Civile

Spetta al paziente provare la responsabilità della struttura sanitaria – CASSAZIONE CIVILE, Sezione III, Sentenza n. 7997 del 18/04/2005

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Ai fini
dell’affermazione della responsabilità di una struttura sanitaria a causa della
non diligente esecuzione della prestazione che abbia arrecato pregiudizio al
paziente, spetta a quest’ultimo l’onere di provare il nesso di causalità
giuridica tra il comportamento dell’autore del fatto e l’evento dannoso,
valutazione da compiersi secondo criteri di probabilità scientifica se
esaustivi o di logica aristotelica qualora non vi siano leggi scientifiche di
copertura, con la precisazione che nell’illecito omissivo si deve accertare il
collegamento evento-comportamento in termini di probabilità inversa e che grava
sul soggetto debitore la prova dell’assenza di colpa.

 

REPUBBLICA
ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO

LA CORTE SUPREMA
DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA
CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DUVA Vittorio – Presidente

Dott. SABATINI Francesco – Consigliere

Dott. PERCONTE LICATESE Renato – Consigliere

Dott. TRIFONE Francesco – Consigliere

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

(…) (…) (…) elettivamente domiciliati in
ROMA VIA DEL CORSO 42, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO BONOTTO, difesi
dall’avvocato VECCHIOLI PAOLO, il primo in forza di procura speciale notarile
per Notar Federico MAGNANTE TRECCO del 07/07/01, Rep. 313399, gli altri due
giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE N. (…) in
persona del Dott. (…) Direttore Generale e legale rappresentante,
elettivamente domiciliata in ROMA VIA CICERONE 49, presso lo studio
dell’avvocato ANTONIO BERNARDINI, difesa dall’avvocato VENTA ERNESTO F., giusta
delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 152/01 della Corte
d’Appello di L’AQUILA, emessa il 20/11/00, depositata il 08/03/01; R.G. 630/96;

udita la relazione della causa svolta nella
Pubblica udienza del 06/10/04 dal Consigliere Dott. Giacomo TRAVAGLINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.

 


Svolgimento del
processo

 

(…) e (…) con atto di citazione notificato
il 27 febbraio 1987, convennero, in proprio e quali genitori del minore (…) la
ASL (…) dell'(…) dinanzi al locale tribunale, esponendo:

– che il figlio minore, affetto da malattia
epilettica fin dai primi anni di vita, era sottoposto a trattamento terapeutico
presso l’istituto di neuropsichiatria infantile dell'(…) – che essi genitori
erano soliti, quantomeno a far data dal dicembre del 1983, ricorrere a periodici
ricoveri notturni del figliolo, onde consentirgli lo svolgimento di una vita il
più possibile normale durante la i giornata, frequentando la scuola e
dedicandosi alle ordinarie attività;

– che l’11 dicembre 1985 alle ore 7.45 il
ragazzo, ricoverato presso l’istituto nella notte precedente, dopo essersi
alzato dal letto ed aver percorso il corridoio dell’ospedale, cadeva in preda ad
una crisi epilettica, crollando al suolo;

– che, ricondotto a braccia dal personale
intervenuto nella sua stanza, veniva sottoposto a terapia antishock sulla base
di una diagnosi (poi rivelatasi del tutto erronea) di collasso
cardiocircolatorio;

– che soltanto alle ore 13, perdurando lo stato
di shock, il minore venne trasferito al centro di rianimazione di altro
ospedale, ove gli fu diagnosticata una tetraparesi da trauma midollare cervicale
con postumi invalidanti del 100%;

tanto premesso, e sull’assunto che detta
invalidità fosse conseguenza di specifiche responsabilità del personale
sanitario dell’ospedale per omessa vigilanza, errata diagnosi e ritardo
nell’attuazione di idonea terapia, gli attori chiesero che la convenuta ASL
fosse condannata al risarcimento dei danni subiti sia dal minore, sia da essi
genitori.

Il tribunale rigetto’ la domanda ritenendo non
compiutamente assolto all’onere probatorio, gravante sull’attore istante per il
risarcimento del danno, circa la sussistenza del nesso causale tra la condotta
del personale sanitario e l’insorgenza o l’aggravamento della lesione midollare
sofferta dal minore, e con la stessa motivazione la Corte dell’Aquila
confermerà la sentenza di primo grado, rigettando cosi’ l’appello dei coniugi
(…) e d (…) che ricorrono oggi per la cassazione di tale pronuncia con
ricorso affidato a tre motivi di doglianza.

Resiste con controricorso la Asl dell'(…) I
ricorrenti hanno depositato memoria.

 


Motivi della
decisione

 

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.

Alla decisione del caso di specie pare opportuno
premettere una sintetica analisi della categoria giuridica del nesso causale (e,
in parte qua, della colpa medica), onde pervenire – senza alcuna pretesa di
completezza o di esaustività di una ricognizione concettuale che affronti uno
dei più antichi ossimori dell’intero ordinamento penale e civile – ad
accettabili conclusioni in punto di diritto circa la predicabilità della sua
sussistenza nel caso di specie.

