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Danno da perdita da chance: aspetti probatori – Cassazione Civile, Sentenza n. 20351/2010

Fermo restando che è unanimemente riconosciuta, da parte della dottrina e della giurisprudenza, la configurabilità del danno da perdita di chance, la vicenda giudiziaria in esame verte fondamentalmente sulle modalità processuali attraverso le quali far valere tale diritto. Ma, in materia, i Giudici della Suprema Corte non fanno altro che confermare quanto già altre volte puntualizzato in tema di onus probandi quando si lamenta un danno da perdita di chance. In sintesi, il danneggiato deve sempre fornire la prova della esistenza di elementi oggettivi, attraverso i quali il Giudice può desumere, in termini di certezza o di alta probabilità, l’esistenza del pregiudizio economico che si lamenta. Tale prova può essere fornita anche a mezzo di presunzioni.

Nel caso di specie, al contrario, non solo il danneggiato non aveva provveduto a fornire “la prova dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile”, per quanto era stato accertato che la vittima aveva iniziato “la propria attività lavorativa all’età di sedici anni; che è attualmente idonea al lavoro; che esercita un’attività lavorativa richiedente un certo grado di specializzazione ed una buona abilità manuale; che non presenta esiti minorativi in relazione alla sua capacità lavorativa attuale; che non ha subito o subirà una perdita della sua futura, specifica capacità di guadagno”. Pertanto, la domanda di riforma non veniva accolta. Tra i precedenti favorevoli si ricordano: Cass. Civ., sent. n. 11353/2010; Cass. Civ., sent. n. 4052/2009; Cass. Civ., sent. 1850/2009; si veda anche l’interessante pronuncia del Consiglio di Stato, V sez., sent. n. 3736/2010, con la quale i Giudici di Palazzo Spada hanno condannato la regione Puglia a risarcire un candidato non selezionato (a causa di una valutazione erronea circa le prove d’esame), quantificando il danno da perdita di chance in via equitativa, e, precisamente, pari ad “un terzo del compenso che avrebbe ricavato se avesse ottenuto l’incarico”.

Samantha Mendicino

Cassazione Civile, Sezione Seconda. sentenza n. 20351 del 28/09/2010

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 28 settembre 2010, n. 20351

Svolgimento del processo

G. D. P. e M. L., in qualità di legali rappresentanti del figlio minore A. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Modena, A. M. e la compagnia di assicurazioni Phenix-Soleil s.p.a., ora Gan Italia s.p.a., per sentir dichiarare l’esclusiva responsabilità del medesimo convenuto in ordine all’incidente stradale nel quale il minore era stato investito dall’auto del M..

Si costituiva la compagnia assicuratrice contestando la domanda dei D. P. mentre veniva dichiarata la contumacia di A. M. che si costituiva poi con domanda riconvenzionale.

Il Tribunale dichiarava che il sinistro era avvenuto per colpa dell’attore nella misura del 70% e del convenuto nella misura del 30% e condannava quindi la Phenix Soleil al risarcimento dei danni in favore dell’attore; in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale condannava G. D. P. e M. L. al risarcimento dei danni in favore di A. M..
Proponeva appello A. D. P. chiedendo che la responsabilità del sinistro del quale era rimasto vittima venisse imputata esclusivamente ad A. M. e che la Phenix Soleil fosse condannata a pagargli l’ulteriore somma di L. 136.819.459.

Si costituivano gli appellati chiedendo che il D. P. fosse dichiarato unico responsabile del sinistro e tenuto a restituire la somma di L. 21.363.000 oltre accessori, corrisposta dalla compagnia assicuratrice in esecuzione della sentenza di primo grado e, in accoglimento della domanda riconvenzionale del M., fosse condannato all’integrale risarcimento.

La Corte d’Appello di Bologna confermava l’attribuzione della responsabilità alle parti come determinata dal Tribunale; respingeva perché domanda nuova inammissibile in secondo grado quella dell’appellante volta ad ottenere la liquidazione del danno patrimoniale da invalidità permanente in quanto non specificamente richiesta in primo grado; escludeva la riduzione del 10% a titolo di scarto fra vita fisica e vita lavorativa; dichiarava inammissibile la riconvenzionale del M.; confermava la statuizione di primo grado nella valutazione del sinistro e nell’esclusione del danno morale.
Proponeva ricorso per Cassazione il D. P..

Questa Corte riconosceva a costui il danno morale e il danno patrimoniale e rinviava gli atti alla Corte d’Appello di Bologna.

D. P. riassumeva il processo nei confronti della Gan Italia s.p.a. (già Phenix Soleil s.p.a.) e di A. M.. Si costituiva soltanto la compagnia assicuratrice. La Corte distrettuale, pronunciando in sede di rinvio dalla Suprema Corte (sentenza n. 3625/97) sull’appello proposto da A. D. P. avverso la sentenza del 9.3.1990 n. 349 del Tribunale di Modena, condannava la Gan Italia s.p.a. a rifondere all’appellante la metà delle ulteriori spese processuali.
Proponeva ricorso per cassazione A. D. P. formulando due mezzi d’impugnazione.

Motivi della decisione

Con i due mezzi di impugnazione, da esaminare congiuntamente attesane l’intrinseca connessione, parte ricorrente rispettivamente denuncia: 1) «Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo e controverso del risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa e di prova dello stesso nel caso di grave menomazione psico-fisica riportata da un minore in età della scuola dell’obbligo e, quindi, prelavorativa (art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.)»; 2) «Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 Cost., 1223, 1226, 2043, 2056, 2727 e 2729 c.c. (art. 360 primo comma, n. 1 c.p.c.)».

Parte ricorrente critica l’impugnata sentenza sia perché ha negato la perdita della sua futura, specifica capacità di guadagno; sia perché ha fatto propria la c.t.u., ritenuta insoddisfacente; sia perché ha negato che lo stesso A. D. P. sia rimasto pregiudicato nelle sue chances future. Per altro verso critica la suddetta sentenza per aver violato il diritto alla tutela della salute della vittima e al risarcimento dei danni.

Entrambi i motivi sono infondati.

Ha infatti accertato l’impugnata sentenza, sulla scorta della C.t.u., che la vittima ha iniziato la propria attività lavorativa all’età di sedici anni; che è attualmente idonea al lavoro; che esercita un’attività lavorativa richiedente un certo grado di specializzazione ed una buona abilità manuale; che non presenta esiti minorativi in relazione alla sua capacità lavorativa attuale; che non ha subito o subirà una perdita della sua futura, specifica capacità di guadagno.
Tali rilievi, attinenti al merito della decisione, sono insuscettibili di critica in sede di legittimità, in presenza di una motivazione congrua, seppur sintetica, e comunque immune da vizi logici o giuridici.

Quanto in particolare alla dedotta perdita di chances deve rilevarsi che a ragione tale perdita non è stata riconosciuta perché non è stata fornita la prova dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (Cass., 11.5.2010, n. 11353; Cass., 19.2.2009, n. 4052).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato mentre la peculiarità della fattispecie e delle vicende processuali inducono alla compensazione delle spese del processo di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del processo di cassazione

 

 

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