Amministrativa

Graduatoria della procedura di riqualificazione per la copertura di n.12 posti di posizione economica c1 – Consiglio di Stato Sentenza n.6455/2012

sul ricorso numero di registro generale 2007 del 2011, proposto da:
XX, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Stefania Masini, Giovanni C. Sciacca, con domicilio eletto presso Maria Stefania Masini in Roma, via della Vite, n. 7;
contro
Avvocatura generale dello Stato, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dalla stessa Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata per legge;
nei confronti di
XX, XX, XX, XX, XX, XX, XX;
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. IV- n. 04822/2010, resa tra le parti, concernente graduatoria della procedura di riqualificazione per la copertura di n.12 posti di posizione economica c1.

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 6455/2012 del 17.12.2012

Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura generale dello Stato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 novembre 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’ Avvocato Maria Stefania Masini e l’Avvocato dello Stato Daniela Giacobbe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con decreto dell’Avvocato generale dello Stato in data 21 novembre 2005 veniva indetta una procedura di riqualificazione, riservata al personale interno, per la copertura di n. 12 posti di posizione economica C1, di diversi profili professionali (n. 6 posti di Collaboratore amministrativo, n. 4 posti di Collaboratore amministrativo contabile, n. 1 posto di Collaboratore bibliotecario e n. 1 posto di Capo sala macchine).
Il corso – concorso era riservato (art. 2) ai “dipendenti in servizio appartenenti all’area B, in possesso dei requisiti prescritti dall’Allegato A al CCNL 16.2.1999” e, precisamente:
1) “possesso del diploma di laurea”; oppure, “in mancanza del previsto titolo di studio, purché in possesso del diploma di scuola secondaria superiore, si fa riferimento ai seguenti requisiti:
2a) dalle posizioni economiche B3 e B3S: esperienza professionale di cinque anni nella posizione di provenienza;
2b) dalla posizione economica B2: esperienza professionale di sette anni nella posizione di provenienza;
2c) dalla posizione economica B1: esperienza professionale di nove anni nella posizione di provenienza.
Il bando precisava, all’art. 2 che “i suddetti requisiti di partecipazione debbono essere posseduti alla data di scadenza del termine utile per la presentazione delle domande di partecipazione al corso – concorso” (fissato al 16 febbraio 2006).
Secondo l’art. 7, inoltre, all’esito delle prove e della valutazione dei titoli, “le graduatorie definitive saranno stilate ai sensi dell’art. 8, comma 2, lett. c) del CCNL del 12.6.2003, dando esplicito riconoscimento della prevalenza all’inquadramento del personale proveniente dalla posizione economica immediatamente inferiore e, nell’ambito della stessa posizione economica, in base al punteggio finale, ottenuto sommando il voto dell’esame e il punteggio risultante dalla valutazione dei titoli”.
All’esito dei lavori della Commissione giudicatrice, era stata convocata una riunione del Comitato consultivo di cui all’art. 26 della l. n. 103 del 1979, in esito alla quale, in merito all’applicazione dell’art. 7 del bando, era stato deciso (a maggioranza) di attribuire la prevalenza ai candidati inquadrati nella posizione economica immediatamente inferiore (B3) e, nell’ambito di questi, di formare la relativa graduatoria sulla base del punteggio di merito.
Con il decreto 28 maggio 2008, n. 6485, era stata approvata la graduatoria finale, nell’ambito della quale era stata attribuita prevalenza ai candidati in possesso del diploma di laurea ovvero a quelli aventi anzianità quinquennale nella posizione B3 alla data di presentazione delle domande di partecipazione al concorso (ovvero i più anziani in ruolo, dipendenti B3 Super).
Detto decreto 28 maggio 2008, n. 6485, era stato gravato dalla parte originaria ricorrente in primo grado, ed il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sede di Roma – aveva accolto il ricorso annullando, nei limiti e nei termini di cui alla motivazione, la graduatoria.
