CivileGiurisprudenza

L’immigrato coniugato con cittadino italiano non può essere espulso anche se non convivente – Cassazione Civile, Sentenza 22230/2010

Non puo’ essere espulso l’immigrato, il cui permesso di soggiorno e’ scaduto, che temporaneamente non convive con il coniuge italiano. La mancata convivenza dettata da “ragioni economiche”, dice la Cassazione, puo’ rendere nullo il decreto di espulsione emesso dal prefetto. In questo modo, la Prima sezione civile ha dichiarato inammissibile il ricorso del ministero dell’Interno che chiedeva che venisse applicato il decreto di espulsione notificato il 13 luglio del 2007 dal Prefetto di Varese nei confronti di un extracomunitario il cui permesso di soggiorno non era stato rinnovato alla luce della “mancata convivenza” con la consorte italiana.

Gia’ il giudice di Pace di Varese, nel novembre 2007, aveva dato ragione all’extracomunitario sostenendo che egli risultava sposato con una cittadina italiana e che la mancata convivenza al momento del controllo era dettata “esclusivamente da ragioni economiche”. Contro questa decisione il Viminale ha fatto ricorso in Cassazione, sostenendo che, tra l’altro, non era stato chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno.

Piazza Cavour – sentenza 22230 – ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal ministero e, pur riconoscendo che “il riconoscimento della convivenza con il coniuge di nazionalita’ italiana non e’ presumibile in base all’esistenza del matrimonio e deve essere provata dall’espulso”, ha rilevato che “il giudice di merito, con apprezzamento di fatto congruamente motivato, ha ritenuto che nella specie non vi e’ stata separazione giudiziale o consensuale – circostanza incontroversa – e che la mancata convivenza al momento dipende esclusivamente da ragioni economiche”. Sufficienti per non determinare l’allontanamento dell’immigrato dal nostro territorio.

Cassazione Civile, Sezione Prina Sentenza n. 22230 del 29/10/2010

Rilevato in fatto

che il giudice di pace di Varese, con provvedimento del 6 novembre 2007 accoglieva l’opposizione proposta da [OMISSIS] avverso il decreto di espulsione emesso in suo danno dal prefetto di Varese, notificato il 13 luglio 2001, poiché egli risultava coniugato con una cittadina italiana, osservando che la mancata convivenza al momento dipende esclusivamente da ragioni economiche che per la cassazione di detto provvedimento hanno proposto ricorso il ministero dell’ Interno ed il Prefetto di Varese, affidato a tre motivi; ha resistito con controricorso [OMISSIS]; che è stata depositata e notificata alla parti relazione ex art. 380 bis c.p.c.

considerato in diritto

che il ricorso proposto dal ministero dell’Interno è manifestamente inammissibile poiché nel giudizio di opposizione al provvedimento prefettizio di espulsione dello straniero spetta al Prefetto, quale autorità che ha emesso il provvedimento impugnato, la legittimazione esclusiva, personale e permanente a contraddire in giudizio, anche nella fase di legittimità (Cass. n. 25360 del 2006; n. 16206 del 2004; n. 28569 del 2005; n. 1748 del 2003);

che il primo motivo con il quale si denuncia violazione dell’art. 19, comma 2, lett. c. del Decreto legislativo n. 286/1998 (art. 360 n. 3 c.p.c.) deducendo che, nel caso di straniero coniugato con una cittadina italiana, il difetto di convivenza, in virtù del principio enunciato da Cass. n. 2539 del 2005, escluderebbe il presupposto per derogare il divieto di espulsione, non distinguendo la norma citata a seconda che il difetto di convivenza sia dovuto o meno a ragioni economiche ed in ordine a detto profilo il formulato quesito di diritto è manifestamente infondato perché se vero che, ai fini del riconoscimento della sussistenza del divieto di espulsione amministrativa, previsto dall’art. 19, comma 2, lettera c, del d. lgs. 25 luglio 1998, n.. 286, a beneficio dello straniero convivente con il coniuge di nazionalità italiana il riconoscimento di tale convivenza non è presumibile in base all’esistenza del matrimonio e deve essere provato dall’espulso, restando escluso dall’accertamento circa la sussistenza di uno stato di separazione sia legale che giudiziale o consensuale, ex art. 150, secondo comma, cod. civ., sia di fatto tale da determinare la cessazione dei rapporti materiali e spirituali alla base della comune organizzazione domestica, ovvero del consortium vitae (Cass. n. 118220 del 2006; n. 2329 del 2005) è altresì vero che il giudice del merito, con apprezzamento di fatto congruamente motivato, ha ritenuto che nella specie non v’è stata separazione giudiziale o consensuale circostanza incontroversa e che la mancata convivenza al momento dipende esclusivamente da ragioni economiche, formulando un apprezzamento di fatto in ordine al carattere del tutto transeunte della mancata convivenza, implicitamente reputandola tale da non incidere appunto sulla sussistenza del requisito, anche in considerazione delle ragioni che l’hanno determinata;

che il secondo motivo, con il quale si denuncia violazione dell’art. 13, comma 2, le. b), d.lqs n. 286 del 1998, art. 360 n. 2 c.p.c.) deducendo che il decreto di espulsione era stato emesso anche in quanto non era stato chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno e, stante il carattere vincolato di tale atto, lo stesso doveva essere emesso e siffatta circostanza sarebbe stata ignorata dal giudice di pace, e il terzo motivo con il quale i ricorrenti denunciano omessa motivazione su di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.), nella parte in cui il provvedimento impugnato non ha motivato in ordine alla sussistenza della causa di espulsione prospettata nel secondo motivo, sono manifestamente inammissibili per difetto di interesse ad agire, necessario anche ai fini dell’impugnazione del provvedimento giudiziale, da apprezzare in relazione alla utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e che non è integrato da un mero interesse astratto ad una corretta soluzione di una questione giuridica non avente riflessi pratici sulla decisione adottata (Cass. n.13593 del 2006; n. 15623 del 2005);

che le spese seguono la soccombenza;

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero e rigetta il ricorso proposto dal Prefetto di Varese; condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese con 1.100,00 di cui 100, 00 per esborsi.

Depositata in Cancelleria il 29.10.2010

 

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