Corte Costituzionale

Piemonte – Disciplina dello smaltimento dei rifiuti in attuazione del d.P.R. n. 915 del 1982 – Corte Costituzionale, Sentenza n. 280/2011

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 della legge della Regione Piemonte 2 maggio 1986, n. 18 (Prime norme per la disciplina dello smaltimento dei rifiuti, in attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915).

Corte Costituzionale, Sentenza n. del 281/10/2011

Ambiente – Norme della Regione Piemonte – Disciplina dello smaltimento dei rifiuti in attuazione del d.P.R. n. 915 del 1982 – Previsione, a carico dei gestori di impianti di innocuizzazione, di eliminazione e di discariche di rifiuti urbani, e a favore dei comuni sede degli impianti stessi, di un contributo annuo commisurato al peso dei rifiuti e soggetto a revisione triennale in base agli indici ISTAT.

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge della Regione Piemonte 2 maggio 1986 n. 18 (Prime norme per la disciplina dello smaltimento dei rifiuti, in attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915), promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento vertente tra la s.r.l. Servizi Industriali e il Comune di Orbassano con ordinanza del 20 maggio 2010 iscritta al n. 252 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visti l’atto di costituzione della s.p.a. Sadi Servizi Industriali (succeduta nel processo principale alla s.r.l. Servizi Industriali), nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2011 il Giudice relatore Franco Gallo;

uditi gli avvocati Riccardo Montanaro per la s.p.a. Sadi Servizi Industriali e Luca Antonini per la Regione Piemonte.

Ritenuto in fatto

1. – La Corte suprema di cassazione, con ordinanza pronunciata il 14 aprile 2010 e depositata il successivo 20 maggio 2010, ha sollevato, in riferimento agli artt. 23 e 119 della Costituzione − quest’ultimo, nel testo anteriore alla sostituzione operata dell’art. 5 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – questione di legittimità dell’art. 16 della legge della Regione Piemonte 2 maggio 1986, n. 18 (Prime norme per la disciplina dello smaltimento dei rifiuti, in attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915), il quale, prima della sua abrogazione ad opera dell’art. 45, comma 5, della legge della Regione Piemonte 13 aprile 1995, n. 59 (Norme per la riduzione, il riutilizzo e lo smaltimento dei rifiuti), stabiliva che: «I soggetti gestori di impianti di innocuizzazione e di eliminazione e di discariche di rifiuti urbani, assimilabili agli urbani, speciali fatta esclusione per gli inerti e tossici e nocivi, nonché i soggetti gestori di impianti di stoccaggio provvisorio dei rifiuti tossici e nocivi per conto terzi, sono tenuti a corrispondere dal momento dell’attivazione, se nuova attività, e a partire dal 31 luglio 1986 se attività esistente, al Comune sede di impianto di innocuizzazione e di eliminazione o di discarica, un contributo annuo pari a lire 2 e al Comune sede di impianto di stoccaggio provvisorio un contributo annuo pari a lire 1 per ogni chilogrammo di rifiuti rispettivamente innocuizzati, eliminati, collocati in discarica o stoccati nell’anno precedente [primo comma]. La misura del contributo è sottoposta ogni 3 anni a rivalutazione secondo l’indice ISTAT del costo della vita [secondo comma]. Le somme introitate devono essere destinate ad interventi finalizzati alla conservazione e valorizzazione della natura e dell’ambiente [terzo comma]».

1.1. – Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a) il giudizio di cassazione scaturisce dal ricorso proposto da una società che gestisce un impianto di trattamento dei rifiuti nei confronti del Comune di Orbassano, sede dell’impianto, e concerne la legittimità della deliberazione della Giunta di detto Comune, adottata in data 26 aprile 1993, con la quale era stato determinato, nella misura di £. 1.353.329.210, il contributo dovuto dalla società al Comune ai sensi dell’art. 16 della legge della Regione Piemonte n. 18 del 1986; b) nel giudizio si controverte in ordine alla natura di detto contributo e, nell’ipotesi in cui esso dovesse essere qualificato come tassa sulle concessioni regionali, in ordine alla sua legittimità ai sensi dell’art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario); c) nel ricorso è messa in dubbio la legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge della Regione Piemonte n. 18 del 1986, perché esso eccederebbe l’ambito della potestà legislativa e impositiva attribuita alle Regioni a statuto ordinario dagli artt. 117 e 119 Cost., nel testo vigente anteriormente alla sostituzione operata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.