Detta sentenza di primo grado è stata gravata in appello, con due distinti ricorsi, sia dall’Avvocatura dello Stato, che da alcuni concorrenti, già controinteressati nel giudizio di primo grado.
Con la sentenza censurata in revocazione questa Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto i riuniti appelli e, in riforma della decisione di accoglimento gravata, ha respinto il ricorso di primo grado proposto dalla parte odierna ricorrente in revocazione.
Nella detta revocanda decisione, dopo avere ricostruito sotto il profilo normativo la complessa vicenda sottesa al contenzioso, la Sezione ha accolto il gravame nel merito alla stregua della seguente motivazione.
La Sezione ha rilevato che la fonte contrattuale a monte, ossia l’art. 15 del CCNL del Comparto Ministeri per il quadriennio 1998/2001, prevedeva che il passaggio dei dipendenti da un’area alla posizione iniziale dell’area immediatamente superiore avvenisse “dall’interno […] mediante procedure selettive volte all’accertamento dell’idoneità e/o della professionalità richiesta previo superamento di corso – concorso con appositi criteri stabiliti dall’amministrazione con le procedure indicate nell’art. 20”.
Alle predette procedure selettive poteva partecipare il “personale dipendente in deroga ai relativi titoli di studio – fatti salvi i titoli abilitativi previsti da norme di legge – purché in possesso di requisiti professionali richiesti per l’ammissione al concorso pubblico indicati nelle declaratorie di cui all’allegato A”, requisiti che saranno riportati in seguito.
Inoltre, l’art. 8, comma 2, lett. c) del CCNL del Comparto Ministeri del 12 giugno 2003 (quadriennio normativo 2002 – 2005) affermava che, nella contrattazione collettiva, si dovesse dare “esplicito riconoscimento nelle progressioni verticali della prevalenza all’inquadramento del personale proveniente dalla posizione economica immediatamente inferiore”.
Tale previsione rilevava nell’art. 7 del bando, dove ci si riferiva espressamente a tale disposizione al fine di disporre che le graduatorie definitive sarebbero state stilate “dando esplicito riconoscimento all’inquadramento del personale proveniente dalla posizione economica immediatamente inferiore e, nell’ambito della stessa posizione economica, in base al punteggio finale […]”.
Quanto all’ultimo profilo (relativo ai requisiti per la partecipazione) era stato precisato che avrebbero potuto partecipare i “dipendenti in servizio appartenenti all’area B, in possesso dei requisiti prescritti dall’Allegato A al CCNL 16.2.1999” e, precisamente:
1) “possesso del diploma di laurea”;
oppure, “in mancanza del previsto titolo di studio, purché in possesso del diploma di scuola secondaria superiore, si fa riferimento ai seguenti requisiti:
2a) dalle posizioni economiche B3 e B3S: esperienza professionale di cinque anni nella posizione di provenienza;
2b) dalla posizione economica B2: esperienza professionale di sette anni nella posizione di provenienza;
2c) dalla posizione economica B1: esperienza professionale di nove anni nella posizione di provenienza.
In punto di fatto, ad avviso della Sezione, doveva essere rimarcata la circostanza che l’amministrazione, nello svolgere le fasi selettive, aveva ammesso alla procedura anche dipendenti che, stando ai requisiti prescritti dall’art. 2 del bando, non avrebbero potuto essere nominati nella posizione C1.
Si trattava dei dipendenti nominati nel 2005 nelle posizioni B2 e B3 a seguito delle procedure di riqualificazione nell’area B e non in possesso del diploma di laurea: costoro non avevano maturato, alla data di scadenza dei termini per la presentazione della domanda, l’anzianità prescritta nelle posizione economica immediatamente sottordinata a quella C1 (ossia, cinque anni nella posizione B3).
L’amministrazione, quindi, in base ad un criterio di maggior partecipazione del personale interessato alla selezione, aveva esteso l’ambito soggettivo, tenendo conto della pregressa anzianità posseduta nella posizione economica di provenienza (B1 e B2).
