Attualità

DIVORZIO, IN 30 ANNI UN CRESCENDO LENTO MA INESORABILE


FOTO D'ARCHIVIO: le manifestazioni per il divorzio 30 anni fa
ROMA – Un fenomeno in lenta ma
continua crescita, che ha profondamente modificato la struttura familiare: cosi’,
dati Istat alla mano, si puo’ definire il quadro dell’instabilità coniugale in
Italia, che dal 1974, anno del referendum, ad oggi ha conosciuto un aumento
pressochè costante del numero di divorzi.

LA LUNGA MARCIA DAL 1974 AL 2002 – L’Italia del referendum sul divorzio
ha registrato, in quell’anno, 17.890 ‘cessazioni degli effetti civili’ del
matrimonio; l’anno seguente, il 1975, i divorzi sono stati 10.618, ma il calo si
spiega con il fatto che nel ’74 c’è stata probabilmente una ‘corsà a sanare le
tante situazioni pregresse. Negli anni seguenti si è registrata una costante,
anche se lenta, crescita, per arrivare nel 2002 a 41.835 divorzi. Restringendo
il campo al periodo 1995-2000, l’ aumento è attestato anche dalla crescita nel
tempo del tasso di separazione/divorzio totale: se nel ’95 ogni 1.000 matrimoni
si verificavano 158,4 separazioni e 79,7 divorzi, cinque anni dopo le
proporzioni sono arrivate a 224 separazioni e 115 divorzi ogni mille matrimoni.

PIU’ AL NORD CHE AL SUD – La propensione a sciogliere il vincolo
matrimoniale non è uniforme sul territorio nazionale, ma registra un forte
divario tra Nord e Sud. Nel 2000, infatti, al Nord si rilevano 6,2 separazioni e
3,4 divorzi ogni 1.000 coppie coniugate, contro 3,2 separazioni e 1,4 divorzi
nel Mezzogiorno. Le regioni più ‘disinvoltè sono Liguria e Piemonte, quelle
più ancorate alla tradizione Calabria, Basilicata e Molise.

CONSENSUALE O CONTENZIOSO? – La separazione consensuale è quella più ‘gettonatà:
l’ha scelta nel 2000 l’ 86,4% dei coniugi, contro il 13,6% che ha preferito il
rito contenzioso. Le coppie del Sud ricorrono al contenzioso più frequentemente
di quelle residenti al Nord. Anche per il divorzio è previsto un procedimento
semplificato, che nel 2000 è stato utilizzato dal 69,3% delle coppie, con una
frequenza maggiore al Nord rispetto al Sud. L’ ‘addio’ di tipo consensuale
ricorre più spesso tra i coniugi con un’occupazione. La scelta del tipo di
procedimento è condizionata anche dalla diversità della durata e dei costi:
quello consensuale è più semplice, meno costoso e si conclude in meno tempo,
circa 135 giorni contro i 1.085 di una sentenza di separazione e i 631 per
quella di divorzio.

QUANTO DURA IL MATRIMONIO – Nel 2000 la durata media risulta pari a 13
anni al momento della richiesta di separazione e a 17 a quello del divorzio. Un
quinto (21%) dei matrimoni non supera il quinto anno. E’ più alta la
percentuale dei matrimoni religiosi che si sciolgono rispetto a quella delle
unioni civili, ma questo è da ricondurre alla maggiore incidenza dei matrimoni
religiosi rispetto a quelli civili, anche se la tendenza si è ridotta
progressivamente nel tempo.

DALLA SEPARAZIONE AL DIVORZIO – La separazione legale non sempre si
converte in divorzio: delle 29.462 separazioni del 1980, solo il 69,8% si è
concluso in divorzio entro il 2000. Se pero’ si decide di fare il passo, nella
maggior parte dei casi lo si fa nei tempi minimi previsti dalla legge (3 anni).

TIPOLOGIA DEI SEPARANDI – Al momento della separazione i mariti hanno
mediamente 42 anni e le mogli 38; quando viene pronunciata la sentenza di
divorzio l’ età passa rispettivamente a 45 e 41. La quasi totalità dei
separati e dei divorziati si è sposata una sola volta. La metà delle coppie
che si separano o che divorziano sceglie un legale comune, anche per ridurre i
costi.

IL CAPITOLO DOLOROSO DEI FIGLI – Nel 2000, 49.054 separazioni e 22.667
divorzi hanno riguardato coppie con figli, con percentuali più alte nel
Mezzogiorno, dove si registrano tassi di natalità maggiori rispetto al resto
del Paese. Nel 2000 i figli che hanno vissuto l’ esperienza del divorzio dei
genitori sono stati 35.050, di cui 7.413 minori fino a 10 anni di età. I figli
minori vengono prevalentemente affidati alla madre: nel 2000 è avvenuto nell’
86,7% delle separazioni e nell’ 86% dei divorzi; l’ affidamento esclusivo alla
madre è più frequente nel Mezzogiorno. L’ affidamento congiunto o alternato è
ancora poco diffuso in Italia (anche se in crescita negli ultimi anni), ed è
comunque più frequente in caso di rito consensuale.

LA CASA E L’ASSEGNO – La casa viene assegnata alla moglie nel 57,8% delle
separazioni, al marito nel 24,9%, e a nessuno dei due nel 15% dei casi. Se ci
sono figli, viene attribuita nella maggior parte dei casi al genitore
affidatario. Diversa la situazione dei divorzi, dal momento che il 49,2% delle
coppie lascia la casa familiare per andare a vivere, separatamente, altrove; il
fenomeno è molto evidente al Nord. Il 21,6% delle separazioni e il 14,2% dei
divorzi prevede un sostentamento economico al coniuge, in genere la donna. Il
69,8% delle separazioni e il 59,6% dei divorzi prevede un assegno per i figli,
percentuali che salgono all’ 87,1% e all’ 82,6% in caso di figli minori. Nella
quasi totalità dei casi è l’ uomo a ‘staccarè gli assegni, sia per i figli
che per la moglie. L’ importo medio del sostentamento mensile per i figli è,
sempre riferito al 2000, di 396 euro nelle separazioni e 350 nei divorzi,
scendendo rispettivamente a 261 e 240 euro se a erogarlo è la madre. L’ assegno
mensile a favore del coniuge risulta mediamente pari a 476 euro nelle
separazioni e 557 euro nei divorzi; l’ importo si riduce se l’ addio avviene al
Sud, mentre risulta più cospicuo nelle cause celebrate al Nord.

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