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Autorizzazione paesaggistica e demolizione opere edilizie abusive – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3581/2011

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 3581 del 13/06/2011

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto l’attuale appellante, [OMISSIS], impugnava l’ordinanza del 20 maggio 2003 n.2256 con la quale il Comune di La Valle Agordina ingiungeva la demolizione di talune opere eseguite in parziale difformità dal progetto allegato alla domanda di concessione edilizia presentata in data 5 febbraio 2002 per la costruzione di un chiosco con tettoia e approvato con autorizzazione n.8 del 23 maggio 2002.

Il giudice di primo grado rigettava il ricorso.

Avverso la sentenza n.4702 del 2003 proponeva appello (r.g.n. 10952 del 2004) il medesimo [OMISSIS] deducendo vari motivi di appello.

Si è costituito il Comune appellato che chiede dichiararsi la tardività dell’appello, osservando e deducendo che la sentenza è stata depositata in data 9 settembre 2003, sicchè il termine annuale scadeva in data 30 ottobre 2004, mentre l’appello è stato notificato in data 15 novembre 2004.

La parte appellante con memoria datata 27 aprile 2011 ha dichiarato la sopravvenuta improcedibilità dell’appello r.g.10952 del 2004, avendo essa presentato domanda di sanatoria che farebbe venire meno gli effetti del provvedimento sanzionatorio.

Con altro ricorso dinanzi al Tar veneto il medesimo [OMISSIS] agiva per l’annullamento del provvedimento comunale del 15 ottobre 2004 n.1938 di diniego di nulla osta ambientale con conseguente rigetto della istanza del permesso di costruire in sanatoria e del parere negativo della Commissione edilizia comunale n. 6 del 2004.

Il giudice di primo grado con sentenza n.91 del 2005 rigettava il ricorso, sostenendo il diniego giustificato sulla base di quanto prevede l’art. 146 del D.Lgs.42 del 2004, ai sensi del quale non è possibile l’autorizzazione paesaggistica con riguardo ad opere edilizie realizzate senza titolo e ciò a prescindere da ogni qualificazione che si possa attribuire al relativo provvedimento (autorizzazione a sanatoria o autorizzazione postuma) e che la censura di incostituzionalità doveva ritenersi manifestamente infondata.

Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello (r.g.n.2633 del 2006) il medesimo [OMISSIS], deducendo in sostanza un unico motivo di appello, con il quale si sostiene la erroneità della motivazione della sentenza, la violazione dell’art. 111 Costituzione in relazione alla corretta interpretazione dell’art. 146 comma 10 lettera c) del D.Lgs.42 del 2004.

Si lamenta, inoltre, omissione di pronuncia, lamentando che il primo giudice non si sia pronunciato sulla ammissibilità della autorizzazione postuma per interventi edilizi minimi e urbanisticamente conformi, lamentandone, in caso contrario, la evidente incostituzionalità.

Si è costituito il Comune appellato, che chiede rigettarsi l’appello, sostenendo la abusività dell’intervento (difforme per altezza, sagoma, destinazione da quanto assentito, il tutto tra l’altro in area soggetta a vincolo ambientale); deduce anche la inammissibilità del gravame per difetto di interesse dell’appellante, in quanto l’art. 167 del D.Lgs.42 del 2004, nella formulazione introdotta dal D.Lgs.157 del 2006, consente solo in pochi e limitati casi di ottenere ex post il nulla osta paesaggistico (c.d. accertamento di compatibilità paesaggistica) prevedendo per tutti gli altri casi la sanzione della demolizione.

Si deduce, inoltre, che nell’arco temporale di riferimento (maggio-ottobre 2004) certamente doveva valere la regola della inammissibilità assoluta della autorizzazione postuma.

Alla udienza pubblica del 31 maggio 2011 le due cause (r.g.n.2006 del 2633 e r.g.n.10952 del 2004) sono state discusse unitamente alla istanza cautelare dell’appello r.g.n. 10952 del 2004; quindi le due cause sono state trattenute in decisione.

