Penale

Ricusazione del giudica. presupposti per la sussistenza della indebita manifestazione del convincimento – CASSAZIONE PENALE, Seziomi Unite, Sentenza n. 41263 del 15/11/2005

Costituisce indebita manifestazione del proprio
convincimento da parte del giudice, prevista come causa di ricusazione dall’art.
37, comma 1, lett. b) c.p.p., l’anticipazione di valutazioni sul merito della
"res iudicanda", ovvero sulla colpevolezza od innocenza dell’imputato in ordine
ai fatti oggetto del processo, compiuta sia all’interno del medesimo
procedimento che in un procedimento diverso senza che tali valutazioni siano
imposte o giustificate dalle sequenze procedimentali previste dalla legge od
allorchè esse invadano senza necessità e senza nesso funzionale con l’atto da
compiere l’ambito della decisione finale di merito, anticipandone in tutto od in
parte gli esiti.

 

 


CASSAZIONE PENALE, Seziomi Unite, Sentenza n.
41263 del 15/11/2005

 
(Sezioni Unite Penali, Presidente P. Fattori, Relatore E. Gironi)
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
 1 Con ordinanza in data 28.1.2004 la Corte di appello di Palermo ha dichiarato
inammissibile la dichiarazione di ricusazione del giudice monocratico del
Tribunale di Termini Imerese dott.ssa Sammartino effettuata da Falzone William
Savio, Ficarra Giuseppe e Faso Francesco nel procedimento pendente a loro carico
per il reato di lesioni colpose, sul rilievo che le valutazioni espresse dal
giudicante nel rigettare, per ritenuta superfluità delle prove, un’istanza
volta all’ammissione di un teste ed all’espletamento di una perizia rientravano
"nei compiti propri del giudice del dibattimento" e non potevano, pertanto,
essere interpretate "come una “indebita” manifestazione di giudizio prima della
decisione sui fatti del processo".
 
 2 Avverso la predetta ordinanza hanno proposto ricorso il Falzone ed il Faso
per asserita carenza e, comunque, per illogicità della motivazione del
provvedimento impugnato, sull’assunto che il giudice ricusato "non ha per niente
esplicato le ragioni per le quali il tecnico verificatore della gru della ASL 6
di Palermo non dovesse essere escusso ex art. 507 c.p.p., pur avendo la difesa
degli imputati rilevato che si trattasse dell’unico soggetto esistente che
potesse sapere in quale stato si trovava il dispositivo di sicurezza della gru,
elemento sul quale poggia l’intero esito del processo in parola".
 
 I ricorrenti assumono, altresi’, che la corte territoriale avrebbe deciso senza
disporre dei necessari elementi di valutazione, non essendo ancora stata
effettuata la trascrizione della registrazione relativa all’udienza del
15.1.2004 e, segnatamente, della deposizione testimoniale su cui, in una con il
contenuto dell’ordinanza emessa sull’istanza istruttoria proposta ex art. 507
c.p.p., la dichiarazione di ricusazione era stata fondata.
 
 3 La quarta sezione penale, investita della decisione del ricorso, ha rimesso
lo stesso a queste sezioni unite, rilevando l’esistenza di un contrasto
giurisprudenziale in ordine alla possibile rilevanza quale causa di ricusazione,
fatta salva la sua valutazione nel merito, dell’anticipata manifestazione di
convincimenti sulla res iudicanda compiuta dal giudice all’interno del medesimo
processo, non senza, peraltro, lasciare trasparire la propria opzione per una
soluzione affermativa della questione.
 
 Il contrasto, secondo quanto evidenziato nell’ordinanza di rimessione, si
incentrerebbe sulla contrapposizione tra un filone giurisprudenziale risalente
nel tempo, che escluderebbe ogni rilevanza a manifestazioni compiute all’interno
dello stesso procedimento, ritenendo che le indebite espressioni di
convincimenti previste come causa di ricusazione debbano estrinsecarsi al di
fuori della sede processuale e dei compiti istituzionali propri dell’organo
giudicante (si citano, in tal senso, Cass., sez. IV, 11 ottobre 1993, Rizzi, in
Ced Cass., rv. 195.350; sez. V, 1 giugno 1995, Ferretti, id., rv. 202.213 e sez.
VI, 22 gennaio 2002, Barsi, id., rv. 222032), ed altro più recente indirizzo,
rappresentato dalla sentenza della sez. V, 26 gennaio 1999, Iacopini, id., rv.
213537, che, facendo leva sulla nuova formulazione dell’art. 111 Cost. in tema
di “giusto processo” (imponente la netta distinzione fra il momento di
acquisizione e quello di valutazione della prova) ed anticipando quanto espresso
dalla Corte costituzionale nella sentenza 14 luglio 2000, n. 283 (in Giur. It.,
2000, 1890), assegnerebbe rilevanza anche alle manifestazioni di opinioni
compiute nella medesima sede processuale, mediante anticipazione di
convincimenti anteriormente al completamento dell’istruzione probatoria e prima
della fase deliberativa della decisione.
 