1.2. – Il medesimo giudice rimettente, in punto di diritto, dopo avere escluso alcune qualificazioni del contributo di cui al denunciato art. 16 della legge della Regione Piemonte n. 18 del 1986 – in particolare, che esso sia una tassa sulle concessioni regionali disciplinata dall’art. 3 della legge n. 281 del 1970 (essendo applicato all’attività di gestione degli impianti di trattamento dei rifiuti e non ad atti adottati dalle Regioni nell’esercizio delle loro funzioni o dagli enti locali nell’esercizio di funzioni regionali ad essi delegate), oppure una forma di finanziamento dell’attività di trattamento, ammasso, deposito e discarica dei rifiuti (servizi per i quali era prevista, invece, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani di cui agli articoli da 268 a 272 del regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175, recante «Testo unico per la finanza locale», come sostituiti dall’art. 21 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, recante «Attuazione delle direttive (CEE) numero 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e numero 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi») o, ancora, che possa essere assimilato ai contributi di urbanizzazione di cui all’art. 3 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, recante «Norme per la edificabilità dei suoli» (non essendo previsto in funzione dell’urbanizzazione dell’area dove è ubicato l’impianto) o ad un canone di concessione (atteso che la pretesa vantata dal Comune non trovava fondamento in una concessione comunale ma esclusivamente nella norma impositiva regionale) − afferma che esso: a) è diretto a compensare i costi sociali e ambientali che derivano, per il Comune, dalla localizzazione nel proprio territorio dell’attività di trattamento dei rifiuti, definita di pubblico interesse dall’art. 1 del d.P.R. n. 915 del 1982, «onere che perciò dovrebbe finanziarsi con l’imposizione generale»; b) «qualora pure non sia un tributo», non è configurabile come un corrispettivo giustificato da una specifica attività della pubblica amministrazione a favore del privato, ma dovrebbe essere considerato «in ogni caso una prestazione patrimoniale imposta a norma dell’art. 23 Cost.».

1.3. – Il giudice a quo, afferma poi, sempre in punto di diritto, che dagli artt. 117 e 119 Cost., nel testo anteriore alla legge costituzionale n. 3 del 2001, come letti dalla consolidata giurisprudenza costituzionale (sono citate le sentenze n. 295 del 1993; n. 294 del 1990; n. 204 e n. 214 del 1987; n. 272 del 1986), si ricava che la potestà normativa tributaria spettante alle Regioni a statuto ordinario costituisce un aspetto dell’autonomia finanziaria riconosciuta a tali enti dall’art. 119 Cost. e deve, perciò, essere esercitata «nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica» (art. 119, primo comma, Cost.). Sulla scorta di tale ultima previsione costituzionale, la legge statale costituisce «la fonte necessaria e obbligata della disciplina degli spazi regionali», idonea a condizionarne il contenuto «sia per quanto attiene al tipo di tributo, nella sua configurazione e nei suoi elementi costitutivi, sia in relazione al suo profilo quantitativo». Da ciò consegue ulteriormente – sempre secondo il rimettente − che la potestà normativa tributaria delle Regioni a statuto ordinario, pur se riconosciuta allo scopo di consentire a tali enti di procurarsi i mezzi per fare fronte alle spese necessarie per lo svolgimento delle loro funzioni normali, non è strumentale rispetto alle competenze indicate dall’art. 117 Cost., cosí da avere «la stessa forza di quelle», ma opera «al di fuori di quell’ambito “con proprio oggetto ed entro i diversi particolari confini che le leggi della Repubblica […] sono legittimate a fissare”, anche al fine di adeguare la finanza locale alla riforma tributaria generale» e si configura, pertanto, non come una potestà legislativa di tipo concorrente, ma come una potestà soltanto attuativa della legislazione statale, analoga a quella di cui al secondo comma dell’art. 117 Cost.

