere; che non doveva essere riconosciuto
il danno biologico poichè, a seguito della C.T.U. ritualmente espletata,
la sintomatologia accusata dal P. non risultava collegata causalmente al
fatto illecito ascritto all’ICMESA; che non risultava il nesso
eziologico neppure con riguardo al danno lamentato per la cessazione o
limitazione dell’attività  lavorativa; che invece poteva riconoscersi,
pur in assenza di un danno biologico, il risarcimento del danno morale,
ravvisabile nel perturbamento psichico conseguente ai numerosi e
documentati accertamenti sanitari ai quali il P. aveva dovuto sottoporsi;
che tale danno, già  liquidato in prime cure per l’ammontare di
20.000.000 milioni, andava contenuto nella misura, prossima al minimo ma
non meramente simbolica, di 4 milioni all’attualità .

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’ICMESA
s.p.a. in liquidazione, affidandolo a tre motivi di censura.

Ha resistito il P. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso
incidentale sulla basa di tre motivi, contrastati dall’ICMESA con
controricorso e memoria.

I ricorsi, chiamati all’udienza del 24/3/2000, davanti alla III
Sezione Civile, sono stati rimessi, con ordinanza di pari data, al Primo
Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, rinvenendosi
una questione di massima (la riducibilità  del danno morale in assenza di
danno biologico) ritenuta di particolare importanza.

L’ICMESA ha depositato ulteriore memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi, avverso la stessa sentenza, vanno riuniti ai sensi
dell’art. 335 c.p.c..

Come già  accennato, la causa è stata rimessa all’esame di queste
Sezioni Unite per la decisione della seguente questione di massima di
particolare importanza: se il danno morale soggettivo, verificatosi in
occasione della compromissione, anche grave, della salubrità 
dell’ambiente a seguito di disastro colposo (art. 449 c.p.), sia
risarcibile anche se non derivi dalla menomazione dell’integrità  psico-
fisica (danno biologico) dell’offeso o di altro evento produttivo di
danno morale.

Nella presente controversia il giudice di appello ha dato risposta
positiva al quesito; ne consegue che prima di procedere all’esame della
questione, che forma oggetto del primo motivo del ricorso principale
dell’ICMESA, occorre valutare i primo due motivi del ricorso
incidentale, con i quali il P. impugna le statuizioni del suddetto giudice
che hanno negato sia il danno biologico che quello patrimoniale.

Tali censure, infatti, si pongono come necessario antecedente logico e
giuridico rispetto alla questione di massima su indicata, che risulterebbe
assorbita da un loro eventuale accoglimento.

Orbene, con il primo mezzo il ricorrente incidentale, denunciando la
violazione di norme di diritto (art. 101, 2° comma, Cost. e 113 c.p.c.)
nonchè l’insufficienza della motivazione su un punto decisivo della
controversia, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., si duole del
mancato riconoscimento del danno patrimoniale derivante dal diminuito
valore delle sue quote di partecipazione alla società  Eurostyle, già 
liquidatogli in prime cure.

La doglianza è infondata.

La Corte ambrosiana ha negato al P. la legittimazione a proporre
siffatta domanda risarcitoria sul rilievo che la svalutazione della quota
del socio è solo una circostanza indiretta e riflessa della lesione
aquiliana del diritto della società  e che il mancato accertamento di
tale lesione, in contraddittorio con la società  stessa, preclude la
domanda del socio.

Trattasi di motivazione corretta perchè la società  Eurostyle, essendo
una accomandita semplice, ha una soggettività  giuridica distinta da
quella dei soci ed il danno lamentato da questi ultimi per l’eventuale
pregiudizio arrecato da terzi alle singole quote si pone come una
conseguenza mediata ed indiretta del danno cagionato al patrimonio
sociale, danno quest’ultimo che solo la società  è legittimata a far
valere.

Infatti il risarcimento dovuto al danneggiato riguarda, anche in tema
di responsabilità  aquiliana, solo le conseguenze immediate e dirette del
fatto illecito (art. 1223, richiamato dal primo comma dell’art. 2056 c.c.)
e, nella specie, il pregiudizio lamentato dal P. e consistente nella
svalutazione delle sue quote di partecipazione societaria ha indubbiamente
un carattere riflesso ed indiretto.

Il primo motivo va, pertanto, rigettato.

Con il secondo mezzo il P., denunciando la violazione e la falsa
applicazione degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c. oltre alla contraddittorietà 
della motivazione su altro punto decisivo della controversia, in relazione
all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., lamenta il mancato riconoscimento del
danno biologico, pur in presenza di adeguata documentazione medica.

Neppure l’esposta censura può essere accolta.

Essa si infrange contro l’accertamento con cui il giudice
d’appello, premesso che la suddetta documentazione, tutta proveniente
dallo stesso interessato, risaliva al 1981(e cioè ad oltre 5 anni dopo
l’evento) ed evidenziava comunque una sindrome psiconevrotica del tutto
generica, rilevava che il collegamento tra i disturbi psicofisici accusati
dal P. ed intossicazione di diossina è del tutto apodittico e concludeva
perentoriamente che detta sintomatologia, nel suo insieme od anche solo in
uno dei suoi aspetti specifici, non può essere messa in relazione con il
fatto illecito ascritto all’appellante.

Anche questa motivazione appare priva di errori giuridici e raggiunge
sotto il profilo logico un grado di completezza e di ragionevolezza da
renderla incensurabile in sede di legittimità .

