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I figli maggiorenni con un lavoro non hanno diritto al mantenimento, anche se svolgano una attività non redditizia – CASSAZIONE CIVILE, Sezione I, Sentenza n. 26259 del 02/12/2005

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I
figli maggiorenni con un lavoro non hanno diritto al mantenimento, anche se
svolgano una attività non redditizia. Lo ha stabilito la Prima Sezione Civile
della Corte di Cassazione confermando una sentenza della Corte di Appello di
Genova che aveva dato ragione all’ex marito che si era rifiutato di mantenere il
figlio che, ormai maggiorenne, era da alcuni anni a capo di una attività
commerciale, nonostante gli affari non andassero bene. Per la Suprema Corte,
infatti, pur essendo vero che il figlio non aveva l’indipendenza economica, la
soluzione preferibile sarebbe stata quella di cambiare lavoro, cosa non
difficile per chi sia in possesso di capacità ed esperienze lavorative,
piuttosto che insistere nel mantenimento di una attività non redditizia.

 


CASSAZIONE
CIVILE, Sezione I, Sentenza n. 26259 del 02/12/2005 (Presidente: M. G. Luccioli;
Relatore: P. Giuliani)

LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I
CIVILE

SENTENZA

SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO

Con ricorso
in data 12/13.5/1995, A.M. B. chiedeva al Tribunale di Savona di pronunciare la
separazione personale dal marito, G. T., affidandole il figlio M., all’epoca
minore, assegnandole la casa familiare di proprietà comune, fissando a carico
del coniuge un assegno a titolo di mantenimento del figlio stesso, nonchè
condannando la parte avversa alla rifusione delle somme sborsate per far fronte
ai mutui contratti in costanza di matrimonio per le necessità domestiche.

Si costituiva
il convenuto, non opponendosi alla separazione, ma chiedendo la divisione del
patrimonio mobiliare ed immobiliare appartenente alla coppia.

Il Giudice
adito, con sentenza n. 409 del 2002, pronunciava la separazione dei coniugi,
assegnava l’abitazione anzidetta alla moglie, senza peraltro riconoscere un
conseguente corrispettivo al marito per l’uso della quota di comproprietà,
respingeva, per difetto di prova, le domande, spiegate dalla B., rispettivamente
intese ad ottenere la determinazione di un contributo al mantenimento del figlio
(divenuto maggiorenne ormai, ma, secondo l’istante, non autonomo economicamente)
ed il rimborso dei ratei di mutuo pagati anche per conto del T. quale debitore
comune e solidale, dichiarava, infine, inammissibile la domanda, avanzata da
quest’ultimo, volta a conseguire la divisione dl patrimonio comune.

Avverso la
decisione, proponeva appello la stessa B., quanto alla mancata determinazione, a
carico del coniuge, dell’assegno per il figlio ed al mancato accoglimento
dell’istanza di rifusione delle somme corrisposte nell’interesse di entrambi.

Resisteva nel
grado l’appellato, chiedendo il rigetto del gravame e spiegando, a propria
volta, appello incidentale mediante il quale insisteva affinchè si provvedesse
alla divisione dei beni comuni ed al riconoscimento in suo favore di un
indennizzo per il godimento della casa familiare attribuito alla moglie.

La Corte
territoriale di Genova, con sentenza in data 8.23/11/2002, parzialmente
riformando la pronuncia impugnata, dichiarava inammissibile la domanda della B.
volta ad ottenere la rifusione della metà delle somme erogate per il
soddisfacimento dei mutui contratti dai coniugi in costanza di convivenza,
condannava la stessa B. a corrispondere al marito, a titolo di corrispettivo del
godimento dell’alloggio di comune proprietà assegnatole, respingendo i capi di
appello ulteriori.