1.4. – Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente, sulla base delle premesse indicate, afferma che, sia che si consideri il contributo previsto dalla disposizione denunciata un tributo, sia che lo si consideri una prestazione patrimoniale imposta di natura non tributaria, a norma dell’art. 23 Cost., l’impossibilità di reperire una disposizione di legge statale della quale la disposizione denunciata costituisca attuazione, «o nel cui quadro essa troverebbe la sua giustificazione» − tale non sarebbe, in particolare, ad avviso del giudice a quo, l’art. 6, primo comma, lettera f), del d.P.R. n. 915 de 1982, che si limita ad attribuire alle Regioni il potere di emanare norme integrative ed attuative del medesimo d.P.R. per l’organizzazione dei servizi di smaltimento e le procedure di controllo e di autorizzazione, senza prevedere corrispettivi per lo svolgimento dell’attività autorizzata di trattamento dei rifiuti né, tanto meno, stabilire i relativi limiti −, induce a ritenere, «in entrambi i casi considerati», non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge della Regione Piemonte n. 18 del 1986, in quanto «impone ai gestori degli impianti di trattamento dei rifiuti una prestazione patrimoniale al di fuori di una specifica previsione delle leggi della Repubblica».

1.5. – Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo afferma che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata determinerebbe l’illegittimità della deliberazione adottata dal Comune di Orbassano in data 26 aprile 1993 posta a fondamento della pretesa impositiva dell’ente locale e, quindi, l’accoglimento del ricorso.

2. – Si è costituita nel giudizio di legittimità costituzionale la società succeduta nel processo alla società ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che la questione sia dichiarata fondata.

2.1. – Secondo la parte privata, il contributo di cui all’art. 16 della legge della Regione Piemonte n. 18 del 1986 ha natura tributaria perché presenta tutti i caratteri propri del prelievo tributario costituiti dalla doverosità, dall’impossibilità di sottrarsi all’obbligo e dall’assenza di collegamento con una prestazione corrispettiva e corrispondente. Poiché − sostiene ancora la parte privata − in base all’art. 119 Cost, nel testo vigente ratione temporis, le Regioni a statuto ordinario non potevano istituire tributi ma avevano competenza solo per quelli istituiti con legge dello Stato e ad esse trasferiti (è citata la sentenza della Corte costituzionale n. 295 del 1993), non essendo possibile reperire alcuna norma di legge statale che prevedesse il contributo in considerazione, ne deriva che la disposizione denunciata, víola, oltre che l’art. 23 Cost., anche l’art. 119 Cost.

3. − È intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente della Giunta della Regione Piemonte, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in via subordinata, non fondata.

3.1 – Secondo la difesa del Presidente della Giunta regionale, la questione sollevata è, innanzitutto, inammissibile: a) per l’insufficiente motivazione sulla rilevanza; b) per l’omesso tentativo del giudice rimettente di ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, che consenta di ritenere che il contributo dalla stessa previsto non aveva natura tributaria; c) per «il carattere alternativo e ancipite della formulazione dell’eccezione di incostituzionalità», perché il giudice rimettente non ha effettuato un’opzione tra la natura di tributo e quella di prestazione patrimoniale imposta non tributaria del contributo previsto dall’art. 16 della legge della Regione Piemonte n. 18 del 1986 né ha posto tali due qualificazioni in rapporto di subordinazione logica.

3.2. – Secondo la medesima difesa del Presidente della Giunta regionale, qualora la Corte costituzionale ritenesse non fondate le suddette eccezioni di inammissibilità, la questione sollevata sarebbe, comunque, infondata.

