Giustizia

Masi (CNF): «Chi ferma la giustizia ferma i diritti»

La presidente facente funzioni del Cnf Maria Masi in una intervista su Il Dubbio: «Così rischiamo di indebolire le garanzie e le nostre libertà»


Mentre l’Italia riparte, la Giustizia resta al palo. Congelata, totalmente ferma, nonostante siano passati già 15 giorni dall’avvio della Fase 2. Così i tribunali rimangono chiusi e inaccessibili. Un segno, secondo Maria Masi, presidente facente funzioni del Consiglio nazionale forense, di un mancato riconoscimento della sua funzione sociale e, soprattutto, della inadeguata considerazione del ruolo dell’avvocato, che al centro «pone sempre la difesa dei diritti». E la sua svalutazione, in un periodo di emergenza che rende ancora più necessaria la tutela dei principi costituzionali, emerge anche dalle “sviste” nei confronti dei professionisti, avvocati compresi, vittime non solo del fermo immagine dei processi, ma anche delle difficoltà ad accedere a bonus e ai contributi a fondo perduto. Questi ultimi, anzi, negati. Ma Masi avvisa: «Interverremo con ancora più forza per impedire le discriminazioni».

Nonostante tutte le energie spese dal governo per la ripartenza, la Giustizia rimane ferma: è il riflesso della scarsa popolarità della difesa dei diritti nell’opinione pubblica?
«È il riflesso del mancato riconoscimento della Giustizia quale funzione essenziale dello Stato, anche da parte di chi la Giustizia non solo deve garantirla, ma promuoverla. Nell’immaginario collettivo è spesso percepita in maniera distorta, come se fosse qualcosa che riguarda solo alcuni e non ciascuno di noi. A ciò si aggiunga che la valutazione di fatti e accadimenti concorre ad alimentare la sfiducia nel sistema».

C’è una forma di diffidenza nei confronti degli avvocati?
«Più che diffidenza direi che non c’è un’adeguata considerazione, nonostante il ruolo e la funzione e le nostre rivendicazioni, che al centro pongono sempre la difesa dei diritti e solo dopo richieste altrettanto legittime di tutela della categoria, non sono percepite come tali. Eppure la tutela della categoria, anche sotto il profilo del sostegno al reddito e alla professione, è importante, perché finalizzata a garantire e preservare l’ esercizio di una funzione necessaria».

Quali sono le conseguenze effettive di questo blocco?
«Il blocco, che in questa “seconda fase” appare ed è sicuramente non giustificato né giustificabile dalle esigenze attuali di tutela del diritto alla salute, seppure ancora eccezionali, rischia di allontanare ancora di più la Giustizia dalla società civile e snatura, affievolendoli, i principi fondamentali di e per uno Stato di diritto. La rappresentazione dei tribunali come luoghi non accessibili persino agli operatori di diritto, necessari e non sostituibili, indebolisce il senso di giustizia e alimenta la diffidenza nei confronti della sua funzione, oltre che nei confronti di magistrati e avvocati».

L’organizzazione della Fase 2, nonostante gli appelli dell’avvocatura e in particolare del Cnf, non è stata unitaria e tutto è stato affidato alle decisioni dei singoli capi uffici. È, come sostiene qualcuno, un’anticipazione arbitraria della sospensione feriale?
«Purtroppo il rischio di essere rimandati a settembre è reale, a giudicare dai dati disponibili a due settimane dalla “ripresa”. L’autonomia affidata alle decisioni dei capi degli uffici giudiziari, giustificata da esigenze di flessibilità ispirate al principio di ragionevolezza, in molti casi si è rivelata eccessivamente discrezionale. I provvedimenti di rinvio, a prescindere dalla natura del giudizio e/o dal carattere dell’urgenza, le modalità di trattazione scritta, che in alcuni tribunali rinviano a modelli che sacrificano ingiustificatamente il diritto di difesa, la scarsa applicazione dell’udienza da remoto… A prescindere dalla volontà espressa dalle parti, e quindi dei difensori, la residuale, quanto minima e solo per alcuni procedimenti, trattazione in presenza sconforta in tal senso».

Ma davvero non è possibile pensare delle linee guida comuni per tutti gli uffici?
«Non solo è possibile, ma è necessario fare uno sforzo di impegno e di risorse per garantire l’applicazione omogenea di alcune regole fondamentali e non negoziabili».

La Fase 1 poteva essere utilizzata per la definizione delle cause trattenute in decisione dai giudici?
«Sicuramente un’occasione utile per smaltire l’arretrato… Una sentenza non è solo l’esito di un giudizio, lungo spesso molti anni, ma è una risposta di giustizia a una domanda di giustizia. Anche gli avvocati hanno approfittato del tempo sospeso per aggiornarsi circa i nuovi possibili strumenti utili per svolgere la professione e non si sono sottratti all’esercizio del ruolo sociale, che ancora di più in questo periodo si è rivelato necessario, con la differenza che non hanno e non possono gestire i tempi del riscontro».

Una nota positiva: il decreto sul processo amministrativo, che disciplina le cause dal 30 maggio al 31 luglio e di fatto mette d’accordo tutti. Non è un modello replicabile?
«Il modello replicabile non riguarda tanto il decreto – perché i processi sono diversi -, ma il metodo che ha promosso il decreto e che ora lo rende attuabile è senza dubbio auspicabile. Metodo che presuppone la condivisione equilibrata e ragionevole del contributo di proposte da parte dei magistrati e degli avvocati per un fine che non può essere che comune».

Altro problema è quello relativo a bonus e contributi a fondo perduto. Il Cnf interverrà contro queste discriminazioni?
«Certo, come nella prima fase, ma in maniera ancora più forte, con un’azione sinergica di tutte le componenti dell’avvocatura, determinata dalla consapevolezza che l’indebolimento irragionevole e ingiustificato, anche sotto il profilo economico, della nostra categoria indebolisce inevitabilmente la difesa dei diritti».

Leggi l’intervista sul sito de Il Dubbio

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