Attualità

Cassazione: il prete non è obbligato al segreto professionale

Il segreto professionale cui
sono tenuti i preti in ambito ‘ecclesialè non puo’ essere applicato
nell’ambito dell”’ordinamento processuale italiano”, tanto più se le loro
rivelazioni incidono su una vicenda a sfondo penale. Pertanto il sacerdote non
è obbligato, in ogni caso, al segreto professionale. Lo ha stabilito la
Corte di
Cassazione
che, ribaltando la sentenza pronunciata nei due precedenti
gradi di giudizio, ha sancito che ”l’eventuale segreto previsto dal codice
canonico, ha rilevanza nell’ambito dell’ordinamento giuridico della Santa Sede
ma non assume rilevanza nell’ordinamento processuale italiano”.

A sollecitare la pronuncia
della Suprema Corte, una causa per diffamazione nata in seguito alla richiesta
di annullamento di matrimonio di una coppia dell’Aquila, finito davanti ai
giudici della Sacra Rota. Il marito, Francesco V. chiedeva appunto di
annullare le nozze contratte con Simonetta D. S. sulla base del fatto che la
donna, a suo dire, sarebbe stata affetta ”da disturbi psichici e mentali”.
Sentendosi diffamata dalle affermazioni del marito, la donna ha avviato una
causa davanti al giudice italiano, chiedendo di acquisire le prove del reato
contenute nei verbali della causa ecclesiastica e chiedendo di chiamare a
testimoniare quanti erano presenti alle dichiarazioni. Tra loro anche un
prete.

Per ben due gradi di giudizio
Simonetta D. S. si è vista rifiutare le richieste. In particolare, la Corte
d’appello dell’Aquila, nell’aprile del 2003, aveva escluso la testimonianza
del prete sulla base del fatto che ”gli ecclesiastici non sono tenuti a dare
ai magistrati o ad altre autorità informazioni su persone o materie di cui
siano venuti a conoscenza per ragioni del loro ministero”. Esclusa dai
giudici di merito anche l’acquisizione degli atti del tribunale ecclesistico
perchè a loro dire si sarebbe andati contro alle norme del diritto canonico.

La Cassazione, pero’, oggi ha
ribaltato tutto, sostenendo che la ricerca della verità non puo’ essere
limitata dal diritto canonico e mettendo in chiaro che ”non vi è un divieto
assoluto degli ecclesistici a testimoniarè’. Scrive la Quinta sezione penale
nella sentenza 22827 che ”non vi è una incapacità o un divieto assoluto
degli ecclesistici a testimoniarè’ anche se ”è loro conferito il diritto di
astenersi, per i fatti conosciuti a cagione dell’esercizio del ministero. Il
giudice pertanto – mette in chiaro la Suprema Corte – non puo’ escludere dalla
lista dei testimoni automaticamente qualsiasi ecclesiastico” anche se, ”deve
avvertirlo della facoltà di astenersi disposta dall’art. 200 c.p.p. e
dell’art. 4 della legge 121 dell’85”.

In ogni caso, spiega ancora la
Cassazione, ”l’eventuale segreto professionale, non puo’ essere ritenuto a
priori, ma va eccepito dal sacerdote allorchè la deposizione che gli viene
richiesta, per aspetti particolari, possa incidere su fatti, comportamenti, o
notizie, acquisiti”. Il divieto a testimoniare, poi, a maggior ragione non
puo’ essere tirato in ballo se il sacerdote, come in questo caso, svolge
”funzioni di cancelliere o notaio” nel giudizio ecclesiale. ”L’ambito
ecclesialè’, concludono infatti gli Ermellini, ”nel quale il fatto si è
verificato non lo copre da segreto nell’ambito dell’ordinamento italiano”.

Contrariamente a quanto
richiesto dalla stessa pubblica accusa della Cassazione rappresentata da
Antonio Mura (aveva chiesto il rigetto del ricorso della signora), la
Cassazione ha accolto la protesta della donna, disponendo che la Corte
d’appello di Roma applichi i principi esposti.

La sentenza della Cassazione
non trova pero’ d’accordo i giudici della
Sacra Rota.
”Rispetto la sentenza della Corte di Cassazione -dice monsignor Giovanni
Vaccarotto, difensore del Vincolo al Tribunale della Rota Romana- ma dire che
un sacerdote nell’ambito della giustizia italiana non è coperto dal segreto
potrebbe aprire una falla. Intendo dire che il giudice italiano non mi puo’
imporre di rivelare cio’ che mi è stato riferito. Noi rispondiamo solo al
Pontefice percio’ da parte mia romperei il segreto professionale soltanto se
fosse il Papa in persona a chiedermelo. Diversamente comparirei davanti al
magistrato che mi ha convocato ma non scucirei una sola parola di quello che
mi è stato rivelato”.

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