3.2.1. – L’infondatezza deriverebbe, in via principale, dalla «natura non tributaria ma “corrispettiva/commutativa” del “contributo”» dovuto ai Comuni dai gestori degli impianti di trattamento dei rifiuti, natura che emergerebbe dalla stessa lettera della disposizione denunciata (in particolare, dal terzo comma della stessa), oltre che dal quadro normativo nel quale essa si inseriva (in particolare, sono menzionati gli artt. 5, 6 e 8 della legge regionale n. 18 del 1986). Da tali elementi letterali e sistematici si evincerebbe infatti che il contributo in considerazione si caratterizza come il corrispettivo assicurato al Comune − e alla stessa collettività locale della quale esso è ente esponenziale − nel cui territorio è localizzato un impianto di trattamento dei rifiuti posto a servizio di esigenze generali (anche e soprattutto extracomunali), sia dell’uso di beni pubblici di quel Comune, quali il territorio e l’ambiente, che l’insediamento di un impianto siffatto comporta, sia dei servizi garantiti dall’ente locale per la funzionalità dell’impianto medesimo; corrispettivo che è dalla legge posto a carico del gestore dell’impianto, che di quei beni pubblici e di quei servizi fruisce. Tale «prestazione sinallagmatica» è, d’altro canto, idonea a rappresentare anche uno strumento di promozione, presso la collettività locale, dell’insediamento di un impianto di trattamento dei rifiuti nel territorio comunale. Ad avviso della difesa regionale, la natura «corrispettiva/commutativa» del contributo previsto dalla disposizione censurata risulta anche dai seguenti ulteriori elementi: a) il vantaggio rappresentato per il gestore dall’individuazione, da parte del Consiglio regionale, dei siti idonei alla realizzazione dell’impianto, individuazione che costituisce, ove necessario, variante degli strumenti urbanistici generali vigenti nel Comune interessato; b) la coincidenza tra i destinatari del gettito derivante dalla corresponsione del contributo e gli «enti esponenziali della collettività che hanno accettato la richiesta del gestore di insediamento dell’impianto e che garantiscono le prestazioni e i servizi necessari per il suo corretto inserimento nella realtà comunale»; c) la commisurazione del contributo alla quantità di rifiuti effettivamente trattati e, quindi, alla «fruizione dell’effettiva utilità garantita dal Comune». L’inquadramento del contributo in considerazione nell’ambito delle entrate pubbliche di natura non tributaria ma «di tipo commutativo» induce a considerare la disposizione denunciata come «legittimo esercizio della potestà legislativa regionale in attuazione e integrazione dell’art. 6 del D.P.R. n. 915 del 1982» e ad affermare l’infondatezza della questione di legittimità sollevata sia in riferimento all’art. 119 Cost. – da ritenere inconferente rispetto a tali entrate – sia in riferimento all’art. 23 Cost.

3.2.2. − In via subordinata, nell’ipotesi in cui la Corte costituzionale dovesse ritenere che il contributo previsto dalla disposizione censurata non ha «carattere commutativo o sinallagmatico», la difesa del Presidente della Giunta regionale afferma che lo stesso andrebbe comunque inquadrato nella categoria delle prestazioni patrimoniali imposte, di cui all’art. 23 Cost., di carattere non tributario. Anche in tale ipotesi, l’istituzione del contributo costituirebbe un legittimo esercizio della potestà legislativa regionale – volto a dare attuazione all’art. 6 del d.P.R. n. 915 del 1982 – sia perché la Corte costituzionale ha costantemente ritenuto conformi a Costituzione leggi regionali in materia di prestazioni patrimoniali imposte, sia perché la diversità di funzione tra le prestazioni imposte di natura tributaria e quelle di natura non tributaria «si riflette anche sulla ripartizione di competenze», atteso che l’«interdipendenza» che, specie nella vigenza dell’art. 119 Cost. nel testo anteriore alla legge costituzionale n. 3 del 2001, «poteva legare il sistema tributario statale a quello regionale», è estranea all’ambito delle prestazioni patrimoniali imposte di natura non tributaria, «dove non appare sussistere un’analoga ragione di interdipendenza tra il sistema delle entrate extra tributarie statali con quello delle entrate extra tributarie regionali e locali». Ne consegue, anche in tale ipotesi subordinata, l’infondatezza della questione sollevata.

3.2.3. − Infine, sempre secondo la difesa del Presidente della Giunta regionale, «non sembra improprio escludere nemmeno» l’inquadramento della disposizione censurata tra i provvedimenti che la legge regionale può adottare, ai sensi dell’art. 41, terzo comma, Cost., per indirizzare l’attività economica verso finalità sociali, tenuto conto che le finalità di tutela ambientale indicate nel terzo comma del denunciato art. 16 rientrano a pieno titolo nell’ambito di dette finalità sociali. Anche in tale prospettiva, pertanto, la questione sollevata dovrebbe essere rigettata.

4. – In prossimità della pubblica udienza, la società succeduta nel processo alla società ricorrente nel giudizio principale ha depositato una memoria nella quale contesta quanto sostenuto nell’atto di intervento del Presidente della Giunta della Regione Piemonte in ordine all’inammissibilità della questione. Quanto al merito della stessa, la parte privata sviluppa gli argomenti già esposti nel proprio atto di costituzione in giudizio e confuta quelli della difesa regionale, ribadendo, conclusivamente, la richiesta di accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata.

5. – Nell’imminenza della pubblica udienza, anche il Presidente della Giunta della Regione Piemonte ha depositato una memoria nella quale riafferma quanto dedotto nel proprio atto di intervento e rinnova le conclusioni in esso rassegnate.