Assumeva, per
quanto qui interessa, detto Giudice: che il T. avesse dimostrato per tabulas che
il figlio, da sei anni ormai, gestiva un’attività commerciale, non rilevando,
in contrario, il preteso andamento negativo dei relativi affari; che il
passaggio in giudicato della pronuncia di separazione dovesse preesistere al
momento della proposizione della domanda di scioglimento della comunione in
primo grado, onde, essendo tale situazione divenuta irrevocabile solo dopo la
decisione del Tribunale, la divisione del patrimonio comune non poteva essere
richiesta che in separato giudizio; che la domanda del T. volta ad ottenere, a
carico della controparte, l’attribuzione di una somma a titolo di corrispettivo
per il godimento della casa, fosse ammissibile ed accoglibile, giacchè,
rispettivamente, per un verso atteneva alla regolamentazione di una circostanza
(come, appunto, l’utilizzo dell’immobile) sicuramente capace di rientrare nella
materia tipica del giudizio di separazione, mentre, per altro verso,
l’equivalenza delle situazioni reddituali imponeva il riequilibrio delle
posizioni a beneficio del coniuge il dell’alloggio era rimasto privo e che aveva
dovuto necessariamente affrontare il problema della sistemazione abitativa,
sostenendo esborsi non trascurabili, documentati nella specie dall’appellato.

Avverso tale
sentenza, ricorre per cassazione la B., deducendo tre motivi di gravame ai quali
resiste con controricorso il T., il quale, a propria volta, spiega ricorso
incidentale condizionato affidato ad un solo motivo, illustrando l’uno e l’altro
con memoria, depositata, peraltro, il 7 settembre 2005, ovvero fuori del termine
previsto dall’art. 378 c.p.c., cui trova applicazione la sospensione nel periodo
feriale (Cass. 19 maggio 1990, n. 4524), il quale, quindi, è venuto a scadere,,
nella specie, il 30 luglio 2005.


MOTIVI DELLA
DECISIONE

Deve, innanzi
tutto, essere ordinata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 333 e 335
c.p.c., la riunione di entrambi i ricorsi, relativi ad altrettante impugnazioni
separatamente proposte contro la stessa sentenza.

Con il primo
motivo di gravame, lamenta la ricorrente principale violazione o falsa
applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3, c.p.c., assumendo: che non
si comprende su quale base giuridica la Corte territoriale abbia potuto
accogliere la domanda ex adverso formulata in ordine alla condanna di essa
ricorrente al pagamento dell’indennità di occupazione dell’appartamento di cui
è assegnataria, visto che su tale domanda la difesa della medesima ricorrente
aveva dichiarato di non accettare il contraddittorio, trattandosi di una domanda
nuova, avanzata tardivamente e, quindi, inammissibile; che di tale domanda non
si trova traccia alcuna negli scritti difensivi del T. redatti anteriormente
alla precisazione delle conclusioni davanti al Giudice di prime cure; che lo
stesso T., infatti, solo in tale ultima sede aveva chiesto che il Tribunale
condannasse la moglie alla corresponsione dell’indennità di occupazione della
casa coniugale; che detto Giudice non accoglieva la domanda di cui sopra,
trattandosi di domanda irritale, tardiva ed inammissibile, sulla quale la
ricorrente non aveva accettato il contraddittorio; che l’assunto della B., se è
stato condiviso dal primo Giudice, non è stato neppure preso in considerazione
dalla Corte territoriale, benchè nell’atto di appello e nella memoria
istruttoria autorizzata il difensore della medesima ricorrente avesse rivolto
esplicito richiamo all’eccezione per cui è controversia ed avesse
contestualmente reiterato tutte le difese agli atti, dichiarando di non avere
accettato e di non accettare il contraddittorio su domande ed eccezioni nuove,
tra le quali la domanda di indennizzo per l’occupazione ex adverso formulata in
sede di precisazione delle conclusioni, onde, nella specie, l’atteggiamento
processuale della B. è stato immediatamente e tempestivamente oppositivo; che,
in definitiva, la Corte territoriale avrebbe dovuto confermare la sentenza di
primo grado, dichiarando irritale, inammissibile, tardiva e non suscettibile di
accoglimento la domanda formulata dal T,. per la prima volta in sede di
precisazione delle conclusioni, cosi’ da non accoglierla la dove ribadita da
controparte in grado di appello.