 4 Il P.G. requirente presso questa corte ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso, non ravvisando nella fattispecie alcuna concreta anticipazione di un
giudizio di merito in ordine al fatto-reato contestato agli imputati ricusanti
ed alla responsabilità o meno dei medesimi. 
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
 
 5 La questione sottoposta all’esame di queste sezioni unite, nei termini
prospettati nell’ordinanza di rimessione, non consente, in realtà, di
registrare un effettivo contrasto nella giurisprudenza di legittimità, non
rinvenendosi affermazioni di principio volte ad escludere dall’ambito di
applicabilità dell’art. 37 c.p.p., e, segnatamente, dalla previsione di cui
alla lettera b) del primo comma, l’indebita anticipazione del proprio
convincimento sulla res iudicanda compiuta dall’organo giudicante all’interno
del medesimo procedimento.
 
 La sentenza della sez. IV, 11 ottobre 1993, Rizzi, citata come esempio
dell’orientamento che circoscriverebbe la rilevanza dell’indebita anticipazione
di convincimenti ai comportamenti tenuti al di fuori della sede processuale e
dei compiti istituzionali del giudice, nell’esaminare una fattispecie di
ricusazione di un g.i.p. da parte del p.m. in cui l’attività asseritamente
pregiudicata consisteva nella decisione da assumere su di una richiesta di
archiviazione e quella pregiudicante nella precedente declaratoria di
inammissibilità di una richiesta di incidente probatorio per l’espletamento di
una perizia medico-legale, ha, invero, incentrato la propria valutazione sulla
possibilità di qualificare o meno come “indebita” la pronuncia sull’istanza di
incidente probatorio e, pur assumendo che l’avverbio "indebitamente"
significherebbe "fuori della sede processuale, fuori dai compiti e dai ruoli"
del giudice, ha annullato senza rinvio l’ordinanza che aveva accolto la
dichiarazione di ricusazione, rilevando che la precedente decisione del g.i.p.
costituiva un intervento "inevitabile" e non connotabile come indebito in quanto
previsto dalla legge.
 
 Al di là della locuzione sopra riportata, che presenta una valenza
essenzialmente esemplificativa ma non esclusiva di altre possibili situazioni e
la cui lettura non puo’ prescindere dal contesto motivazionale nè dalla
specificità del caso esaminato, la Corte di legittimità ha, dunque, negato
rilevanza alla pretesa causa pregiudicante, essendo questa costituita da un atto
necessariamente e doverosamente compiuto dal giudice secondo l’iter
procedimentale disegnato dalla legge e, pertanto, in nessun modo definibile come
indebita anticipazione di giudizio, pur concedendo che "il rifiuto di una prova
richiesta dalle parti, per essere ritenuta ininfluente o superata da altre prove
valutate come prevalenti od inoppugnabili, getti una luce sull’intimo
convincimento del giudice".
 
 Non diversamente vanno interpretate le statuizioni di cui a Cass., sez. V, I
giugno 1995, Ferretti, Ced Cass., rv. 202213, che ha tralaticiamente rcepito
dalla precedente sentenza la formula secondo cui “indebita” sarebbe solo la
manifestazione compiuta "fuori dalla sede processuale e fuori dei compiti e dai
ruoli del giudice"”, ed a Cass., sez. VI, 22 gennaio 2002, Barsi, id., rv.
220032, che, nell’esaminare un caso di preteso pregiudizio per la decisione su
di un’opposizione ex art. 263, comma 5, c.p.p. avverso provvedimento del p.m. in
tema restituzione di cose sequestrate derivante dalla precedente adozione, nel
medesimo procedimento, di misura cautelare personale, ha escluso ogni valenza
pregiudicante della pregressa attività, rilevando che la nuova pronuncia
riguardava una decisione non attinente al merito della causa nè in alcun modo
coordinata alla sua decisione finale: ancora una volta, dunque, l’attenzione si
è accentrata essenzialmente sul carattere doveroso od antidoveroso dell’attività
compiuta in precedenza dal giudice, ovvero sulla natura “debita” od “indebita”
dell’esternazione, piuttosto che sulla circostanza che essa sia avvenuta
all’interno od all’esterno del procedimento dato.
 
 La locuzione "fuori dalla sede processuale e fuori dai compiti e dai ruoli del
giudice" deve, dunque, interpretarsi come un’endiadi i cui termini concorrono ad
individuare manifestazioni di opinioni non necessariamente e fisiologicamente
connesse o non funzionali al corretto adempimento delle attribuzioni
istituzionali dell’organo giudicante.
 
 6 La formulazione della lettera b), I comma, dell’art. 37 c.p.p. non fa, del
resto, alcuna distinzione tra indebite anticipazioni di convincimento
intervenute nell’ambito dello stesso procedimento od in un procedimento diverso,
come esplicitamente riconosciuto da Cass., sez. VI, 19 maggio 2004, Giaccone,
Ced Cass., rv. 230461, limitandosi a prevedere come cause di ricusazione quelle
esternazioni che, pur compiute nell’esercizio delle funzioni, costituiscano
indebita anticipazione di giudizio sui fatti oggetto dell’imputazione, con cio’
non escludendo che tali evenienze possano darsi anche in sede endo-processuale,
sempre che, tuttavia, esse possano considerarsi “indebite” nel senso anzidetto e
riguardino, come ben chiarito dalla succitata sentenza Barsi, "valutazione di
merito sullo stesso fatto e in ordine al medesimo soggetto, collegata alla
decisione finale del processo".
 