La istanza cautelare è stata decisa con separata ordinanza all’esito della camera di consiglio.

DIRITTO

1.In via preliminare va disposta la riunione delle due cause per connessione processuale soggettiva e oggettiva, trattandosi di cause tra i medesimi soggetti ed esistendo ragioni di connessione procedimentale tra l’ordine di demolizione, oggetto del primo giudizio e il rigetto della istanza di sanatoria per le opere realizzate.

2.L’appello r.g.10952 del 2004, notificato in data 15 novembre 2004, è da dichiararsi tardivo, come eccepito da parte appellata, in quanto notificato ben oltre l’anno dal deposito della sentenza, che è avvenuto in data 9 settembre 2003.

Infatti, facendo decorrere il termine dal sedici settembre 2003, i termini dell’anno e quarantacinque giorni del c.d. termine lungo (articoli 327 c.p.c. e L.7 ottobre 1969 n.742, un anno oltre la sospensione feriale dei termini) sono scaduti ben prima della data di proposizione dell’appello, avvenuta, come detto, in data 15 novembre 2004.

La dichiarazione di irricevibilità per tardività dell’appello esime il giudicante dal valutarne la sopravvenuta improcedibilità, sostenuta dalla medesima parte appellante, in quanto sarebbe stata presentata, rispetto all’ordine di demolizione, istanza di sanatoria.

3. Con l’altro appello (r.g.n.2633 del 2006) il medesimo appellante [OMISSIS], in sostanza con unico motivo di appello (come si evince da pagina 7 dell’appello) sostiene la erroneità della motivazione della sentenza, la violazione dell’art. 111 Costituzione in relazione alla corretta interpretazione dell’art. 146 comma 10 lettera c) del D.Lgs.42 del 2004; sostiene la differenza tra autorizzazione sanatoria (inammissibile) e autorizzazione postuma (consentita); lamenta omissione di pronuncia, perchè il primo giudice non si sarebbe pronunciato sulla ammissibilità della autorizzazione postuma per interventi edilizi minimi e urbanisticamente conformi, lamentandone, in caso contrario, la evidente incostituzionalità.

L’appello è infondato.

L’appellante, come detto in fatto, ha effettuato difformità non autorizzate, che consistono nelle seguenti opere: cambio di uso e ampliamento dei due vani accessori retrostanti il chiosco; maggiore altezza del fabbricato e conseguente maggiorazione del volume della intera struttura; maggiore superficie della pavimentazione esterna circostante la tettoia.

Il Comune ha ingiunto la demolizione, impugnata con ricorso rigettato con sentenza poi appellata, ma il cui appello, come visto, è da dichiararsi irricevibile per tardività.

Successivamente all’ordine di demolizione, la parte interessata ha presentato istanza di sanatoria in data 7 maggio 2004, a sua volta oggetto di ricorso dinanzi al giudice di primo grado, rigettato poi con sentenza (n.91 del 2005 del Tar Veneto), oggetto del presente appello (r.g.n.2633 del 2006).

L’intervento abusivo risulta pacificamente (il punto non è contestato) realizzato in area assoggettata a vincolo ambientale, perché, come deduce il Comune appellato, si trova nella zona a ridosso immediato del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi e in prossimità di un sito (le antiche miniere di valle Imperina) riconosciuto dall’Unesco come “patrimonio dell’umanità”.

Il Collegio può soprassedere dall’esaminare la eccezione di inammissibilità per difetto di interesse all’appello, sollevata dalla parte appellata – e motivata perché le opere andrebbero comunque demolite, anche in caso di eventuale accoglimento dell’appello – in quanto l’appello medesimo si appalesa comunque del tutto infondato nel merito e quindi da rigettarsi.

Il primo giudice ha motivato, sia pure sinteticamente, ma efficacemente – e pertanto non sussiste omissione di pronuncia, in disparte l’effetto devolutivo dell’appello – richiamando l’articolo 146 del codice del paesaggio (D.Lgs.n.42 del 2004), affermando che sulla base di tale disposizione (comma 10 dell’art. 146) non è possibile l’autorizzazione paesaggistica con riguardo ad opere edilizie realizzate senza titolo e non rilevando la qualificazione di autorizzazione a sanatoria oppure postuma, perché in ogni caso non consentita.