Con il
secondo motivo di gravame, del cui congiunto esame con il precedente si palesa
l’opportunità involgendo ambedue le trattazioni di questioni strettamente
connesse, lamenta la ricorrente principale vizio in procedendo, ex art. 360, n.
4, c.p.c., deducendo: che la sentenza impugnata si presenta illegittima anche
sotto il profilo dell’errata valutazione degli elementi processuali da parte
dell’Autorità giudicante, la quale ha omesso di valutare gli atti nella loro
completezza ontologica e, soprattutto, di tenere conto delle eccezioni sollevate
in tema di contraddittorio dalla difesa della B., secondo quanto sopra esposto;
che la Corte territoriale è incorsa, nell’ipotesi di specie, in un vizio in
procedendo, su cui ha facoltà e competenza a giudicare ed a provvedere la Corte
di Cassazione, nel senso che l’accertamento in ordine alla novità o meno della
domanda, formulata in sede di precisazione delle conclusioni, rientra nei poteri
del Supremo Collegio, tenuto ad esaminare direttamente gli atti processuali nel
caso di denuncia appunto di un vizio in procedendo; che la B. ha eccepito
tempestivamente, nella sede anzidetta, la tardività e l’irritualità della
domanda nuova ex adverso avanzata in quella medesima sede, si che tale istanza
veniva respinta dal Giudice di prime cure, onde analoga condotta avrebbe dovuto
osservare, sotto il profilo processuale, il secondo Giudice relativamente
all’identica domanda proposta con appello incidentale, sulla quale sin dal
giudizio di primo grado la difesa della B. aveva dichiarato di non accettare il
contraddittorio.

I due motivi
non sono ammissibili.

La Corte
territoriale, infatti, nell’impugnata sentenza, ha affermato che la domanda del
T., di attribuzione a carico ella controparte di una somma a titolo di
corrispettivo per il godimento della casa, è ammissibile, fondata ed
accoglibile, ritenendola in particolare ammissibile giacchè attiene alla
regolamentazione di una circostanza (utilizzo della casa coniugale) che rientra
pacificamente nella materia tipica del giudizio di separazione.

appare,
dunque, palese come detta Corte, cosi’ argomentando ed, in particolare,
espressamente riconoscendo l’ammissibilità della domanda in questione, ne
abbia, per implicito, escluso la novità, fondando un simile apprezzamento sopra
l’esplicita considerazione secondo cui tale domanda attiene alla
regolamentazione di una circostanza (utilizzo della casa coniugale) che rientra
pacificamente nella materia tipica del giudizio di separazione.

Orbene,
l’odierna ricorrente principale, attraverso i due motivi in esame, si è
limitata a censurare la sentenza impugnata esclusivamente sotto il profilo della
denunciata novità della domanda medesima a causa della sua proposizione in sede
di precisazione delle conclusioni, senza, tuttavia, minimamente censurare
l’esplicito assunto, come sopra riportato e consistente (lo si ripete) nel fatto
che tale domanda attiene alla regolamentazione di un circostanza (utilizzo della
casa coniugale) che rientra pacificamente nella materia tipica del giudizio di
separazione, posto dal Giudice di merito a base dell’implicita affermazione
circa la mancanza della lamentata novità in capo alla domanda anzidetta, onde,
in questo senso, la ratio decidendi sottesa alla statuizione di ammissibilità
non risulta specificamente (ed integralmente) colta attraverso le relative
doglianze della stessa ricorrente.

Con il terzo
motivo di gravame, quest’ultima lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione relativamente al rigetto dell’istanza di riconoscimento dell’assegno
di mantenimento del figlio, ex art. 360, n. 5, c.p.c., deducendo: che la Corte
territoriale non ha completamente valutato i documenti in atti e non ha
confermato il provvedimento presidenziale riguardo all’assegno di mantenimento
da corrispondere al figlio M.; che nessuna prova ha offerto il padre, malgrado
l’onere relativo gravasse su di lui, circa il raggiungimento della sopravvenuta
sufficienza economica da parte del figli

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