Considerato in diritto

1. – La Corte suprema di cassazione, nel corso di un giudizio vertente tra il soggetto gestore di un impianto di trattamento di rifiuti (una società di capitali) ed il Comune ove era ubicato tale impianto, ha sollevato, in riferimento agli artt. 119 − nel testo anteriore alla sostituzione operata dall’art. 5 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – e 23 della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 16 della legge della Regione Piemonte 2 maggio 1986, n. 18 (Prime norme per la disciplina dello smaltimento dei rifiuti, in attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915).

La disposizione denunciata – abrogata dall’art. 45, comma 5, della legge della Regione Piemonte 13 aprile 1995, n. 59 (Norme per la riduzione, il riutilizzo e lo smaltimento dei rifiuti), ma applicabile ratione temporis alla fattispecie oggetto del giudizio principale – stabilisce che: a) «I soggetti gestori di impianti di innocuizzazione e di eliminazione e di discariche di rifiuti urbani, assimilabili agli urbani, speciali fatta esclusione per gli inerti e tossici e nocivi, nonché i soggetti gestori di impianti di stoccaggio provvisorio dei rifiuti tossici e nocivi per conto terzi, sono tenuti a corrispondere dal momento dell’attivazione, se nuova attività, e a partire dal 31 luglio 1986 se attività esistente, al Comune sede di impianto di innocuizzazione e di eliminazione o di discarica, un contributo annuo pari a lire 2 e al Comune sede di impianto di stoccaggio provvisorio un contributo annuo pari a lire 1 per ogni chilogrammo di rifiuti rispettivamente innocuizzati, eliminati, collocati in discarica o stoccati nell’anno precedente» [primo comma]; b) «La misura del contributo è sottoposta ogni 3 anni a rivalutazione secondo l’indice ISTAT del costo della vita» [secondo comma]; c) «Le somme introitate devono essere destinate ad interventi finalizzati alla conservazione e valorizzazione della natura e dell’ambiente» [terzo comma].

Secondo il rimettente, tale disposizione víola i parametri evocati perché, in mancanza di una legge dello Stato che lo consenta, istituisce un tributo o, comunque, una prestazione patrimoniale imposta di natura non tributaria. In punto di rilevanza, il medesimo giudice rimettente afferma che la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 16 della legge reg. n. 18 del 1986 comporterebbe l’accoglimento del ricorso per cassazione proposto dal gestore dell’impianto di trattamento di rifiuti.

2. – La difesa della Regione Piemonte ha sollevato, in via preliminare, tre eccezioni di inammissibilità della questione: l’insufficienza della motivazione sulla rilevanza; il mancato tentativo, da parte del rimettente, di fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione denunciata; la prospettazione della questione stessa in modo ancipite.

Le eccezioni non possono essere accolte.

2.1. – La prima eccezione, secondo cui il rimettente avrebbe motivato in modo insufficiente la rilevanza della questione, non è fondata. La Corte di cassazione afferma, infatti, che: a) deve applicare la disposizione denunciata; b) dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale di tale disposizione deriverebbero sia l’illegittimità della deliberazione comunale con la quale – ai sensi del denunciato art. 16 della legge reg. n. 18 del 1986 – è stato determinato il contributo dovuto dal gestore dell’impianto al Comune sia, conseguentemente, l’accoglimento del ricorso per cassazione proposto dal medesimo gestore, il quale vuole ottenere l’accertamento della non debenza del contributo. Tali affermazioni del giudice a quo rendono adeguata la motivazione sulla rilevanza.

2.2. – Anche la seconda eccezione di inammissibilità – in base alla quale la Corte di cassazione avrebbe omesso di ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, tale da qualificare il contributo come mero corrispettivo di una controprestazione e superare, cosí, il prospettato dubbio di illegittimità costituzionale – non è fondata. La Corte rimettente, infatti, ha dettagliatamente motivato in ordine alle ragioni che impongono di ritenere che il contributo ha natura non di corrispettivo, ma di tributo ed ha, pertanto, dato conto dell’impossibilità, a suo avviso, di pervenire ad una interpretazione conforme a Costituzione. Ciò è sufficiente per escludere la dedotta inammissibilità, restando riservata al merito del giudizio di costituzionalità la valutazione della correttezza degli esiti ermeneutici cui è giunto il giudice a quo.