Ciò premesso in punto di ricostruzione del tessuto normativo sotteso alla contesa, la Sezione ha individuato il punto centrale della controversia nella risposta al quesito relativo alla circostanza se la scelta del bando di gara, mutuata dall’art. 8, comma 2, lett. c) del CCNL del Comparto Ministero del 12 giugno 2003, nel senso di dare “esplicito riconoscimento nelle progressioni verticali della prevalenza all’inquadramento del personale proveniente dalla posizione economica immediatamente inferiore”, fosse stata correttamente applicata.
Ciò previa disamina delle ragioni che avevano indotto l’amministrazione (e per essa la Commissione giudicatrice) ad attribuire la prevalenza ai candidati inquadrati nella posizione economica immediatamente inferiore (B3) e, nell’ambito di questi, a formare la relativa graduatoria sulla base del punteggio di merito.
In particolare, doveva essere chiarito se la locuzione “personale proveniente dalla posizione economica immediatamente inferiore”, dovesse essere intesa come applicabile a tutti i partecipanti alla procedura concorsuale che si trovassero comunque nella posizione B3 ( anche se non in possesso dei requisiti di bando) ovvero se invece dovesse essere limitata a coloro che, nella detta posizione, avevano acquisito i titoli necessari alla partecipazione.
Il Tar del Lazio, con la decisione di accoglimento del mezzo di primo grado gravata in appello aveva seguito la prima opzione ermeneutica, ritenendo che l’attribuzione di una sorta di “precedenza” ai dipendenti in possesso del requisito dell’anzianità di cinque anni nella qualifica B3, ovvero del diploma di laurea, non trovasse giustificazione né nella lex specialis, né in disposizioni di legge o di contratto.
In contrario avviso rispetto al Tribunale amministrativo, secondo questa Sezione tale modus procedendi era, invece, errato.
Esso aveva, di fatto, equiparato posizioni al contrario del tutto differenziate, inglobando in un unico contesto tanto i candidati che avevano maturato i requisiti di partecipazione nella categoria immediatamente inferiore, quanto coloro che, pur non essendo in possesso dei requisiti, erano stati ammessi alla procedura per scelta dell’amministrazione al fine di allargare la platea dei partecipanti.
La Sezione è pervenuta ad un convincimento difforme rispetto al Tar (pur evidenziando che la norma del bando si prestava ad una pluralità di interpretazioni) alla luce dei principi costituzionali che, privilegiando i riferimenti al sistema del concorso, escludevano la legittimità di procedure di selezione per saltum.
Le stesse pronunce della Corte Costituzionale prese in esame dal primo giudice (sentenze 4 gennaio 1999, n. 1 e 16 maggio 2002, n. 194), collegandosi agli artt. 97, 51 e 98 e 3 della Costituzione, avevano evidenziato come il pubblico concorso dovesse essere imposto anche per l’accesso alla qualifica successiva (in quanto meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci e quindi il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità ed al servizio esclusivo della Nazione), pervenendo, così:
a censurare la prevista ammissione ai corsi di riqualificazione di dipendenti che “non appartengono alla qualifica immediatamente inferiore: così finendosi per conferire all’anzianità di servizio una funzione del tutto abnorme”;
ed a ribadire che “il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento alla regola del pubblico concorso in quanto proprio questo metodo offre le migliori garanzie di selezione dei soggetti più capaci”.
L’approdo cui era giunto il Giudice delle leggi non poteva essere limitato (come inesattamente ritenuto dal primo giudice) al quadro del precedente sistema del pubblico impiego, nel quale da ogni posizione lavorativa si poteva progredire solo ed unicamente attraverso la fuoriuscita dal modello e l’ingresso sulla posizione superiore attraverso un concorso pubblico.