La parte appellante, al contrario, sostiene la ammissibilità della autorizzazione, differenziando l’autorizzazione in sanatoria (preclusa) da quella postuma, che sarebbe ammessa.

L’assunto è infondato.

L’invocato articolo 146 comma 10 originaria formulazione prevede che “l’autorizzazione paesaggistica:…c) non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”.

L’articolo 146 quarto comma formulazione attuale, secondo periodo, prevede che “Fuori dei casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”.

Come eccepisce correttamente e fondatamente la parte pubblica appellata, nel particolare arco temporale in cui è stata presentata la domanda (7 maggio 2004) e altresì definita (15 ottobre 2004) valeva ratione temporis la formulazione prima richiamata, del comma 10 dell’articolo 146, secondo cui non può (non poteva in assoluto) essere rilasciata l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi.

La disciplina successiva, come detto, è costituita dall’art. 146 quarto comma, che così prevede: “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio. Fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”.

La disciplina successiva, come introdotta dall’articolo sostitutivo apportato dall’articolo 16 del decreto Legislativo 24 marzo 2006, n.157 e successivamente dall’articolo 2, comma 1, lettera s) del D.lgs.26 marzo 2008, n.63, prevede quindi una limitata mitigazione rispetto alla precedente regola della assoluta inammissibilità della autorizzazione in sanatoria, regola, come detto, comunque applicabile alla specie ratione temporis.

Ebbene, anche alla luce della successiva disciplina più favorevole e permissiva, l’autorizzazione in sanatoria non sarebbe stata consentita nel caso di specie.

Infatti, le strette ipotesi per le quali l’art. 167 al quarto comma prevede la compatibilità paesaggistica in sanatoria, successiva o postuma, sono solo quelle eccezionalmente previste dalla disciplina richiamata e in particolare dal comma quarto dell’art. 167, lettera a) che così dispone: “i lavori realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumenti di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali difformi dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quale manutenzione ordinaria o straordinaria sulla base del testo unico dell’edilizia”.

In fatto si tratta dei seguenti interventi: cambio di uso e ampliamento dei due vani accessori retrostanti il chiosco; maggiore altezza del fabbricato e conseguente maggiorazione del volume della intera struttura; maggiore superficie della pavimentazione esterna circostante la tettoia.

Sulla base dell’intervento di fatto realizzato, secondo il Collegio la fattispecie oggetto di esame non può rientrare nelle minime ipotesi per le quali si consente eccezionalmente l’autorizzazione successiva (postuma o in sanatoria), prevista dall’art. 167.

E’ infondata manifestamente anche la censura con la quale si deduce la incostituzionalità della richiamata normativa, non essendo censurabile per manifesta irragionevolezza, ed anzi essendo pienamente comprensibile e ragionevole nel suo percorso di scelta politica; infatti, né il precedente legislatore del 2004, che non consentiva alcuna autorizzazione successiva, né il legislatore successivo, che ha delimitato la possibilità della autorizzazione paesaggistica successiva alla effettuazione dell’intervento, ai soli interventi minimi, tra i quali, certamente (e infatti tale profilo non viene mai posto in dubbio) hanno consentito l’inserimento fra le opere sanabili dell’intervento abusivo in questione.

4.Per le considerazioni sopra svolte, previa riunione, va dichiarato irricevibile per tardività il primo appello, mentre va respinto in quanto infondato il secondo appello.

La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza, le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:

previa riunione, dichiara la irricevibilità dell’appello r.g.n.10952 del 2004; rigetta l’appello r.g.n.2633 del 2006, con conseguente conferma delle impugnate sentenze. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidandole in complessivi euro quattromila per le due cause.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Anna Leoni, Presidente FF
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 13/06/2011

 

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