2.3. – Neppure la terza eccezione di inammissibilità è fondata. La difesa regionale ha dedotto «il carattere alternativo e ancipite» della formulazione della questione, in quanto il giudice rimettente avrebbe qualificato il contributo previsto dalla disposizione denunciata alternativamente come tributo e come prestazione patrimoniale imposta di natura non tributaria, senza sciogliere tale alternativa. Tuttavia, contrariamente a quanto affermato dalla Regione, il giudice rimettente non prospetta una pluralità di interpretazioni della disposizione denunciata, evitando poi di scegliere ed indicare quella che ritiene di dover utilizzare nel giudizio principale, ma pone le due suddette qualificazioni del contributo in rapporto di subordinazione logica, nel senso che il contributo viene qualificato come tributo e solo in via subordinata come prestazione patrimoniale imposta di natura non tributaria. Tale subordinazione logica risulta chiaramente dall’intero tenore dell’ordinanza di rimessione, nella quale si precisa che il contributo, in primo luogo, rientra nell’àmbito dell’«imposizione generale», in quanto è diretto «a finanziare o compensare costi sociali e ambientali che deriverebbero per i Comuni dallo svolgimento dell’attività di trattamento dei rifiuti sul loro territorio»; in secondo luogo, «qualora pure non sia un tributo», dovrebbe essere considerato «in ogni caso una prestazione patrimoniale imposta a norma dell’art. 23 Cost.». Deve, dunque, escludersi che il rimettente abbia prospettato la questione in modo ancipite.

3. – Questa Corte, pertanto, deve procedere allo scrutinio nel merito della sollevata questione di costituzionalità, accertando, innanzitutto, se il contributo debba qualificarsi come tributo e, in caso affermativo, se la disposizione che lo prevede rispetti gli evocati parametri.

3.1. – Con riferimento al primo accertamento, va osservato che l’interpretazione da cui muove la Corte di cassazione circa la natura tributaria del contributo è corretta, perché non contrasta con i criteri elaborati da questa Corte al fine di qualificare un’entrata come tributaria; criteri che consistono: a) nella doverosità della prestazione, in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra parti; b) nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante (ex plurimis, sentenze n. 246, n. 238 e n. 141 del 2009; n. 335 e n. 64 del 2008; n. 334 del 2006; n. 73 del 2005).

3.1.1. – Il criterio sub a) di cui al punto 3.1. è rispettato, perché l’obbligo del pagamento del contributo è stabilito direttamente ed esclusivamente dalla legge regionale e non trova la sua fonte in un rapporto sinallagmatico tra parti (contratto, convenzione o simili).

Riguardo a quest’ultimo aspetto, deve osservarsi che il contributo – diversamente da quanto sostenuto dalla difesa della Regione – non costituisce remunerazione né dell’uso in generale di beni collettivi comunali, come il territorio e l’ambiente, né di servizi necessari per la gestione o la funzionalità dell’impianto forniti dal Comune. Quanto all’uso del territorio e dell’ambiente, esso non può costituire una controprestazione del contributo, perché il Comune ha il potere di disporre non dei suddetti beni collettivi nel loro complesso (rispetto ai quali si configura come ente esponenziale degli interessi pubblici ad essi afferenti), ma solo dei singoli beni che fanno parte del suo demanio o patrimonio (sentenza n. 141 del 2009). Quanto alla fornitura di servizi, essa non può integrare, nella specie, una controprestazione del contributo, perché il pagamento di questo non è correlato alla fruizione di alcuno specifico servizio da parte del gestore dell’impianto. In particolare, il contributo non può considerarsi remunerazione dell’atto amministrativo regionale di approvazione dei siti idonei allo smaltimento dei rifiuti, perché tale atto: a) proviene non dal Comune, ma dalla Regione (cioè da un soggetto che non è destinatario del pagamento del contributo); b) prescinde dall’effettivo funzionamento degli impianti di smaltimento la cui gestione è il presupposto del contributo; c) costituisce l’esito di un autonomo procedimento amministrativo non collegato in alcun modo alla corresponsione del contributo medesimo. Oltre a ciò, va osservato che nella normativa denunciata è previsto solo che le somme introitate «devono essere destinate ad interventi finalizzati alla conservazione e valorizzazione della natura e dell’ambiente» (art. 16, comma 3, della legge reg. n. 18 del 1986) e non che dette somme siano dirette a sostenere lo specifico costo rappresentato dalle eventuali misure di prevenzione e di ripristino ambientale connesse alla gestione del singolo impianto; materia ora compiutamente regolata dal Titolo II della Parte sesta del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