Viceversa, anche nel modello attuale (che pur ammette invece al proprio interno la progressione professionale, diversificandosi sotto questo profilo, dall’antevigente sistema delle qualifiche funzionali), conservava attualità il principio affermato dalla Consulta, secondo il quale non poteva essere attribuita alla mera anzianità di servizio una portata “abnorme” risolventesi in un criterio elusivo del meccanismo generale del concorso per l’accesso ai pubblici impieghi.
Conclusivamente, la Sezione ha accolto l’appello, affermando essere del tutto conforme al principio di eguaglianza – che imponeva di trattare in maniera differenziate le situazioni in sé diverse – l’operato conclusivo dell’amministrazione, la quale, pur permettendo un’ampia partecipazione alla procedura di selezione, aveva saputo articolare, in sede di graduatoria finale, le diverse condizioni personali che avevano legittimato l’ammissione alla fase concorsuale, non potendosi ritenere che il mero conseguimento dell’anzianità necessaria in profili professionali diversificati dovesse condurre ad una necessaria ed ingiusta omologazione delle posizioni dei partecipanti.
Con la ulteriore impugnativa che viene all’esame del Collegio, la parte appellata, originaria ricorrente in primo grado – rimasta soccombente in appello –, ha chiesto la revocazione della predetta sentenza pronunciata dalla Sezione, in quanto asseritamente affetta da errore di fatto incidente su un punto decisivo della controversia.
Tale dovrebbe considerarsi l’affermazione del primo giudice, secondo cui la odierna parte impugnante “era stata ammessa alla procedura per scelta dell’amministrazione al fine di allargare la platea dei partecipanti”.
Tale affermazione era certamente errata, in quanto, contrariamente a quanto sostenutosi nella impugnata decisione, ai sensi dell’art. 2 del bando di concorso essa aveva diritto a partecipare alla selezione.
Al contrario di quanto affermato dalla Sezione, infatti, l’appellante, pur non possedendo alla data di presentazione della domanda i cinque anni di anzianità nella posizione B3 era comunque in possesso dell’anzianità complessiva nella posizione B, siccome prescritto dal bando.
Nel merito, in sede rescissoria, si dovrebbe riformare l’impugnata decisione, in quanto l’Avvocatura avrebbe dovuto unicamente redigere la graduatoria di merito senza dare prevalenza, nell’ambito della categoria b3, al possesso della laurea e dell’anzianità di servizio quinquennale alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla selezione (così – illegittimamente – rielaborando la graduatoria e “correggendola” su basi diverse).
Con una articolata memoria parte ricorrente in revocazione ha ribadito e puntualizzato la detta tesi.
L’amministrazione intimata ha depositato una sintetica memoria, chiedendo che il gravame revocatorio sia dichiarato inammissibile o comunque infondato nel merito.
Alla pubblica udienza del 20 novembre 2012 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso per revocazione è – prima che infondato – inammissibile.
1.1. Una pluralità di ragioni, ad avviso del Collegio milita a supporto della inammissibilità della impugnazione revocatoria proposta.
2. Invero si rammenta in proposito che la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che l’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c., deve consistere in un “travisamento di fatto costitutivo di ‘quell’abbaglio dei sensi’ che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa.” (ex multis, Consiglio Stato, sez. IV, 07 settembre 2006, n. 5196).
La ratio di tale condivisibile orientamento riposa nella necessità di evitare che detta forma di impugnazione si trasformi (soprattutto, ovviamente, il problema si pone con riferimento alle sentenze pronunciate nell’ultimo grado di giudizio di merito, ovvero, per ciò che attiene ai procedimenti innanzi al giudice ordinario, in sede di legittimità) in una forma di gravame, teoricamente reiterabile più volte, idoneo a condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale (ex multis Cassazione civile , sez. I, 19 giugno 2007, n. 14267).
