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Sanatoria liti fiscali ultradecennali off-limits per le istanze di rimborso – Cassazione Civile, Sentenza n. 23786/2010

Diversamente, si arriverebbe alla conseguenza assurda che il fisco incassa il 5% ma deve pagare il 100%

Non è ammessa la sanatoria delle controversie pendenti in Cassazione se si tratta di una causa in cui si chiede il rimborso di un’imposta. Inoltre, nel caso di restituzioni parziali, il contribuente ha l’onere di impugnare la parte non rimborsata dal fisco entro 60 giorni, trattandosi di un “rifiuto espresso”.
Ad affermare i due principi è la Corte di cassazione con la sentenza n. 23786 del 24 novembre. Con tale pronuncia (e con la precedente n. 21714/2010), la Sezione tributaria è intervenuta su un aspetto particolare dell’applicabilità dell’articolo 3 del decreto legge 40/2010, individuando i limiti per l’accesso alla sanatoria sulle liti fiscali ultradecennali.
 
Vicenda processuale
Le competenti Commissioni tributarie provinciali e regionali hanno accolto il ricorso del coniuge erede di un contribuente, riconoscendogli il diritto di rimborso (per ritenute d’acconto illegittimamente trattenute), a seguito esecuzione parziale del rimborso da parte dell’ente impositore.
Il contribuente ha poi impugnato con ricorso per cassazione la sentenza della Commissione tributaria centrale a lui sfavorevole, affidandolo a censure con le quali eccepisce, partitamente, vizio di extrapetizione per avere il giudice a quo ritenuto esistente una circostanza impeditiva del rimborso nonché l’infondatezza della deduzione dell’ufficio di decadenza del contribuente dal diritto al rimborso per la parte non eseguita, dovendosi invece ritenere che anche tale diritto si prescriva nel termine ordinario di cui all’articolo 2946 cc.
 
La decisione sulla lite pendente
La Corte di cassazione rigetta il ricorso ravvisando preliminarmente l’inefficacia dell’istanza di estinzione della lite pendente presentata dal contribuente, in quanto non corrispondente alle emergenze normative del provvedimento di legge.
In realtà, nella vicenda esaminata dal giudice di legittimità è già dubbio che si trattasse di un caso di “doppia conforme”, perché è vero che il contribuente era risultato vittorioso davanti le due Commissioni di merito, ma era rimasto perdente dinanzi alla Commissione centrale. Quest’ultima pronuncia, favorevole all’Amministrazione fiscale, fa infatti “venire meno quella presunzione o probabilità di infondatezza della pretesa tributaria che appare essere la ratio legis sostanziale unitamente all’esigenza di contenimento della durata dei processi tributari”, come risulta dall’inciso che figura nell’ultima parte del comma 2-bis dell’articolo 3 del Dl 40/2010.
 
Ma anche a voler superare questo dubbio, la Cassazione si pone però quello della possibilità di estinguere con il 5% dell’importo del ricorso la controversia che ha per oggetto un’istanza di rimborso. La sua definizione dovrebbe comportare un versamento del 5% a fronte del quale il contribuente dovrebbe avere diritto all’integrale restituzione. Quindi con il pagamento del 5%, l’Amministrazione finanziaria dovrebbe sopportare un onere economico del restante 95%. Una conseguenza definita “assurda” dal Collegio giudicante, aggiunta alla circostanza che il contribuente non avrebbe neppure interesse a pagare un importo del 5%, perdendo poi il diritto a ottenere il rimborso della parte residua del credito richiesto.
 
La conclusione, pertanto, non può essere che scontata, ed è l’inammissibilità della sanatoria per questa particolare tipologia di controversie. Ciò, del resto, conformemente alla soluzione data nel giugno scorso dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 37.
 
Per quanto concerne le modalità della definizione in esame, si osserva infatti che la legge 73/2010, nel convertire il Dl n. 40, ha previsto un meccanismo differenziato, a seconda dell’organo giurisdizionale innanzi al quale è pendente la controversia: la lettera a) dell’articolo 3, comma 2-bis L’Agenzia delle Entrate ritiene che tale esclusione trovi applicazione anche all’ipotesi di controversia pendente in Cassazione, posto che la successiva lettera b) stabilisce che per la definizione delle controversie pendenti in Cassazione, “in ogni caso non si fa luogo a rimborso”. E’ evidente quindi che il richiamato disposto normativo esclude – per entrambe le fattispecie – la possibilità di ottenere, per effetto anche riflesso della definizione, qualsiasi somma a rimborso, dovendosi ritenere circoscritto il relativo ambito agli atti di accertamento e rettifica, esclude espressamente dalla definizione agevolata i giudizi “aventi ad oggetto le istanze di rimborso”, pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale.
 
Costrutto che, del resto, corrisponde a una lettura costituzionalmente orientata della norma, pena la palese confliggenza con l’articolo 3 della Costituzione, non risultando evidente quali valide ragioni possano giustificare un differente regime delle controversie in tema di istanze di rimborso pendenti dinanzi alla Commissione centrale o alla Corte di cassazione.
 
La pronuncia sul merito
Nel merito, la Suprema corte considera corretta la sentenza impugnata, che si è attenuta al consolidato insegnamento di legittimità (sentenze 27438/2008, 14846/2008, 1078372007, 12336/2005), in base al quale il contribuente deve impugnare davanti al giudice tributario, entro 60 giorni (ex articoli 19 e 21 Dlgs 546/1992), il provvedimento di rimborso parziale emesso dall’Amministrazione finanziaria al fine di non perdere il diritto a ottenere il rimborso della parte residua del credito richiesto.
In particolare, il fatto che il contribuente abbia contestato solo le “poste” disconosciute dal fisco non interrompe la prescrizione sull’altra parte del credito, in quanto la contestazione di una o più poste (attive e/o passive) esposte in dichiarazione, limita l’effetto interruttivo del termine di prescrizione e la conseguente non decorrenza dello stesso sino all’esito del relativo processo solo alle poste indicate nel petitum di quella domanda e non si estende pure a quelle non contestate dal contribuente, estranee a tal petitum e, quindi, al processo (Cassazione 3827/2010).
Conseguentemente, per effetto di tale limitazione, deve ritenersi che il termine di prescrizione relativo al credito non contestato non fruisca degli effetti (né interruttivi né sospensivi dall’inizio del nuovo corso) che interessano soltanto le poste oggetto del giudizio.

Salvatore Servidio
nuovofiscooggi.it

 

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