Corte Costituzionale

Inammissibile la questione di leggittimità costituzionale sul foro erariale nel processo civile – CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n 71 del 24/02/2006

E’ manifestamente inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 6, comma secondo, del r.d. n. 1611 del
1933, sollevata dalla Corte di cassazione – in riferimento all’art. 25, comma
primo, Cost. – nella parte in cui “prevede, in caso di chiamata in giudizio
dello Stato, che la competenza si radichi, alternativamente, nel foro erariale o
in quello naturale in base al mero esercizio discrezionale di scelta
dell’amministrazione”.
Secondo la Corte l’ordinanza di rimessione, nel censurare la norma che riconosce
alla pubblica amministrazione il potere di far valere o no l’incompetenza del
giudice adito in favore di quello del cosiddetto “foro erariale”, non lascia
comprendere se si censuri la circostanza che parti private possano essere
distolte dal loro giudice naturale, ovvero la circostanza che la pubblica
amministrazione possa sottrarsi al suo giudice naturale, non avanzando la
richiesta di cui alla norma censurata

 


CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n 71 del 24/02/2006


(Presidente A. Marini – Relatore R. Vaccarella )


 

RITENUTO

che la Corte di cassazione ” investita di un ricorso per regolamento di
competenza, proposto avverso una sentenza con cui il Tribunale ordinario di
Pisa, all’esito di un giudizio civile tra parti private, nel quale era stato
chiamato a intervenire, iussu iudicis, il Ministero per i beni e le attività
culturali, ha dichiarato la propria incompetenza territoriale, per essere
competente il Tribunale ordinario di Firenze, quale “foro della pubblica
amministrazione” ” ha sollevato, con ordinanza del 26 luglio 2004, questione di
legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 25, comma primo, della
Costituzione, dell’art. 6, comma secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n.
1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla
rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento
dell’Avvocatura dello Stato), nella parte in cui “prevede, in caso di chiamata
in giudizio dello Stato, che la competenza si radichi, alternativamente, nel
foro erariale o in quello naturale in base al mero esercizio discrezionale di
scelta dell’amministrazione”;

che, in punto di fatto, la Corte rimettente riferisce che, nel corso di un
giudizio tra privati avente ad oggetto l’accertamento del diritto di proprietà
pro quota di una scultura archeologica, l’adito Tribunale ordinario di Pisa, in
composizione monocratica, aveva ordinato, ai sensi dell’art. 107 del codice di
procedura civile, la chiamata in causa del Ministero per i beni e le attività
culturali, il quale, costituitosi, ha eccepito l’incompetenza territoriale del
predetto Tribunale, essendo competente il Tribunale ordinario di Firenze, a
norma dell’art. 25 cod. proc. civ.;

che, avendo il giudice accolto l’eccezione, l’attore ha impugnato la sentenza
dichiarativa dell’incompetenza con l’istanza di regolamento, ai sensi dell’art.
42 cod. proc. civ., sostenendo che il “foro erariale” trova applicazione
soltanto nei processi davanti a giudici collegiali, dal momento che l’art. 7 del
regio decreto n. 1611 del 1933 deve essere interpretato, alla luce del decreto
legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice
unico di primo grado), nel senso che la previsione dei “giudizi innanzi ai
pretori ed ai conciliatori”, per i quali “le norme ordinarie di competenza
rimangono ferme, anche quando sia in causa un’amministrazione dello Stato”, si
riferisce oggi ai giudizi già innanzi ai pretori ed ora innanzi ai tribunali in
composizione monocratica;

che il Ministero per i beni e le attività culturali ha resistito
all’impugnazione, chiedendo che, a conferma dell’impugnata sentenza, sia
dichiarata la competenza del Tribunale ordinario di Firenze, a norma dell’art. 6
del regio decreto n. 1611 del 1933 e che il ricorrente, a sua volta, ha eccepito
l’illegittimità costituzionale di tale norma;

che la Corte rimettente ” rilevato, preliminarmente, che la normativa del
decreto legislativo n. 51 del 1998, essendo entrata in vigore il 2 giugno 1999,
è irrilevante, a norma dell’art. 5 cod. proc. civ., ai fini della
determinazione della competenza, posto che il giudizio è stato instaurato con
citazione notificata il 14 gennaio 1999 ” osserva che la competenza a giudicare
la controversia de qua va determinata in base all’art. 25 cod. proc. civ. e
all’art. 6 del regio decreto n. 1611 del 1933, il quale ” dopo aver stabilito
(al primo comma, il cui disposto è stato poi recepito nell’art. 25 cod. proc.
civ.) che “la competenza per cause nelle quali è parte una amministrazione
dello Stato, anche nel caso di più convenuti [ ], spetta al tribunale o alla
corte di appello del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato
nel cui distretto si trova il tribunale o la corte d’appello che sarebbe
competente secondo le norme ordinarie” ” prevede (al secondo comma) che, “quando
un’amministrazione dello Stato è chiamata in garanzia, la cognizione cosi’
della causa principale come della azione in garanzia è devoluta, sulla semplice
richiesta dell’amministrazione, con ordinanza del presidente, all’autorità
giudiziaria competente a norma del comma precedente”;

che tale ultima disposizione si applica anche nei casi in cui il giudice ordini
l’intervento di un’amministrazione statale, cui ritenga comune la causa, ai
sensi dell’art. 107 cod. proc. civ., come già affermato dallo stesso giudice di
legittimità (Cass. 17 aprile 1982, n. 2340);