Il rimedio in esame non è pertanto praticabile, allorché incida su un aspetto della controversia che ha formato oggetto di valutazione giudiziale (tra le tante, Cassazione civile , sez. II, 22 giugno 2007, n. 14608) e men che meno allorché l’errore segnalato verta nella interpretazione od applicazione di norme giuridiche.
Il Consiglio di Stato ha in passato condiviso pienamente tale orientamento ed ha affermato che “ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., sono soggette a revocazione per errore di fatto le sentenze pronunciate in grado di appello, quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare” (Consiglio Stato, sez. VI, 21 giugno 2006, n. 3721; Consiglio Stato, sez. VI, 05 giugno 2006, n. 334;, Consiglio Stato, sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2278).
Inoltre, è stato chiarito dalla giurisprudenza che “l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione non soltanto deve essere la conseguenza di una falsa percezione delle cose, ma deve avere anche carattere decisivo, nel senso di costituire il motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione. Il giudizio sulla decisività dell’errore costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione, non inficiata da vizi logici e da errori di diritto.” (Cassazione civile, sez. I, 29 novembre 2006, n. 25376).
2.1. Più in particolare, e con riferimento allo specifico “vizio” prospettato nel primo motivo del gravame revocatorio qui in esame, si è condivisibilmente affermato, in passato, “che rileva come errore di fatto ex art. 395 n. 4, c.p.c. l’omessa pronuncia su un profilo della controversia devoluta in appello, qualora la ragione di siffatta omissione risulti causalmente riconducibile alla mancata percezione dell’esistenza e del contenuto di atti processuali.” (Consiglio Stato, sez. V, 17 settembre 2009, n. 5552), con ciò definitivamente superandosi il più restrittivo, pregresso, orientamento, secondo cui “l’ omessa pronuncia su censure o motivi di impugnazione costituisce tipico errore di diritto per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e, pertanto, non è deducibile in sede di revocazione.” (Consiglio Stato, sez. V, 20 ottobre 2004, n. 6865).
Si è detto poi, che “l’omessa pronuncia su una censura sollevata dalla parte è riconducibile all’errore di fatto idoneo a fondare il giudizio revocatorio ogni qualvolta esso risulti evidente dalla lettura della sentenza e sia chiaro che in nessun modo il giudice abbia preso in esame la censura medesima.” (Consiglio Stato, sez. VI, 04 settembre 2007, n. 4629; Consiglio Stato, sez. V, 19 marzo 2007, n. 1300).
Al condivisibile fine di evitare la proposizione di azioni revocatorie certamente inutili, quanto a tale aspetto si è puntualizzato “che il vizio di omessa pronuncia su un vizio deve essere accertato con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché esso può ritenersi sussistente soltanto nell’ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d’impugnazione risulti implicitamente da un’affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile.” (Consiglio Stato, sez. VI, 06 maggio 2008, n. 2009).
Tale condivisibile affermazione, che costituisce jus receptum, rappresenta corollario di quel più ampio principio che privilegia la “decisività” dell’errore, secondo il quale “l’errore di fatto revocatorio (così come per il motivo di revocazione previsto al n. 4 dell’art. 395) deve essere ‘decisivo’, nel senso che se non vi fosse stato la decisione sarebbe stata diversa.” (Consiglio Stato, sez. III, 29 novembre 2010, n. 4466).
E’ necessario quindi – in tema di revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c, – che l’errore di fatto rappresenti elemento decisivo, rilevante ed ineliminabile ai fini di pervenire ad una decisione differente rispetto a quella che si sarebbe dovuta (asseritamente) adottare. Allorché la giurisprudenza parla di nesso causale tra errore e decisione, si riferisce non alla causalità storica, ma ad un nesso logico-giuridico, nel senso che la diversa soluzione della lite deve imporsi come inevitabile sul piano, appunto, della logica e del diritto, non degli accadimenti concreti. Non si tratta, in altri termini, di stabilire come si sarebbe, nei fatti, determinato il giudice se non avesse commesso l’errore; si tratta, invece, di stabilire quale sarebbe dovuta essere, per necessità logico-giuridica, la decisione, una volta emendatene le premesse dall’errore. L’errore di fatto ex art. 395, n. 4, cit. deve essere essenziale e decisivo (nel senso che tra l’erronea percezione del giudice e la pronuncia da lui emessa deve sussistere un rapporto causale tale che senza l’errore la pronuncia medesima sarebbe stata diversa).
