LA PAZZIA DI FRA TOMMASO CAMPANELLA
di Pancrazio Caponetto – «La matina di pasqua del spirito santo prossime passato havendo io la sera precedente lassato una lucerna accesa dentro la priggione di detto frà Thomaso quale poteva durare circa un’hora, è mezza à far lume acciò egli vedesse à mangiare, la matina secondo il mio solito, visitando tutti li carcerati, ritrovai che frà Thomaso havea brusciato la lettèra, le asse, le tavole, un saccone di paglia, et una coperta, et la priggione era tutta piena di fumo, et frà Thomaso era gettato in terra, et io credevo che fusse morto, mà poi io udj che si lamentava, et io lo levai da terra, et lo messi in un’altro loco, et rivenne quanto alle forze del corpo, et ritornato da esso per condurlo alla messa che alhora havea licenza di condurlo, detto frà Thomaso mi venne à dosso è poco ci mancò che non mi levasse il naso dalla faccia, è, da questa hora in quà hà parlato spropositatamente, et anco con altri» .
Questa testimonianza del carceriere Alonso Martinez, riportata nel secondo volume dell’opera dello storico Luigi Amabile, Fra Tommaso Campanella la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, descrive in che maniera il filosofo si mostrò pazzo.
Ma prima di parlare della pazzia di frate Tommaso, dobbiamo ricordare, alcuni momenti della sua travagliata esistenza. Tommaso Campanella era nato a Stilo, in Calabria nel settembre del 1568. Entrato a 14 anni nell’ordine domenicano, incomincia ad interessarsi di filosofia accostandosi alle opere del pensatore calabrese Bernardino Telesio. L’adesione alle dottrine telesiane gli costa un processo interno all’ordine domenicano dove cardine della filosofia veniva considerato il pensiero di Aristotele, ripreso e ampliato da San Tommaso, ed incompatibile con il naturalismo di Telesio. Nel 1592 Campanella subì un nuovo processo a Napoli, accusato di credere nell’esistenza di un demone familiare e di non curarsi di un’eventuale scomunica.Il processo si concluse con l’imposizione di penitenze, l’ordine di abbandonare la filosofia telesiana e di tornare in Calabria.Ma non obbedendo a quanto disposto, Campanella prende a vagare per l’Italia recandosi a Roma, Firenze, Bologna e Padova. Nel 1594 nuovo arresto per ordine dell’Inquisizione, con l’accusa di aver disputato su questioni di fede con un ebreo convertitosi al cattolicesimo e ritornato poi alla religione dei padri. Nello stesso anno Campanella venne trasferito nelle carceri romane dove si trovavano anche l’eretico Francesco Pucci e il filosofo Giordano Bruno. Ben presto l’accusa iniziale si aggrava e oggetto del processo diviene l’intera filosofia di Campanella, inquisito per aver professato l’ateismo e opinioni democritee. Il processo si concluse con una condanna all’abiura che Campanella pronunciò nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva.Trascorso un periodo di detenzione in un convento domenicano sull’ Aventino, frate Tommaso vive un breve momento di libertà fino a quando, nel 1597, accusato da un delinquente comune di eresia, viene di nuovo arrestato e condotto nelle carceri dell’Inquisizione. Questo supplemento d’inchiesta a suo carico si concluse senza pene e Campanella fu restituito alla libertà ma con l’ordine di tornare in Calabria.
Nella sua terra natia frate Tommaso diviene il punto di riferimento di una congiura antispagnola ed ecclesiastica volta ad instaurare una repubblica teocratica di cui il filosofo avrebbe dovuto essere capo e legislatore. La congiura viene scoperta dalle autorità e Campanella si dà alla fuga, ma tradito e catturato verrà trasferito, nel novembre 1599, insieme a centocinquantasei congiurati, nelle carceri di Napoli in Castel Nuovo per subire un nuovo processo per eresia e ribellione.
Nel gennaio del 1600 iniziò il lungo calvario di fra Tommaso Campanella.In un primo interrogatorio il frate negò con forza ogni imputazione.Venne quindi rinchiuso per una settimana nella orribile cella sotterranea detta del ” coccodrillo ” e successivamente sottoposto per due volte alla tortura del “polledro” o cavalletto. I tormenti spinsero Campanella a rilasciare un’ampia confessione nella quale ammetteva il disegno di costruzione di una nuova repubblica teocratica. A questo punto, il 2 aprile del 1600, mattina di Pasqua, si colloca l’episodio riportato in apertura di questo articolo e che segna il primo manifestarsi della pazzia di fra Tommaso. Come ha scritto Luigi Firpo, nel Dizionario biografico degli italiani, Campanella ” dà inizio così, conscio di giocare tra la vita e la morte, a una temeraria e tenacissima simulazione di pazzia, l’unico espediente che ancora può salvargli la vita.”
