GiurisprudenzaPenale

E’ reato dare dello “str…” ad un proprio dipendente – Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza n. 35099/2010

Commette reato il datore di lavoro che dà dello “str…” ad un proprio dipendente.

Va incontro a una condanna per ingiuria il capo che si rivolge a un dipendente dandogli dello ‘str..’. La quinta sezione penale della Cassazione ha per questo confermato la condanna al pagamento di 240 euro di multa e al risarcimento danni in favore della parte offesa inflitta ad un uomo che, nei confronti di una sua sottoposta, aveva proferito la frase “sei una str… se te la prendi”.

 L’imputato si era difeso sottolineando nel suo ricorso che “il vocabolo ‘str…’ e’ un epiteto forte”, entrato pero’ “nel linguaggio comune romanesco”. Egli, essendo romano, aveva cosi’ usato un “linguaggio generalmente colorito, normalmente in un ambiente di lavoro”: la sua, insomma, voleva essere un'”espressione bonaria, rassicurante e non offensiva” per far capire alla dipendente che “non era il caso di prendersela”. I supremi giudici, pero’, non hanno condiviso la sua tesi e confermato la condanna inflittagli dal tribunale di Avezzano: il termine ‘str…’ “attribuisce, secondo il comune significato recepito da tutti gli italiani, romani compresi, e al di la’ della sua derivazione longobarda, al destinatario qualifica di persona meritevole di disprezzo, di disistima”. Inoltre, rilevante, osserva la Cassazione, e’ il contesto in cui la frase e’ stata pronunciata: la donna “non e’ tenuta a sottostare all’uso di epiteti di disprezzo e di disistima in virtu’ delle generali scelte di espressione del datore di lavoro. Questi – si legge nella sentenza n.35099 – quando fa rilievi di qualsiasi tipo a un dipendente non li puo’ fare ‘a modo suo’, anche al di fuori dei normali e comuni canoni di civilta’ sociale e giuridica”. Nel nostro ordinamento, infatti, “il contesto lavorativo – ricordano gli ‘ermellini’ – e’ caratterizzato da una pari dignita’ dei suoi protagonisti, da una pari effettivita’ di tutta la normativa, senza che possa invocarsi, per nessuna delle parti, una desensibilizzazione alle altrui trasgressioni”.

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