che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che, alla
stregua del richiamato indirizzo interpretativo, dovrebbe essere dichiarata la
competenza del Tribunale ordinario di Firenze, ove ha sede l’Avvocatura dello
Stato, poichè il Ministero, chiamato in causa iussu iudicis, ha chiesto
l’applicazione del foro erariale, ai sensi dell’art. 6, comma secondo, del regio
decreto n. 1611 del 1933;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice
rimettente osserva che la norma denunciata, collegando ” nel caso di chiamata in
garanzia ovvero per ordine del giudice ” l’applicazione del “foro erariale” alla
mera richiesta dell’amministrazione statale, intervenuta coattivamente in
giudizio (ex art. 106 o 107 cod. proc. civ.), e, quindi, facendo dipendere da
tale richiesta lo spostamento del giudice competente a conoscere della causa
principale, sembra porsi in contrasto con l’art. 25, comma primo, Cost., poichè
le parti di detta causa vengono distolte dal “giudice naturale precostituito per
legge” in ordine alla stessa causa, per effetto di una scelta rimessa alla
libera volontà dell’amministrazione e non disciplinata in alcun modo dalla
legge;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha
concluso per l’inammissibilità ovvero l’infondatezza della questione,
osservando, in linea preliminare, che, nel caso di specie, si versa in
un’ipotesi non già di “chiamata in garanzia”, prevista dall’art. 6, comma
secondo, del regio decreto n. 1611 del 1933, bensi’ di “comunanza di causa”, cui
si applica la disposizione del primo comma del medesimo art. 6 e che, secondo un
consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il cosiddetto
“foro erariale” è inderogabile ed attrae l’intera controversia, in caso sia di
litisconsorzio necessario, sia di litisconsorzio facoltativo, sia di
litisconsorzio successivo a seguito di intervento coatto, sicchè, in tali casi,
non sussiste alcun margine di discrezionalità nello spostamento della causa
innanzi al tribunale del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello
Stato;

che, inoltre, la Corte costituzionale, con ripetute pronunce, ha ritenuto
conforme a Costituzione la normativa dell’art. 25 cod. proc. civ. e del regio
decreto n. 1611 del 1933, osservando che “la regola del foro dello Stato, per un
verso non menoma in modo apprezzabile l’esercizio del diritto di difesa da parte
del singolo, nè sotto il profilo del costo nè sotto quello del disagio; per
altro verso ha una adeguata giustificazione nelle ragioni di interesse generale
(ridondanti anche a beneficio dei singoli), collegabili al soddisfacimento
dell’esigenza di concentrare ” in vista di un servizio organizzato in modo da
importare minori oneri e migliori risultati per la collettività ” gli uffici
dell’Avvocatura dello Stato e dell’esigenza di concentrare ” ancora una volta in
vista del migliore rendimento del servizio ” i giudizi cui partecipa lo Stato
presso un numero ristretto di sedi giudiziarie” (ordinanza n. 189 del 1989);

che, in tale contesto, la questione è infondata, in quanto la norma denunciata
rende derogabile (su eccezione di parte) un foro che, per regola generale, è
automatico e inderogabile, cosi’ rimettendo, ragionevolmente, al prudente
apprezzamento della parte pubblica chiamata in causa la valutazione della
rilevanza dell’interesse pubblico coinvolto nel giudizio.

CONSIDERATO

che la Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale, in
riferimento all’art. 25, comma primo, della Costituzione, dell’art. 6, comma
secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo
unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in
giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato), in quanto,
collegando ” nel caso di chiamata in garanzia ovvero per ordine del giudice ”
l’applicazione del “foro erariale” alla mera richiesta dell’amministrazione
statale, intervenuta coattivamente in giudizio (ex art. 106 o 107 del codice di
procedura civile), e, quindi, facendo dipendere da tale richiesta lo spostamento
del giudice competente a conoscere della causa principale, distoglie le parti di
detta causa dal “giudice naturale precostituito per legge”, per effetto di una
scelta rimessa alla libera volontà dell’amministrazione e non disciplinata in
alcun modo dalla legge;

che la questione è manifestamente inammissibile, in quanto l’ordinanza di
rimessione, nel censurare la norma che riconosce alla pubblica amministrazione
il potere di far valere o non l’incompetenza del giudice adito in favore di
quello del cosiddetto “foro erariale”, non lascia comprendere se la pretesa
violazione del precetto di cui all’art. 25 Cost. sia ravvisata nella circostanza
che le parti private sono distolte dal giudice naturale da esse individuato
secondo le regole ordinarie ovvero nella circostanza che, potendo la pubblica
amministrazione non proporre l’eccezione d’incompetenza, ad essa sia consentito,
a suo libito, di sottrarsi al criterio inderogabile del “foro erariale”; in
sintesi, non è dato comprendere se si censuri la circostanza che parti private
possano essere distolte dal loro giudice naturale ovvero la circostanza che la
pubblica amministrazione possa sottrarsi al suo giudice naturale, non avanzando
la richiesta di cui alla norma censurata;

che, nel primo caso, risolvendosi la censura nella contestazione della stessa
previsione del “foro erariale”, è evidente che la Corte rimettente avrebbe
dovuto fare oggetto dei suoi rilievi l’art. 25 cod. proc. civ. (ovvero l’art. 6,
comma primo, del regio decreto n. 1611 del 1933), cosi’ come è evidente che,
nel secondo caso, la questione è irrilevante nel giudizio a quo, in quanto per
tale giudizio è stata dichiarata la competenza del giudice naturale della
pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 25 cod. proc. civ.

Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma
2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte Costituzionale

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 6, comma secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n.
1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla
rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento
dell’Avvocatura dello Stato), sollevata, in riferimento all’art. 25, comma
primo, della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l’ordinanza in
epigrafe.

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