I giudici inquisitori, infatti, condividevano la considerazione teologica che in caso di pazzia la condanna a morte dovesse essere sospesa perchè un reo divenuto pazzo non può più pentirsi e salvare l’anima, ed eseguita la pena, lo si sprofonda nell’inferno.
Campanella ha lasciato diverse testimonianze sulla sua pazzia. Nelle lettere del 1606 – 1607, scrisse : ” mi fecero pazzo essi con tanti tormenti et con non lasciarmi difensare.” Ancora , in una nota delle sue Poesie ( 1614 ) : ” bruciò il letto, e divenne pazzo ò vero ò finto. ” Infine nella sua Narrazione (1620 ), ricordò che il Sances ( uno degli inquisitori ) ” lo ristrinse nel torrione con le fenestre serrate, e mise timore a chiunque parlava d’aiutarlo, e li fè tanti stratii al povero Campanella che lo fè impazzire, brugiò il letto, e lo trovaro la mattina mezzo morto, e pazziò cinquanta dì “.
Sono testimonianze da prendere con riserva. Come ha notato Luigi Amabile, la pazzia di Campanella durò oltre 14 mesi, quanto ai “tormenti” patiti bisogna considerare che le prime torture furono inflitte a Campanella il 7 el’8 febbraio mentre la pazzia si manifestò solo ad aprile. Infine a proposito dell’impossibilità di difendersi, ” bisogna riconoscere – ha scritto Amabile – che erano state date le comodità per la difesa, e, … egli non giunse in tempo a presentare la Difesa scritta, e venne poi, il 2 aprile, a manifestarsi pazzo; sicchè riesce del tutto credibile essere sorta la pazzia quando dovè persuadersi che pel momento non dovea più pensare alla difesa, e per giunta mostravasi imminente il processo di eresia tanto più spaventevole per lui. “
Per capire se la pazzia di Campanella fosse vera o simuata il Sances ordinò di spiare il frate. Pertanto, fin dal 4 aprile, alcuni scrivani andarono ad appostarsi nelle ore notturne presso la cella di fra Tommaso. Ne nacquero così due relazioni trasmesse ai giudici dell’eresia i quali le inserirono nel processo. Dalla prima relazione, un colloquio tra Campanella e fra Pietro Ponzio ( un altro prigioniero ), veniamo a sapere che quel giorno frate Tommaso aveva scritto ” assaissimo, tutto “. Nel secondo colloquio i due frati si scambiano parole d’amicizia e discutono dei sonetti composti da Campanella. ” Ben si rileva qui – ha scritto Luigi Amabile – la tenera ed irremovibile amicizia di fra Pietro pel Campanella, e il suo ardore per averne le poesie, spinto fino all’indiscrezione di volerne per sè e per suo fratello, mentre il povero filosofo ne meditava qualcuna che riuscisse a rendergli propizii i potenti nella sua terribile condizione; e si rileva al tempo medesimo l’animo depresso del filosofo, e il suo vivo bisogno della compagnia di un amico come fra Pietro. ”
Il 18 luglio i giudici, sempre alla ricerca della verità intorno alla pazzia di Campanella, lo sottoposero per un ora al tormento della corda.Fin dalla prima domanda che gli fu posta rispose in modo strano ed incoerente. Quindi spogliato, legato alla corda ed elevato in alto, ” il povero Campanella, talvolta furioso, talvolta abbattuto, ingiuriava o invece blandiva chiedendo pietà, e spesso invocava il Papa o a lui si appellava, nota dominante per tutto il tempo della sua pazzia.” ( Luigi Amabile, Fra Tommaso Campanella la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia. ) Passata l’ora frate Tommaso venne deposto, sciolto, rivestito e ricondotto nella sua cella.
Alla fine di ottobre dovendo gli imputati consegnare al Tribunale le proprie difese, venne presentato ai giudici un testo ( non si è riusciti a risalire all’autore ) nel quale il procuratore di Campanella affermava che il frate manifestava demenza ed era totalmente privo d’intelletto, come appariva dalle sue parole e dai suoi gesti. Persistendo il filosofo in quello stato, non si poteva produrre alcuna difesa a sua discolpa, pertanto il procuratore chiedeva al Tribunale un termine conveniente per provare la suddetta demenza. I giudici vennero incontro all’istanza e decisero l’esame di dieci testimoni per raccogliere elementi sulla pazzia di Campanella. Tutti e dieci i testimoni affermarono che il frate era veramente pazzo e quasi tutti riferirono di alcune sue idee ricorrenti sul papa, che doveva essere monarca e che doveva fare la crociata.