Prima, significativa (ed inquietante)
rilevazione ermeneutica è quella per cui nulla di definito emerge dalle fonti
legislative, penali e civili, sul tema della causalità in sè considerata
(l’art. 40 del codice penale fissa l’equivalenza fra il non fare ed il
cagionare; il successivo art. 41 si occupa, con apparente salto logico,
"dell’interruzione del nesso causale" senza punto definirne la portata
concettuale, l’art. 2043 del codice civile descrive il rapporto tra fatto doloso
o colposo e danno in termini di "cagionare", senza ulteriori specificazioni).
Cosi’, la dottrina, nel tempo, elabora un numero imprecisato di teorie
sull’argomento, complessivamente riducibili ad una restricted area costituita da
cinque "macrogruppi" (condicio sine qua non; causalità adeguata;

prevedibilità dell’evento; scopo della norma
violata; signoria dell’uomo sul fatto, quest’ultima di derivazione prettamente
tedesca). La giurisprudenza civile, a sua volta, pur non senza oscillazioni
(dettate non di rado dagli "umori" dei periodi storici attraversati), si
attesterà in prevalenza sulla linea di principio secondo cui tutti gli
antecedenti causali in mancanza dei quali non si sarebbe verificato l’evento
lesivo assumono rilievo eziologico, abbiano essi agito in via diretta o soltanto
mediata, salvo il temperamento normativo della "causa prossima da sola
sufficiente a produrre l’evento". Non mancano pronunce che, con lo sguardo
rivolto al concetto di giudizio probabilistico ex ante, sposeranno tout court la
teoria della causalità adeguata, aggiungendovi il consueto limite del caso
fortuito inteso come vis malor (ovvero, meno esattamente, come mancanza di
riprovevolezza del comportamento) ed esteso anche al fatto del terzo o della
vittima dell’illecito, a condizione che il responsabile stesso non avesse
l’obbligo di impedire l’evento (in questi sensi registrandosi, nella sostanza,
un considerevole avvicinamento alla dottrina tedesca della signoria del fatto).

In realtà, quello del nesso causale, problema
ermeneutico pressochè insolubile sul piano della dogmatica giuridica pura, pare
destinato inevitabilmente a risolversi entro i (più pragmatici) confini di una
dimensione "storica", o, se si vuole, di politica del diritto, che, come si è
da più parti osservato, di volta in volta individuerà i termini dell’astratta
prevedibilità delle conseguenze dannose delle proprie azioni in capo all’agente
secondo un principio guida che potrebbe essere formulato, all’incirca, in
termini di rispondenza, da parte dell’autore del fatto illecito, delle
conseguenze che "normalmente" discendono dal suo atto, a meno che non sia
intervenuto un nuovo fatto rispetto al quale egli non ha il dovere o la
possibilità di agire (la c.d. teoria della regolarità causale e del novus
actus interveniens): cosi’, osserva la più attenta e recente dottrina, il nesso
causale diviene la misura del dovere posto a carico dell’agente da ricostruirsi
sulla base dello scopo della norma violata, di quel dovere di avvedutezza
comportamentale (o, se si vuole, di previsione e prevenzione, attesa la funzione
– anche – preventiva della responsabilità civile) che si estende sino alla
previsione delle conseguenze a loro volta normalmente ipotizzabili in mancanza
di tale avvedutezza. L’assunto, apparentemente meritevole di incondizionata
condivisione, postula, peraltro, una ineludibile quanto fondamentale
precisazione: troppo spesso l’evoluzione del concetto di colpa, segnatamente in
tema di responsabilità professionale, e l’enucleazione via via più frequente
di una concezione Soggettiva" della colpa medesima, segnata sempre più
dall’individuazione di c.d. "standards" generali di comportamento, ha finito per
ingenerare una (forse) inconsapevole (ma non per questo più accettabile)
confusione/sovrapposizione tra l’indagine sul nesso causale e quella
sull’elemento soggettivo dell’illecito (la colpa, appunto), dovendo, per
converso, le due categorie giuridiche attestarsi su piani morfologicamente
distinti, poichè la colpa, anche intesa come giudizio relazionale
"oggettivato", è pur sempre misura dell’avvedutezza dell’agente nel porre in
essere il comportamento in ipotesi illecito, è pur sempre "valutazione" di un
"comportamento", valutazione, dunque, inscritta tout court all’interno della
relativa dimensione soggettiva, mentre il nesso causale, al di là e prima di
qualsivoglia analisi di prevedibilità/evitabilità soggettiva, è, puramente e
semplicemente, la relazione esterna intercorrente tra comportamento ed evento,
svincolata da qualsivoglia giudizio di prevedibilità soggettiva: la rigorosa
oggettivazione del concetto di eziologia dell’evento consente di tenere
irrinunciabilmente distinti i due piani di analisi strutturale dell’illecito,
fungendo la colpa come limite alla oggettiva predicabilità della
responsabilità una volta accertata la relazione causale tra la condotta e
l’evento. Specie nella giurisprudenza penale dell’ultimo ventennio si è
assistito, invece, ad un inquietante avvicinamento dei due concetti
(particolarmente significativa in tal senso, la pronuncia di cui a Cass. pen.
371/1992 – il celebre caso Silvestri -, secondo cui sussisterebbe il rapporto di
causalità tra

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