Il motivo di doglianza va, pertanto, respinto.

A questo punto può procedersi all’esame del primo motivo del ricorso
principale con cui l’ICMESA, denunciando la violazione e la falsa
applicazione degli artt. 2059 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c., contesta la tesi che il danno morale possa essere risarcito anche
in assenza di danno biologico (o di altro evento produttivo di danno
patrimoniale), che è appunto la questione di massima determinante
l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite; questione che dopo la
pronuncia della Corte ambrosiana ha ricevuto risposta negativa da parte
della III Sezione Civile di questa Corte, con le sentenze 24 maggio 1997
n. 4631 e 20 giugno 1997 n. 5530, fondamentalmente sulla base delle
sentenze n. 184 del 1986 e n. 37 del 1994 della Corte Costituzionale,
affermando che il danno morale soggettivo inteso quale transeunte
turbamento psicologico è, al pari del danno patrimoniale in senso
stretto, danno- conseguenza, risarcibile solo ove derivi dalla menomazione
dell’integrità  fisica dell’offeso o da altro tipo di evento
produttivo di danno patrimoniale.

Pertanato nel caso di compromissione anche grave della salubrità 
dell’ambiente, derivante da immissioni di una sostanza altamente tossica
(nella specie diossina) a seguito di disastro colposo, il turbamento
psichico subito dalla generalità  delle persone costrette a sottoporsi a
periodici controlli sanitari a seguito dell’esposizione a quantità 
imprecisate della detta sostanza, con conseguente limitazione della
propria libertà  di azione e di vita, non è risarcibile in via autonoma
quale danno morale sopportato in eguale misura da ciascuno dei soggetti
coinvolti nel disastro, ove non costituisca conseguenza della menomazione
specificamente subita da ciascuno di essi nella propria integrità  psico-
fisica.

Ma la stessa Sezione, esaminando la presente controversia, ha dubitato
dell’esattezza del principio, tenuto conto dell’ampio dibattito
svoltosi in dottrina e dei rilievi critici formulati per auspicare un
mutamento di indirizzo ed ha sollecitato un ulteriore approfondimento da
parte delle Sezioni Unite, con ordinanza 24 marzo 200, la cui ampia ed
articolata motivazione ha precisato motivi di perplessità  attinenti:
all’interpretazione della dicotomia danno- evento e danno- conseguenza,
dovendosi escludere che il danno- evento, delineato dalla Corte
Costituzionale nella citata sentenza n. 184 del 1986, si esaurisca nella
menomazione psico- fisica propria del danno biologico, senza comprendere
anche eventuali lesioni suscettibili di tutela aquiliana diretta ed
autonoma rispetto a quella indiretta ed indifferenziata apprestata dalla
legge sull’inquinamento; alla eventuale strumentalizzazione della
suddetta interpretazione al fine di evitare un’illimitata proliferazione
di azioni risarcitorie; alla autonoma risarcibilità  del danno morale ,
secondo l’unica condizione (artt. 2059 c.c. e 185 c.p.) che esso
consista nel perturbamento psichico della vittima causato da un reato;
alla stessa utilità  o necessità , allo scopo richiesto, della dicotomia
danni- eventi e danni- conseguenza.

Sempre la stessa Sezione, con un diverso collegio, ha espresso le
medesime riserve, con ordinanza 18 maggio 2000, chiedendo l’intervento
delle Sezioni Unite per l’esame di un ricorso analogo (chiamato
anch’esso per la trattazione in questa udienza).

Chiariti cosí i termini della questione, va subito affermato che le
Sezioni Unite optano per il principio opposto a quello di cui alle citate
sentenze n. 4631 e 5530 del 1997, ritenendo che il danno morale soggettivo
sia risarcibile anche in assenza di danno biologico o di altro evento
produttivo di danno patrimoniale, in virtù delle considerazioni esposte
nell’ordinanza di rimessione, completate da alcuni ulteriori rilievi.

Al riguardo, conviene prendere le mosse dalla motivazione,
sostanzialmente identica, delle due sentenze n. 4631 e 5530 del 1997 che
ha sviluppato le seguenti argomentazioni: la risarcibilità  del danno non
patrimoniale incontra nel sistema il limite dell’esplicita previsione
legislativa, che, per quanto concerne il danno da reato, è realizzata con
il rinvio dell’art. 2059 c.c. all’art. 185 c.p.e da questo alle
singole figure di reato; occorre, a tal fine, che il reato incida su una
posizione soggettiva che può ben essere rappresentata, nel caso di
delitto di disastro colposo ex art. 449 c.p., dal diritto alla salute
nella sua esplicazione di diritto alla salubrità  dell’ambiente,
suscettibile di tutela aquiliana diretta ed autonoma rispetto a quella
indiretta ed indifferenziata apprestata dalla legge sull’inquinamento;
per delimitare l’area del danno risarcibile in relazione alla possibilità 
che il reato produca perturbamenti psichici in un numero indeterminato di
persone, risulta applicabile il criterio di cui all’art. 1223 c.c., che,
richiamato dall’art. 2056, comporta che la risarcibilità  dei
perturbamenti psichici richiede che essi costituiscano la conseguenza
diretta ed immediata del reato, nel senso, altresí, che il collegamento
tra danno ed interessi protetti dalla norma penale può es

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