 La disposizione in esame concerne dunque, all’evidenza, quelle situazioni di
potenziale pregiudizio per la funzione giudicante non tipizzate (a differenza
delle cause di incompatibilità ” costituenti anche cause di astensione e di
ricusazione – previste dall’art. 34 c.p.p., come integrato dagli innesti
derivanti dalle numerose pronunce additive della corte costituzionale sin qui
succedutesi) nè preventivamente tipizzabili e compendiate, pertanto, in una
clausola generale di sintesi la cui applicabilità, come puntualizzato da Cass.,
sez. VI, 11 aprile 2002, Arnone, Giust. Pen., 2004, III, 366, va verificata in
concreto dal prudente apprezzamento dell’interprete, con riguardo alle
peculiarità di ogni singola fattispecie.
 
 Concetti analoghi si rinvengono nella sentenza n. 283 del 14.7.2000, Giur. It.,
2000, 1890, con cui la Corte costituzionale, chiamata a scrutinare la
legittimità dell’art. 37, comma 1, c.p.p. in riferimento agli artt. 3 e 24
Cost. "nella parte in cui la norma non prevede, tra le ipotesi di ricusazione,
anche quella di situazioni pregiudicanti riferite a rapporti processuali che non
investono lo stesso procedimento", ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
della norma, adottando anche in tal caso una pronuncia di natura additiva e
ravvisando ragioni di incostituzionalità nella mancata previsione della
ricusabilità del giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un
imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una
valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto
(situazione già ritenuta dalla stessa Corte costituzionale riconducibile alla
previsione dell’art. 36, lett. h), c.p.p. quale possibile causa di astensione
con sentenza 20 aprile 2000, n. 113, in Foro it., 2000, I, 1743). Come,
peraltro, emerge da un passaggio del paragrafo 3 della motivazione “in diritto”,
cio’ non significa che l’ambito della norma debba ritenersi circoscritto alle
sole esternazioni compiute in un diverso procedimento; è stato, infatti, nello
stesso contesto precisato che, attraverso gli istituti dell’incompatibilità,
dell’astensione e della ricusazione, il legislatore ha inteso apprestare "la
necessaria tutela del principio del giusto processo in tutti i casi in cui puo’
risultare compromessa l’imparzialità del giudice: le ragioni del pregiudizio
sono infatti oggettivamente identiche sia quando il giudice ha manifestato il
proprio convincimento all’interno del medesimo procedimento mediante un atto o
l’esercizio di una funzione a cui il legislatore attribuisce astrattamente e
preventivamente effetti pregiudicanti, sia quando la valutazione di merito è
stata espressa in un diverso procedimento (ovvero nel medesimo procedimento, ma
mediante un atto che non presuppone una tale valutazione) e gli effetti
pregiudicanti debbano quindi essere accertati in concreto, grazie agli istituti
dell’astensione e della ricusazione”, dove la locuzione riportata in neretto sta
chiaramente a significare che anche valutazioni di merito espresse all’interno
del medesimo procedimento possono rilevare come cause di ricusazione, purchè
indebite, ovvero tali da non “presupporre” (ossia tali da non implicare, non
comportare, non richiedere, non rendere necessarie secondo la fisiologia
dell’atto) valutazioni di siffatto genere.
 
 Mentre, infatti, come pure posto in rilievo dalla Consulta, le cause di
incompatibilità di cui all’art. 34 si riferiscono tutte a situazioni
verificatesi all’interno del medesimo procedimento, ivi compresa l’ipotesi presa
in esame dalla sentenza n. 371/1996 (alla diversità formale del procedimento
facendo riscontro la sostanziale unitarietà della vicenda processuale), l’art.
37, co. 1, lett. b) non opera alcuna distinzione in relazione alla sede in cui
l’indebita anticipazione di giudizio si sia manifestata, limitandosi a prevedere
che l’attività pregiudicante sia stata compiuta nell’esercizio delle funzioni e
con anticipo rispetto alla pronuncia della sentenza. Nel caso esaminato dalla
citata sentenza n. 283 del 2000 la necessità di ricorrere ad una sentenza
additiva di declaratoria di illegittimità costituzionale anzichè ad una mera
sentenza interpretativa di rigetto è derivata al giudice delle leggi dal fatto
che l’attività stigmatizzata come pregiudicante consisteva in valutazioni di
merito sulla res iudicanda legittimamente e doverosamente compiute in un diverso
procedimento e, come tali, non rientranti nella previsione dell’art. 37, co. 1,
lett. b) non già perchè espresse in sede extra-processuale ma perchè tutt’altro
che indebite. <

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