La pacifica giurisprudenza di legittimità, inoltre, perimetra il suddetto rimedio straordinario, evidenziando che “l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico. -Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva rigettato la domanda di revocazione, escludendo che potesse configurare errore revocatorio, tra l’altro, la ritenuta applicabilità di normativa risultante da regolamento comunale e dalla contrattazione collettiva-.”(Cassazione civile, sez. lav., 03 aprile 2009, n. 8180).
3.La parte odierna ricorrente in revocazione ha tentato di “superare”, tali condivisibili orientamenti in punto di ammissibilità costruendo l’impugnazione in modo da evitare la declaratoria di inammissibilità “testuale”, ma non ha apportato alcun elemento tale da fare propendere per la ammissibilità (ovvero per la fondatezza) della impugnazione proposta.
L’errore di fatto – che comunque non sussiste, come meglio si chiarirà di seguito – nell’ordine: attinge certamente “un punto controverso della causa esaminato nel merito”, non sarebbe comunque decisivo e comunque (sempre a tutto concedere) sarebbe un “errore” giuridico e non certo fattuale.
3.1. Invero nella decisione gravata è stato espresso con chiarezza un convincimento: quello per cui si poteva progredire verticalmente laddove i dipendenti fossero stati in possesso dei requisiti legittimanti (diploma di laurea od anzianità di cinque anni) nella categoria immediatamente inferiore (B3, posto che la progressione riguardava la categoria C) e che fosse vietata la “progressione per saltum”.
Questo è stato l’oggetto della disamina del primo giudice, condensato nell’affermazione per cui i soggetti non titolari di tali requisiti legittimanti ““erano stati ammessi alla procedura per scelta dell’amministrazione al fine di allargare la platea dei partecipanti””.
Il Collegio non concorda con la tesi dell’impugnante secondo cui la detta affermazione integri un errore di fatto.
Come è agevole riscontrare, infatti, a tutto concedere l’errore in cui sarebbe incorsa la Sezione non avrebbe natura fattuale (il che semmai, costituisce mera illazione di parte impugnante), ma eventualmente giuridica.
L’”errore”, infatti, riposerebbe nell’avere male interpretato il bando di gara (rectius: nell’avere avallato l’interpretazione che di esso aveva reso l’amministrazione intimata), il che è appunto il “proprium” della intera causa.
L’”errore”, quindi, (oltre a cadere su un punto controverso e delibato) sarebbe stato giuridico e non fattuale (quantomeno: non sarebbe stata fornita prova alcuna che trattavasi di errore fattuale); e pertanto il gravame revocatorio va dichiarato inammissibile, come dimostrato per tabulas dalla circostanza che il supposto errore verterebbe su una interpretazione del bando che la parte odierna impugnante ha contestato, nel giudizio di appello, facendo riferimento al discordante principio contenuto nella decisione della Sesta Sezione del Consiglio di Stato n. 4928/2008 e nelle decisioni 626-633 del 21 febbraio 2008.