La notizia della pazzia di Campanella era giunta fino al Papa Clemente VIII e da Roma giunsero sue disposizioni in merito: due medici visitarono più volte il frate e si ordinò di sottoporlo alla tortura della veglia per provare la pazzia che si riteneva simulata.Il 4 giugno del 1601 Campanella fu sottoposto al tormento della veglia che durò fino alla metà del giorno successivo. In questo tormento l’inquisito veniva fatto sedere su uno scanno di legno dove rimaneva per quaranta ore privato del sonno dagli aguzzini che, ogni volta che accennava a dormire, lo tenevano desto. Dagli Atti del tormento di Campanella risulta anche che lo sventurato era sospeso alla corda con le mani legate dietro la schiena. Per quattro volte di seguito il frate fu sottoposto allo strazio e resistette per un giorno e mezzo. ” La prova data dal Campanella – ha scritto Amabile – fu certamenete grande “, e i suoi amici incarcerati ne rimasero ammirati.La veglia produsse al filosofo una ferita lacero – contusa con mortificazione ed emorragie consecutive al punto che fu costretto a letto per due mesi e mezzo.
Dopo il tormento della veglia vennero presentate ai giudici le relazioni dei due medici che visitarono Campanella. Entrambi pur con mille cautele ( necessità di procedere a una più lunga osservazione del presunto malato ) propendevano per una pazzia simulata.
Inoltre i giudici raccolsero una testimonianza che andava nella stessa direzione. L’aguzzino che sottopose Campanella al tormento della veglia, mentre lo riaccompagnava in cella dopo la tortura udì le seguenti parole del filosofo: ” Che si credevano che io era coglione che voleva parlare.”
Tuttavia, secondo la giurisprudenza del tempo, il tormento della veglia aveva la forza di una prova che annullava tutte le altre, pertanto il Campanella doveva ritenersi giuridicamente pazzo anche se tutti erano convinti del contrario. Essendo pazzo non poteva subire la condanna a morte in quanto un giorno avrebbe potuto rinsavire e pentirsi.
Per Campanella giunse comunque un condanna per eresia in quanto la Sacra Congregazione dei cardinali, alla presenza del papa Clemente VIII, nel novembre del 1602, ordinò la sua reclusione nelle carceri del Sant’Uffizio di Roma dove perpetuamente fosse ritenuto ” senza speranza alcuna di esserne liberato .” Si trattava di una sentenza puramente formale sia perchè era ancora aperto il processo per la congiura antispagnola, sia perchè il governo spagnolo difficilmente avrebbe concesso l’estradizione per una persona ritenuta molto pericolosa come Campanella.
Le sofferenze fisiche e morali del filosofo raggiungeranno il culmine nel luglio del 1604 quando verrà trasferito in Castel S. Elmo in una fossa sotterranea costretto con catene alle mani e ai piedi. Qui resterà per quattro anni, ” con il solo conforto di un pio confessore, il pavese don Basilio Berillari, superando quella profonda crisi di sconforto e di smarrimento intellettuale, egli venne allora operando un radicale ripensamento dei propri filosofemi, che coronerà l’anno seguente con l’accettazione della propria sorte di sofferenza e di grandezza, in una illuminante conversione, che non tanto si risolse in ascesi religiosa, quanto in una reinterpretazione globale del proprio destino. Potrà così rientrare senza riserve nell’ovile cattolico recando con sé, intatto, il prorompente impulso riformatore. ” ( Luigi Firpo, Dizionario biografico degli italiani ).
Secondo Luigi Amabile, medico e storico, attento studioso della vita di Tommaso Campanella, la pazzia del filosofo terminò nel 1605 – 1606, non così il suo travaglio che durò fino al 23 marzo del 1626, data della sua liberazione per ordine delle autorità spagnole. Ma la Santa Inquisizione, venuta a conoscenza della sua scarcerazione, ne disporrà il trasferimento a Roma come previsto dalla sentenza del 1602. Qui rimarrà fino al 1629, quando definitivamente prosciolto, verrà liberato. Frate Tommaso fu rinchiuso ventisette anni nelle prigioni napoletane.Furono anni non di solo dolore. In carcere Campanella trovò il modo di comporre alcune delle sue opere principali tra cui La città del Sole e la Metafisica, testi che hanno fatto di lui una figura di spicco della filosofia italiana ed europea del Seicento. Ricca fu anche la produzione poetica di Campanella, nonostante la detenzione. Secondo Francesco Flora, egli è “poeta d’alto respiro che sorpassa tutti i nostri poeti del Seicento”. Dunque la lunga prigionia e le torture segnarono Campanella, ma non ne minarono l’intelletto.
La storia della pazzia di fra Tommaso Campanella e’ la storia di un uomo che si oppose al potere politico – religioso ; e’la storia di un uomo che visse la tortura, il carcere, la sofferenza senza piegarsi. di lui si puo’ dire cio’ che Leonardo Sciascia disse di fra Diego La Matina, l’eretico che uccise il suo inquisitore: ” era un uomo, che tenne alta la dignita’ dell’uomo “.