3.1.2. – Anche il criterio sub b) di cui al punto 3.1. – riguardante il necessario collegamento del prelievo alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante – è rispettato. La disposizione censurata stabilisce infatti, come appena visto, che il contributo sia destinato al finanziamento di spese pubbliche ambientali. Questa connotazione funzionale e il fatto che il prelievo abbia per oggetto l’attività economica di gestione degli impianti consentono di ritenere il contributo uno strumento di riparto, ai sensi dell’art. 53 Cost., del carico della spesa pubblica in ragione della capacità economica manifestata dai soggetti gestori degli impianti.

3.1.3. – Da quanto sopra deriva che la prestazione “contributiva” in esame, rispondendo alle indicate caratteristiche essenziali del tributo, ha la natura fiscale ad essa riconosciuta dalla Corte rimettente. In particolare, il prelievo previsto dal censurato art. 16 della legge reg. n. 18 del 1986 costituisce un tributo di scopo, che ha: a) quali soggetti passivi, i «soggetti gestori di impianti di innocuizzazione e di eliminazione e di discariche di rifiuti urbani, assimilabili agli urbani, speciali fatta esclusione per gli inerti e tossici e nocivi, nonché i soggetti gestori di impianti di stoccaggio provvisorio dei rifiuti tossici e nocivi per conto terzi»; b) quali soggetti attivi, «il Comune sede di impianto di innocuizzazione e di eliminazione o di discarica» ed il «Comune sede di impianto di stoccaggio provvisorio»; c) quale presupposto economicamente rilevante, la gestione di detti impianti; d) quale base imponibile, l’entità, in chilogrammi, dei «rifiuti […] innocuizzati, eliminati, collocati in discarica o stoccati nell’anno precedente» a quello di riferimento.

3.2. – Con riguardo all’altro punto da esaminare – concernente la legittimità costituzionale della censurata disposizione, interpretata come istitutiva di un tributo –, va osservato che, nonostante la congiunta evocazione a parametro dell’art. 23 Cost. e del previgente art. 119 Cost. (applicabile nella specie ratione temporis), il rimettente denuncia, fondamentalmente, solo la violazione di quest’ultimo articolo (rectius, del suo primo comma). In particolare, il giudice a quo afferma che l’istituzione, da parte della Regione, di un tributo non previsto da una precedente legge statale víola il primo comma dell’art. 119 Cost. nella parte in cui stabilisce che «Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica». È quindi opportuno esaminare prioritariamente la censura prospettata con riferimento all’evocato primo comma dell’art. 119 Cost.

La censura è fondata. Infatti detto parametro è stato sempre interpretato da questa Corte (sentenze n. 355 del 1998; n. 295 del 1993; n. 294 del 1990; n. 214 e n. 204 del 1987; n. 272 e n. 271 del 1986) nel senso che la potestà legislativa tributaria regionale – che costituisce un aspetto dell’autonomia finanziaria garantita alle Regioni – non può essere legittimamente esercitata in mancanza di una previa disposizione di legge statale che definisca, quanto meno, gli elementi essenziali del tributo. In base a tale disposizione la potestà normativa regionale si configura, perciò, come meramente attuativa delle leggi statali. Nella specie, non è rinvenibile alcuna disposizione di legge statale che abbia attribuito alla Regione Piemonte la suddetta potestà normativa di attuazione con riferimento al denunciato prelievo tributario.

4. – È appena il caso di soggiungere che − contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa regionale − la censurata disposizione non trova fondamento nell’art. 41, terzo comma, Cost., per il quale «La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». Tale comma, infatti, non attribuisce competenze legislative ulteriori rispetto a quelle spettanti alle Regioni ai sensi del testo originario degli artt. 117 e 119 Cost. e non è, comunque, pertinente alla sollevata questione, perché si limita a consentire la predisposizione con legge di «programmi e […] controlli» che sono, invece, del tutto estranei al contenuto della denunciata disposizione.

5. – Il riconoscimento della fondatezza della censura prospettata dal rimettente in riferimento all’art. 119 Cost. comporta l’assorbimento dell’esame delle ulteriori censure.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 della legge della Regione Piemonte 2 maggio 1986, n. 18 (Prime norme per la disciplina dello smaltimento dei rifiuti, in attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915).

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 2011.

F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2011.

 

 

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