Se nell’art. 7 del bando si disponeva che le graduatorie definitive sarebbero state stilate “dando esplicito riconoscimento all’inquadramento del personale proveniente dalla posizione economica immediatamente inferiore e, nell’ambito della stessa posizione economica, in base al punteggio finale”, e se, come rilevato dalla Sezione, era questa l’unica interpretazione compatibile ed armonica con i precetti discendenti dagli arresti della Corte Costituzionale, appare evidente – sia che si ritenga che la censurata interpretazione debba intendersi nel senso che l’amministrazione avesse allargato la partecipazione a chi non era in possesso dei requisiti, riferendosi ad una interpretazione del bando laddove si riferiva alle qualifiche diverse da B3 e B3S ivi espressamente menzionate (id est. B1 e B2), sia che debba intendersi nel senso che, comunque, non si sarebbe potuto obliare il requisito specifico dell’anzianità quinquennale in posizione B3 e B3S – che in ogni caso la pretesa giuridica dell’odierna parte ricorrente in revocazione non avrebbe potuto essere soddisfatta.
4.V’è una ulteriore considerazione – connessa strettamente a quella appena espressa – che milita per la non ammissibilità della impugnazione (e che, per il vero, avrebbe comunque deposto per la declaratoria di infondatezza della medesima).
Si è chiarito in premessa che condizione di ammissibilità del gravame revocatorio riposa nella decisività del supposto “errore” lamentato, tale da condurre all’affermazione che in mancanza del detto errore la decisione avrebbe avuto segno diverso (e, ovviamente, favorevole alle ragioni dell’impugnante).
Così certamente non è nel caso di specie, laddove si consideri che la Sezione ha richiamato i principi discendenti dalle pronunce della Corte Costituzionale sul punto, di guisa che il precetto affermato nella gravata sentenza può essere così riassunto: è illegittima la progressione verticale “per saltum” fondata su procedure selettive che non “premino” (esclusivamente) i dipendenti collocati nella categoria immediatamente inferiore e che possiedano specificamente i “titoli” di quella categoria, non potendoli cumulare/ sostituire con anzianità pregressa in altra categoria (perché, contrariamente argomentando, verrebbero vulnerati i principi di cui alle più volte citate decisioni della Consulta).
Se così è – ed al Collegio tale ultima affermazione appare incontestabile – è evidente che, anche a volersi affermare (il che si nega recisamente, per le già chiarite ragioni) che si fosse in presenza di un errore “di fatto”, il gravame non sarebbe accoglibile in quanto l’errore non sarebbe “decisivo” nei termini sinora esplicati, posto che il soggetto ricorrente in primo grado non era inquadrato a fini concorsuali nella categoria “immediatamente inferiore” a quella oggetto di progressione (o, se lo fosse stato, ciò sarebbe stato ascrivibile soltanto a quella “ultravalutazione” dell’anzianità di servizio che, ad avviso della gravata sentenza si poneva in frontale contrasto con i principi in materia affermati dalla Consulta, in quanto non era posseduto il requisito della anzianità di cinque anni al momento della proposizione della domanda di partecipazione nella qualifica B3 ) e, pertanto, il petitum del soggetto che agisce in revocazione ugualmente sarebbe stato disatteso.
5. In sintesi: sia che l’affermazione della Sezione debba essere letta nel senso che l’intimata amministrazione al momento di strutturare il bando ebbe ad ampliare la platea degli aventi diritto, sia che si voglia ipotizzare che la stessa sia incorsa in un errore di interpretazione del bando medesimo (ed allora si verterebbe nel campo dell’errore di diritto), la impugnata decisione è chiarissima nell’affermare il principio per cui la odierna parte ricorrente in revocazione non avrebbe potuto – alla stregua dei principi scolpiti nelle richiamate sentenze della Corte Costituzionale – partecipare vittoriosamente alla detta selezione, in quanto carente dei requisiti legittimanti (titolo di studio e/o anzianità quinquennale “specifica” nella categoria immediatamente inferiore)
Ne consegue la certa inammissibilità del gravame revocatorio.
6. Le spese dell’odierno grado di giudizio, tuttavia, devono essere compensate tenendo conto sia della natura della causa, che della obiettivamente non perspicua formulazione del bando selettivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,lo dichiara inammissibile nei termini di cui alla motivazione che precede.
Spese processuali del grado revocatorio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Umberto Realfonzo, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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